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Ma se colpisce la liberalità verso l’apostolato di paesi ricchi per il loro commercio mondiale quali gli Stati Uniti di America, l’Inghilterra e, in proporzione, la Germania ed altre nazioni, più istruttivo si è che la stessa liberalità si trovi in paesi di tutt’altre condizioni economiche. La Svezia e la Norvegia, ad esempio, hanno popolazioni per la più parte povere; tuttavia i 7 milioni di protestanti norvegesi e svedesi danno per la propaganda circa 2 milioni di lire; e per quanto si discenda fino alle più piccole e misere chiese protestanti, non se ne troverà una che non dia il pensiero e l’offerta alle missioni. Ma l’entità dei sussidi protestanti alle missioni diventa più eloquente, se si fa qualche particolare paragone coi sussidii cattolici. Per non ingenerare noia e confusione con colonne di numeri, basti un confronto che vale per tutti: la Francia che si collocò fin da principio, e si mantenne costantemente in testa alle nazioni cattoliche per generosità verso le missioni, dà annualmente all’Opera Propagazione della Fede e ad altre Opere missionarie più di 6 milioni. Eppure i 37 milioni di cattolici francesi sono ancor lontani dal fare ciò che fanno 4 milioni di protestanti scozzesi, i quali danno 7 milioni mezzo. Però noi cattolici, dopo aver dinanzi all’esempio dei nostri fratelli dissidenti abbassato il capo, lungi dall’avvilirci, dobbiamo trarne motivo di efficace resipiscenza e di santa emulazione. Un illustre missionario francese,, traducendo in un moderno aforisfa un’eterna verità, ha detto che per convertire un popolo infedele occorrono: un apostolo, un martire ed un obolo. Il Signore nella sua misericordia dai tempi più antichi fino ai nostri giorni — con quelli della Cina — ha dato alle missioni cattoliche i loro martiri del sangue. Il martire rileva direttamente da Dio. Ma l’obolo come l’apostolo, richiedono altresì il concorso dell’opera umana, e il primo — le missioni protestanti ne dan luminosa prova — produce il secondo: sia colle vocazioni che suscita la sua raccolta stessa nei paesi civili; sia col mezzo che fornisce per formare e mantenere ausiliari indigeni nei paesi selvaggi. E oggi, sotto la pressione dell’ora opportuna che fugge e degli avvenimenti che precipitano, più che mai necessitano, in tutte le missioni cattoliche della terra uomini danaro, per raccogliere la messe d’anime che dappertutto pullula abbondantissima, matura e pericolante... Il protestantesimo la circuisce; l’islamismo, piovra infernale, allunga spaventosamente su di essa i suoi viscidi tentacoli. Il P. Lacombe S. J. scrive da Trichinopoli: «In India come dappertutto, per far fronte all’eresia, abbisognano uomini e danaro; e aggiungerò che qui, nella residenza di Madras, ci vogliono molti uomini e molto denaro». E il P. Kevyn del Seminario di Scheut-le-Btuxelles, dalla Mongolia rincalza ancora più esplicitamente: «L’apostolo cattolico è al soldo dei fedeli d’Occidente; la misura della loro liberalità segna la misura del di lui progresso nelle opere dell’aposolato». A questo punto sorge spontaneamente una domanda: Quai sono i risultati di tanto lavoro e di tanto stipendio

al quale si sobbarcano i protestanti? Corrispondono essi all’ampiezza dell’uno ed all’entità dell’altro? Se per i risultati si volessero intendere soltanto le vere e profonde conversioni a protestantesimo,’ converrebbe dire che le missioni protestonti assai rassomigliano alla famosa montagna che diè in luce il proverbiale topolino. Certo vi sono tribù selvagge che avendo spiccate tendenze alla religiosità — e se ne hanno tipici esempii in Oceania — facilmente son trattate a sostituire ad un semplicismo idolatrico quella qualsiasi religione che per prima ne seduca la fantasia con templii e grandi riunioni con sermoni e cantici. Altri popoli, più evoluti, vi son portati da sentimenti più elevati e da scopi sociali. «Il cafro — scrive dal Natal, uno zelante missionario — comprende oggidì ch:. i suoi veri amici sono i missionari: egli vuole la fede, vuole il Vangelo, e se il sacerdote cattolico non è là, va al ministro protestante o. Tuttavia da calcoli fatti sui più attendibili documenti di fonte protestante, risulta che sul principio di questo secolo (1899-900-901), dopo tanti anni di javoro, il numero dei cristiani indigeni di tutte le missioni protestanti del mondo non supera in cifra tondo, i 2 milioni; di cui probabilmente soltanto un quarto battezzati, e gli altri «comunicanti»: nome con cui sogliono designarsi gli affigliati alle diverse sette che abbiano partecipato alla «Cena» almeno una volta nel corso dell’anno. Ed anche tenendo conto degli aumenti dell’ultimo decennio, la cifra dei veri protestanti indigeni non può essersi di molto elevata. Ma se poche sono le conversioni che opera il pro• testantesimo, infinito è il numero delle anime che allontana dal cattolicismo in diverso modo, e primieramente seminando l’odio tradizionale e congenito alla Riforma, contro di esso. Ancora nel Natal, da Dundee dove egli risiede, il P. Texier degli Oblati di Maria, dopo aver dette che il paese è invaso da legioni di ministri, di predicanti, di seminatori di bibbie, soggiunge: «Alcuni sono uomini rispettabili, virtuosi, pieni di zelo e di abnegazione, e quando si discute con essi si constata la loro buona fede. Ma nutriti nei pregiudizi dell’eresia, non possono che odiare i cattolici e diffidare di essi. Quando, due anni fa, il magistrato di questa città si convertì al cristianesimo colla sua famiglia, il ministro anglicano disse alla propria moglie che egli avrebbe preferito vederla atea che cattolica». (Continua).

La federazione universitaria cattolica e le Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli Poniamo in vista a titolo d’onore il voto con cui il Congresso della Federazione universitaria cattolica ha deliberato che ciascun circolo promuova nel proprio seno una conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli. Questo è il più splendido frutto che sia stato raccolto dalle feste, indette l’anno scorso in ogni parte del