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mondo pel centenario dalla nascita del loro fondatore Anton Federico Ozanam; più splendido anche di quello annunziato testè in Belgio dal visconte d’Hendecourt, quando questi fece sapere che alle settemilacinquecento Conferenze finora esistenti nei vari paesi se ne erano aggiunte, dopo il centenario, altre trecentoventisette. Infatti la deliberazione giovanile presa a Bologna, con un ottimo esempio dato da quest’Italia ove l’Ozanam nacque, ripone sistematicamente nella attività caritatevole che egli attinse da S. Vincenzo la gioventù studentesca, alla quale apparteneva quando fondò la grande opera, e alla quale chiese le prime braccia. Ed è una deliberazione di significato profondo. Se le Conferenze avevano avuto uno sviluppo mirabile rispetto alla pochezza delle origini e alla cura di non far nulla di clamoroso per diffonderle; se una fioridezza, che dura già da ottant’anni, parve superare non solo le previsioni, ma perfino i primi desideri dei sette studenti strettisi intorno ad Ozanam, i quali volendo dapprincipio rimaner soli la rendevano necessariamente peritura, le conferenze dico, non avevano ancora avuto tutta la forza e l’espansione, che sarebbero richieste dal bisogno che ce n’è e dai benefici di cui sono capaci. Molti fra i giovani ardenti, che anelano alla generosa missione di adoprarsi collettivamente per la fede e pel popolo; molti fra i giovani, non ricordavano che da essi e principal• mente per essi le Conferenze furono istituite; pensavano bensì di frequentare anche queste ma parevano non considerare più come una parte fondamentale della propria azione, nè della propria formazione. Le tenevano come un buon dippiù; come un campo da coltivare per giovevole riposo, non da dedicargli le più fruttifere e attraenti fatiche; le collocavano tra le cose piamente tradizionali da conservare in vita, non tra quelle su cui poggiare le vaste speranze. Anche le Conferenze, pur continuando pian piano ad accrescersi di numero e di braccia, subivano in qualche misura quella che io chiamerei la crisi della carità. Ora il ricordo solenne che l’hanno scorso fu di Ozanam, questo ufficio pratico ha avuto di mostrare persuasivamente coll’opera ed i principi di lui quanto una tal crisi, nata in nome della modernità, fosse indebita; quanto le conferenze abbiano ragione di superarla e di ravvivare a favor proprio l’entusiasmo esercitato dapprima sui giovani; quanto ad essi ed a lui si possa applicare ciò che egli disse di S. Vincenzo: «Le grandi anime che più si avvicinano a Dio ne traggono qualche cosa di profetico: hanno una visione anticipata dei mali e dei bisogni che le età venture porteranno con sè.» In che consiste questa crisi? Da che cosa è insidiata, anche nell’animo delle collettività cattoliche, la carità spicciola, personale, nascosta? Da tre cose principalmente; primo, dal supporre che nel campo delle idee non si possa restituire alle dottrine cattoliche una piena cittadinanza e una diffusa influenza sopra il mondo che pensa e che impronta di sè la civiltà nuova, se non si adoprano a ciò le sole armi prese dalla scienza e dalla controversia scientifica. Che cosa, diventa davanti alla necessità di questa grandiosa apologia intellettuale lo spettacolo, sia pure edificante della minuta

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carità? Sembra che anche tra noi sia involontariamente penetrato qualche parte di quello spirito di Bukle, che riteneva inefficaci allo stesso progresso morale del mondo i buoni sentimenti e le buone azioni, ed ogni speranza riponeva negli acquisti e nella potenza del sapere. In secondo luogo dinanzi ai contrasti, ai danni, ai dolori che produce la quesione sociale, molti giovani si domandano se il grande obbligo di escogitare e di applicare in vaste misure j.371 potenti organizzazioni, per ministero di leggi quel che richiede la giustizia evangelica, non renda troppo meschina cosa il beneficare spontaneamente un certo numero di poveri. Sembra che essi abbiano la tentazione di ripetere ciò che all’inizio delle Conferenze lo studente Cheruel, inclinato al socialismo, diceva ad Ozanam «Che sperate di fare in otto giovani per soccorrere le miserie d’una città come Parigi? E foste anche a mille doppi sprecherebbe il tempo. Noi invece elaboriamo idee e sistemi che riformando la società ne estirperanno la miseria per sempre. In un’ora noi faremo per l’umanità ciò che voi non fareste in parecchi secoli.» Finalmente la carità quotidiana, che ci mette sott’occhi gli aspetti più fastidiosi e spesso più degradanti dell’indigenza; che si nutre di tutti i severi esercizi della pietà religiosa, incontra presso i giovani un ostacolO, non confessato, che anzi ripugnerebbero dal confessare, ma che opera sugli animi con una sorda dissuasione, ossia il timore che ne sia mortificata la giocondità della vita. Sembra che all’orecchio di essi sia giunta quella parola, con cui si fece torto ad Ozanam, anche se s’intese lodarlo; la parola che disse non aver egli avuto mai gioventù. Ebbene la figura di Ozanam così diffusamente rievocata, nelle recenti commemorazioni fu la risposta vivente a queste espressioni o tacite obiezioni. L’uomo che inventò questa specie di carità, non solo ricordò le convenienze delle lotte di pensiero, dei provvedimenti di giustizia, del culto dell’allegrezza ma fu precisamente colui, che quando nessuno pensava ancora a portare le battaglie intellettuali per la religione nella cittadella del nemico, ossia nell’un.iversità, ve le portò; che quando dal sansimonismo e dalle barricate i buoni non traevano motivo che di condannare o di tramare, udì tra i primi risuonare anche in quel turbine il divino: «Misereor super turbum», ossia comando di nuove profonde e confidenti giustizie•: che propostosi di viver sempre fra i pensieri ammonitori di Dio e dalla morte; legato da una vita di frequenti sofferenze; impostosi lo spettacolo assidue delle sofferenze altrui, serbò e volutamente coltivò e fece in ogni tempo trionfare un’indole maturalmente gioconda e atratta da ogni pura bellezza della vita. La sua carità uscì da lui associata a tutto ciò che è razionalmente fiero e attivamente giusto e lietamente giovane. Questo i giovani universitari raccolti a Bologna,hanno compreso: in virtù di questo hanno restituito agli uffici di carità ciò chela crisi aveale tolto o sminuito in mezzo alla gioventù. Essi si sono felicemente attenuti alle parole con cuí il 5 gennaio del 1855 Pio IX disse ai confratelli di S. Vincenzo: «Figli miei, io vi consacro cavalieri di Cristo. li mondo non crede alla predicazione e al sacerdozio; ma