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IL BUON CUORE 357


cristianesimo, ed era d’uopo disilludere — una volta per sempre — gli ebrei del grande pregiudizio, che Dio dovesse essere un loro privilegio: che tutti gli altri popoli dovessero rimanere per sempre esclusi da quel felicissimo banchetto, a cui Dio aveva primamente chiamati gli ebrei, ed al quale ormai dovevano assidersi pure — per somma bontà e degnazione di Dio — tutte le genti e nazioni fin allora assenti. A quei tempi questa parabola — meglio questa riassunto storico in modo d’allegoria — doveva sembrare impossibile, come anche oggidì ci pare incredibile, anche compiutisi quegli avvenimenti che la parabola adombrava. Invero incredibile la villania degli invitati alla cena che si rifiutano per quelle miserabili scuse: incredibile la ferocia di chi assassina gli inviati dal re: incredibile la bonomia del re e la sua ostinazione nel costringere tutti alla cena del Figlio suo: incredibile poi la severità sdegnosa verso lo sfacciato che s’assideva al banchetto senza aver preso — con minimo disturbo — la veste nuziale. Eppure ciò che era — per allora — impossibile, ed oggi ci pare incredibile fu e rimane un fatto storico. Non occorre fare i nomi dei servi che Dio mandò nel mondo: i profeti, il precursore, infine Cristo e gli Apostoli ed ancor oggi la Chiesa grida l’invito di Dio alle genti tutte, ma... Ma non ne furono degni,. Perchè? Perchè non estimavano giustamente l’invito lor fatto: non capirono l’importanza del banchetto: non misurarono l’onore che loro ne derivava: quei miserabili credevano far onore al re, non di riceverne... oh! il pregiudizio fatale! ohi la strana pretesa! oh! deplorevole cecità!

Eppure la faccenda non è così strana, ne è meno infrequente il ripetersi di tali scene. Quanti non sono che s’accomodano quasi di malavoglia agli inviti di Dio? quanti s’irritano innanzi alle esigenze della sua legge, della sua morale! Quanti non sono che regolano — e sanno farsi una ragione — le opere pie, i precetti della Chiesa, la S. Messa festiva, la Pasqua, ecc., alle donnette, ai poverini, ai cadenti, ma se ne guardano bene loro!... loro giovani, loro scienziati di tecnica o ginnasio, loro colti alla scienza d’un foglio quotidiano; loro, uomini d’affari, loro, impresari d’una partita di sport, d’un divertimento, d’una cena, ecc.; loro, ricchi ai quali ripugna, non la posa democratica sulla

piazza, ma ripugna l’accostarsi alla miseria, ai cenci della poveraglia?‘!... Ma sì! loro — questi tali — andranno anche alla chiesa, quando si tratta• d’una funzione con carattere nazionale, interverrano quando celebra un principe della S. Chiesa., quando un popolo s’agita, in occasione straordínaria. Allora, oh! allora, sanno degnarsi di ricevere l’omaggio del popolo buono, sanno anche adattarsi all’ossequio che loro viene da Dio!... Mi domando, fuor di celia: E’ Dio, che ci onora quando ci chiama al suo servizio, o -- alle volte -siamo noi che lo onoriamo?

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Ci muove a sdegno la futilità dei pretesti per assentarsi dall’invito del re. Nella loro vacuità sono superati solamente dalle piccinerie del rispetto umano: superbia ed ignoranza, empietà e sciocchezze ad un tempo solo. Dove fermare la nostra attenzione è. sull’invitato, che per non aver avuto la veste nuziale, fu buttato alle tenebre esteriori. ’ Come ha potuto assidersi così — contro l’uso ed il generale costume — al banchetto? Perchè non gli impedirono il passo i portieri? I. servi non lo potevano osservare durante il servizio, durante il lungo tempo della cena? Perchè fu il solo re ad accorgersi di quella stonatura? A questo risponde splendidamente S. Ilario, vescovo. a Non a tutti è dato il potere di conoscere i cattivi, gli indegni, e l’umana debolezza difficilmente sa scoprire le macchinazioni e le arti dell’ipocrisia e dell’impostura. Per questo Dio solo — al quale si riserva il solo giudizio -- spetta di trovare, conòscere questo indegno e cattivo di mezzo al banchetto nuziale». E di qui cento e cento sorgono pratiche osservazioni. La Chiesa a nome di Dio dà esempio d’infinita bontà e sollecitudine nell’invitare tutti alla divina mensa della verità, della bontà, dei sacramenti... La Chiesa alle volte spinge ed urge: a lei è detta una grande parola: a Compèlle intrare!» spingili ad entrare qualunque tu trovi e nelle piazze e nelle case, e nelle vie, e negli orti, e nelle campagne, deboli, storpi, ciechi, ricchi, poveri, tutti, tutti... ma alla Chiesa non è imputabile la cattiveria, l’iniquità degli invitati; dovevano questi rendersene degni dell’invito, del banchetto col sacrificio, l’abnegazione, la rinuncia alla vita passata... se nol fecero, se si camuffarono da santi, rimanendo lupi fra le pecora, se