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354 IL BUON CUORE


votatisi a questo difficile e pericoloso apostolato, allorchè tornò la pace in Francia e poterono riprendere la loro veste talare e i loro nomi di battesimo, per una specie di pudore, non hanno generalmente voluto manifestare in pubblico le loro avventure e perciò si conosce relativamente poco di essi; di molti è rimasto perfino sconosciuto il nome. Il Pisani ne cita alcuni: l’abate Ciriez che si faceva passare per uomo di, legge, l’abate Magnin vicario di S. Rocco improvvisatosi venditore di abiti smessi, l’abate Malteste datosi al commercio ambulante di ciabatte fruste, l’ab. Sambucy-Saint-Estève, operaio presso un chincagliere, ed altri s’erano collocati come tipografi o commessi di studio. Il loro ministero cominciava alla sera, dopo il lavoro della giornata. Essi si sparpagliavano per la città recando sulle spalle un sacco della merce di cui s’erano fatti dei falsi venditori: al loro grido caratteristico, appariva a qualche finestra una testa; un segno ed essi salivano lassù; si capisce non per smerciare ciabatte o abiti, ma per battezzare un bambino, per confortare un ammalato, per dispensare assoluzioni. Compiuto ciò per cui erano stati chiamati, ridiscendevano nella via ad emettere il loro grido professionale. che per gli iniziati aveva questo significato: «ecco un prete che passa». L’abate Emery, superiore emerito del Seminario di S. Sulpizio è una delle figure più meravigliose per l’audacia con la quale egli seppe in circostanze difficilissime, moltiplicare le risorse dello zelo. Imprigionato il 3 agosto 1793, egli, che già toccava la sessantina, si era famigliarizzato presto al pensiero della morte costruendo nella tana dov’era stato rinchiuso con molti altri, un modello in piccolo della ghigliottina. Ivi, egli, come prima, attendeva alle sue pratiche devote, curando di isolarsi dal tumulto col turarsi le orecchie con della mollica di pane. Nelle ore di respiro egli si mostrava coi compagni di sventura e coi carcerieri di umore gaio, dolce nelle parole nei tratti, così che presto acquistò un ascendente notevole sulla triste masnada e i carcerieri stessi gareggiavano nel compiacergli. Aiutato dal di fuori dall’abate Béchet, l’Emery continuava dal fondo della sua tana a dirigere le coscienze e ad adempiere i doveri del suo ministero, riceveva frequenti visite, dall’abate Montagne e da altri sulpiziani che gli facevano tenere regolarmente le ostie e il vino per la messa quotidiana e per le Comunioni; così avveniva che proprio là dove il Terrore puniva i ribelli alle sue leggi antireligiose, quotidianamente si perseverava a celebrare e comunicare. E quel che avveniva a Conciergerie, grazie allo zelo dell’Emery che tirava profitto delle numerose relazioni che aveva, avveniva pure in pressochè tutte le prigioni minori. Quando non riusciva a far penetrare dentro travestito qualche sacerdote o gli eri. impossibile supplire personalmente, avvertiva i condannati prima che uscissero.per l’ultinio viaggio verso la ghigliottina che in questo o in quel luogo particolare si sarebbero incontrati con un prete tra vestito che li avrebbe assolti. Questi preti che amavano chiamarsi i cappellani della ghigliottina. erano di servizio una volta per settimana ciascuno. Cosa curiosa, questi uomini audaci, chissà forse per una protezione misteriosa e tacita, forse per la ragione stessa della loro temerità che allontanava i sospetti, sfuggirono tutti alla ghigliottina. Parechi però di loro furono denunciati e furono ad un dito di salire il palco fatale. L’abate Pisani cita nel suo libro interessante un epissodio staordinario a queste proposito. In via della Barillerie n. 27, dove è oggi il corpo dei pompieri, vicino al palazzo di giustizia e quindi tra il carcere e il tribunale esisteva allora una modesta bottega di chincaglierie che si intitolava sulla Alla flotta inglese». Il painsegna pretenziosa: drone da dieci anni era infermo di paralisi ed aveva dovuto cedere completamente tutti gli affari del negozio alla moglie, signora Bergeron. Questa, non era donna da poco, abile e sollecita in poco tempo aveva perfino ottenuto dal governo rivoluzionario la fornitura di oggetti in ferro e in acciaio per la fabbricazione delle armi. Per spedire l’affare aveva dovuto assumere al proprio servizio prima un fonditore nativo di Cahors, poi un tornitore di Aveyron, tutti e due gente tranquilla e laboriosa. Senza dubbio, i due non erano troppo abili, si vedeva subit) che non avevano mai lavorato in Parigi, ma dimostravano tanta buona volontà, erano di abitudini tanto tranquille che tutti nel quartiere li •amavano. Secondo l’uso allora quasi generale i due vivevano con la padrona che pensava al loro vitto e all’alloggio: Un giorno, il 25 messidoro dell’anno II, la polizia scopre in casa della signora Bergeron nientemeno che un altare con relativi reliquari, candelieri e tutto insomma la suppellettile necessaria per dir messa; una vera e propria cappella di culto. Sorpresa generale; i due operai erano due preti autentici, il fonditore era l’abate Bruno de Lalande, il tornitore l’abate di Sambucy. La Bergeron e i due preti furono naturalmente incarcerati e al processo questi confessarono di aver continuato a celebrare tutti i giorni per diciotto mesi. Dopo il lavoro, sul tramonto prendevano congedo dalla padrona e uscivano per le vie a scrutare i richiami convenzionali delle finestre. Con una temerità stupefacente avevano osato celebrare nel giugno 1794 la festa del Corpus Domini; il Sacramento era stato esposto nella cappella clandestina per tutto il giorno e alla sera si erano cantati a mezza voce inni e salmi. Quando comparvero davanti al commissario i tre eroi non dubitarono di confessare tutto con candore, aspettando serenamente la loro sorte. — Ma voi sapevate bene — disse alla Bergeron il commissario — che i due operai erano due preti refrattari? — Sicuro — rispose quella — se non lo fossero stati non li avrei presi con me.