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dei beni ecclesiastici, della fondazione dei Seminari e di quant’altri argomenti sembrarono importanti per il prosperare della causa cattolica. Le sue decisioni formano la vera magna charta della Chiesa australiana. Questa (escluse le Filippine) conta ormai 23 diocesi, con 6 metropoli: Adelaide, Brisibane, Hobart-Town (Tasmania), Melbourne, Sydney, e Wellington (Nuova Zelanda). I fedeli vi superano il milione con circa 1500 sacerdoti. FiorentiSsime vi svolgono liberamente la loro azione le Congregazioni religiose così maschili come femminili; fra esse tiene un posto distinto quella dei redentoristi, fondata da S. Alfonso Maria de’ Liguori, che vi gode una popolarità straordinaria: vengono poi i Fratelli delle Scuole Cristiane, i Maristi, i Gesuiti; nè vi mancano — in quale angolo del mondo ormai non si trovano? — i Salesiani. Fra le Congregazioni Femminili vanno segnalate le Suore di San Giuseppe che hanno per scopo principale di procurar maestre religiose alle scuole ’di campagna; una vera benedizione per moltissime diocesi. Nel 1900 le scuole elementari cattoliche erano circa novecento, con presso a centomila scolari; ma va notato che in queste ultime cifre non figura la Nuova Zelanda. La questione scolastica è d’attualità anche in Australia: quei nostri confratelli sanno però risolverla nel modo più pratico: con aiuti generosi, con elargizioni cospicue. Queste non mancano mai alle chiese e le collette domenicali sogliono dare cifre che ’da noi, nella vecchia Europa sembrerebbero leggendarie: Non è il cattolicismo australiano quello che si ferma al borsello e I al portafogli. Anche a tale riguardo, esso si afferma vita ed azione. La testimonianza di stima e d’affetto datagli ora da Pio X è premio pienamente meritato. G. d’E. g

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FRA I MORTI DI FRANCIA

Guy de Cassagnac Dopo Peguy, il poeta mistico di Giovanna d’Arco, arrivato al tradizionalismo cattolico dalle. rive torbide del socialismo libertario, dopo Magnard, il musicista classico e aristocratico, la Francia scrive sul libro d’oro dei suoi figli caduti per la difesa della patria il nome di uno dei suoi più brillanti e simpatici giornalisti, Guy d’e Cassagnac. Eredi di una tradizione brillante e cavalleresca i due figli di Paolo Cassagnac, assumendo alla morte del padre la direzione dell’A utoritè, il vecchio e stimato organo bonapartista francese, avevano posto ogni loro cura nel conservare gelosamente intatti gli aspetti caratteristici e gli elementi sostanziali dell’opera polemica in cui si concentravano le aspirazioni e la passione della schiera piccola ’ma animosa dei partigiani di un regime forse ormai per sempre tramontato e di una dinastia cui pare

fatalmente negata ogni speranza di risurrezione. Ma se l’opera politica dei figli era, come quella del padre, destinata alla sterilità, lo spirito polemico vivacissimo del fondatore del giornale sembrava disceso per li rami attraverso la prosa nervosa dei due continuatori; contro le sopraffazioni settarie, contro il grottesco e l’odioso del giacobinismo imperante, contro la degenerazione del carattere e l’abbassamento dei valori morali e sociali che era la conseguenza naturale di una politica faziosa, che permetteva agli amici la più larga e grassa carie e minacciava agli avversari le ire e le persecuzioni di una aeterna auctoritas, i due giovani Cassagnac spezzarono le migliori lancie della loro quotidiana battaglia prima al fianco del padre, poi soli. Recentemente,’ quasi come per riposarsi un poco dalla fatica improba del battagliare continuo, da quel dovere increscioso di intingere sempre la penna nell’inchiostro più amaro e corrosivo, avevano entrambi fatta una breve incursione dal giornalismo sul teatro: l’esempio di Arturo Meyer era stato contagioso e Sarah Bernhardt, la ’veterana gloriosa delle scene parigine, aveva procurato al debutto drammatico dei fratelli Cassagnac un vero successo di curiosità: il lavoro, che non rivelava in realtà nè un temperamento scenico nè una parola originale, nè un tentativo nuovo, passò senza infamia e senza lode; era, evidentemente, una breve parentesi, il frutto di un’hora subseciva cui gli autori pei primi non attribuivano una eccessiva importanza. Ma un triste e tragico risveglio doveva togliere i polemisti dal loro intermezzo scenico: lo scoppio improvviso e inatteso della guerra europea, l’invasione della Francia, la minaccia spaventosa che sembrava uno spauracchio assurdo trasformata di un tratto nella crudele realtà, nella necessità urgente del momento. Il pericolo che l’imperante oligarchia radicale si era ostinata a non voler considerare se non come il sogno febbrile dei malati di militarismo e di nazionalismo, quel pericolo che gli stessi denunciatori non dovevano poi ritenere troppo imminente se trovavano in sè stessi la serenità sufficiente per riempire i loro ozi pacifici rivolgendosi al carro di Tespi, diventava la attualità paurosa. Allora, come già aveva fatto il loro padre nell’annè terrible, i due fratelli Cassagnac deposero la penna per impugnare la spada; non più era il tempo di parlare o di scrivere, ma quello di agire; entrambi partirono, volontari, pel terreno della guerra. Ed ora giunge la lugubre notizia, che dei due fratelli, il minore, Guy, il più’ brillante ed il più battagliero, è stato ucciso dal piombo prussiano; lo scrittore che dalle colonne del suo giornale aveva sempre, al di sopra delle passioni di parte, mostrato di nutrire una passione ed un culto, la passione ed il culto della patria, ha chiuso la sua carriera di giornalista soldato col sacrificio della sua stessa esistenza: signemus fidem sanguine. Una fede che reca il suggello del sangue dimostra l’intensità sua e la sua forza; e mai come oggi, alla prova del fuoco, nella bufera di sangue eh: l’avvolge e la sferza, la Francia ha la possibilità, anzi i ’dovere, di conoscere quali fossero veramente i suoi figli, quelli che non la pascevano di frasi vacue e di idee pervertitrici, ma le avevano consacrato la miglior parte di sè. rIA1 loro ingegno e delle loro energie, che l’amavano