votatisi a questo difficile e pericoloso apostolato,
allorchè tornò la pace in Francia e poterono riprendere la loro veste talare e i loro nomi di battesimo,
per una specie di pudore, non hanno generalmente
voluto manifestare in pubblico le loro avventure e
perciò si conosce relativamente poco di essi; di molti
è rimasto perfino sconosciuto il nome. Il Pisani ne
cita alcuni: l’abate Ciriez che si faceva passare per
uomo di, legge, l’abate Magnin vicario di S. Rocco
improvvisatosi venditore di abiti smessi, l’abate Malteste datosi al commercio ambulante di ciabatte fruste, l’ab. Sambucy-Saint-Estève, operaio presso un
chincagliere, ed altri s’erano collocati come tipografi o commessi di studio. Il loro ministero cominciava
alla sera, dopo il lavoro della giornata. Essi si sparpagliavano per la città recando sulle spalle un sacco
della merce di cui s’erano fatti dei falsi venditori:
al loro grido caratteristico, appariva a qualche finestra una testa; un segno ed essi salivano lassù; si
capisce non per smerciare ciabatte o abiti, ma per
battezzare un bambino, per confortare un ammalato,
per dispensare assoluzioni. Compiuto ciò per cui erano stati chiamati, ridiscendevano nella via ad emettere il loro grido professionale. che per gli iniziati
aveva questo significato: «ecco un prete che passa».
L’abate Emery, superiore emerito del Seminario
di S. Sulpizio è una delle figure più meravigliose
per l’audacia con la quale egli seppe in circostanze
difficilissime, moltiplicare le risorse dello zelo. Imprigionato il 3 agosto 1793, egli, che già toccava la
sessantina, si era famigliarizzato presto al pensiero
della morte costruendo nella tana dov’era stato rinchiuso con molti altri, un modello in piccolo della
ghigliottina. Ivi, egli, come prima, attendeva alle
sue pratiche devote, curando di isolarsi dal tumulto
col turarsi le orecchie con della mollica di pane.
Nelle ore di respiro egli si mostrava coi compagni
di sventura e coi carcerieri di umore gaio, dolce nelle
parole nei tratti, così che presto acquistò un ascendente notevole sulla triste masnada e i carcerieri
stessi gareggiavano nel compiacergli.
Aiutato dal di fuori dall’abate Béchet, l’Emery
continuava dal fondo della sua tana a dirigere le
coscienze e ad adempiere i doveri del suo ministero,
riceveva frequenti visite, dall’abate Montagne e da
altri sulpiziani che gli facevano tenere regolarmente
le ostie e il vino per la messa quotidiana e per le
Comunioni; così avveniva che proprio là dove il Terrore puniva i ribelli alle sue leggi antireligiose,
quotidianamente si perseverava a celebrare e comunicare.
E quel che avveniva a Conciergerie, grazie allo
zelo dell’Emery che tirava profitto delle numerose
relazioni che aveva, avveniva pure in pressochè tutte
le prigioni minori. Quando non riusciva a far penetrare dentro travestito qualche sacerdote o gli eri.
impossibile supplire personalmente, avvertiva i condannati prima che uscissero.per l’ultinio viaggio
verso la ghigliottina che in questo o in quel luogo
particolare si sarebbero incontrati con un prete tra
vestito che li avrebbe assolti. Questi preti che amavano chiamarsi i cappellani della ghigliottina.
erano di servizio una volta per settimana ciascuno.
Cosa curiosa, questi uomini audaci, chissà forse per
una protezione misteriosa e tacita, forse per la ragione stessa della loro temerità che allontanava i
sospetti, sfuggirono tutti alla ghigliottina. Parechi
però di loro furono denunciati e furono ad un dito
di salire il palco fatale. L’abate Pisani cita nel suo
libro interessante un epissodio staordinario a queste
proposito.
In via della Barillerie n. 27, dove è oggi il corpo
dei pompieri, vicino al palazzo di giustizia e quindi
tra il carcere e il tribunale esisteva allora una modesta bottega di chincaglierie che si intitolava sulla
Alla flotta inglese». Il painsegna pretenziosa:
drone da dieci anni era infermo di paralisi ed aveva dovuto cedere completamente tutti gli affari del
negozio alla moglie, signora Bergeron. Questa, non
era donna da poco, abile e sollecita in poco tempo
aveva perfino ottenuto dal governo rivoluzionario
la fornitura di oggetti in ferro e in acciaio per la
fabbricazione delle armi. Per spedire l’affare aveva
dovuto assumere al proprio servizio prima un fonditore nativo di Cahors, poi un tornitore di Aveyron, tutti e due gente tranquilla e laboriosa. Senza
dubbio, i due non erano troppo abili, si vedeva subit)
che non avevano mai lavorato in Parigi, ma dimostravano tanta buona volontà, erano di abitudini
tanto tranquille che tutti nel quartiere li •amavano.
Secondo l’uso allora quasi generale i due vivevano con la padrona che pensava al loro vitto e
all’alloggio:
Un giorno, il 25 messidoro dell’anno II, la polizia scopre in casa della signora Bergeron nientemeno che un altare con relativi reliquari, candelieri
e tutto insomma la suppellettile necessaria per dir
messa; una vera e propria cappella di culto. Sorpresa generale; i due operai erano due preti autentici, il fonditore era l’abate Bruno de Lalande, il
tornitore l’abate di Sambucy. La Bergeron e i due
preti furono naturalmente incarcerati e al processo
questi confessarono di aver continuato a celebrare
tutti i giorni per diciotto mesi. Dopo il lavoro, sul
tramonto prendevano congedo dalla padrona e uscivano per le vie a scrutare i richiami convenzionali
delle finestre. Con una temerità stupefacente avevano osato celebrare nel giugno 1794 la festa del
Corpus Domini; il Sacramento era stato esposto
nella cappella clandestina per tutto il giorno e alla
sera si erano cantati a mezza voce inni e salmi.
Quando comparvero davanti al commissario i tre
eroi non dubitarono di confessare tutto con candore, aspettando serenamente la loro sorte.
— Ma voi sapevate bene — disse alla Bergeron
il commissario — che i due operai erano due preti
refrattari?
— Sicuro — rispose quella — se non lo fossero
stati non li avrei presi con me.