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322 IL BUON CUORE


Ci parrebbe, quasi, di veder morire Venezia medesima, il giorno in cui dai suoi canali essa sparisse; e un po’ dell’incantesimo del suolo d’Italia svanirebbe per sempre... Eccoci lontani dalle visioni sentimentali e dalle concezioni romantiche, alle quali non c’è, in verità, bisogno di ricorrere per difendere la gondola da coloro che la vorrebbero sommersa per sempre: basta appellarsene ai diritti dello spirito tradizionale, substrato necessario alla vitalità nazionale ncl quale debbono rimanere avvolte e protette anche le cose in apparenza più umili e più semplici, qu-ndo esse siano parte integrante del retaggio di bellezza del nostro paese.

Rammenterò sempre il sorriso fatto di ironia appena larvata e di sdegno represso col quale tre anni fa a Bruges, la nobile damigella van Hamme de Stampaertshoncke, superiore degnissima di quel Bèguinage, si compiaceva narrare alla nostra comitiva di giornalisti torinesi che a Bruges si progettava di impiantare i tram elettrici e di metter su immensi empori di novità proprio in quella meravigliosa Place du Bourg che è tutta un trionfo ed una gioia di architettura e di arte gotica. C’era in quel sorriso la visione netta e sconfortante dell’irreparabile disastro che simile modernismo edilizio avrebbe costituito per la vetusta e gloriosa città fiamminga. In verità, che ne sarebbe di Bruges, di Bruges-laMorte, il giorno in cui i tozzi e variopinti carrozzoni tramviari turbassero la pace assoluta, la melanconia di una dolcezza senza fine del suo Lac d’Amour silente e fiorito? Oh! fascino senza pari della città tutta raccolta nel prestigio del suo passato, deserta di uomini, popolata di marmi, di tele, di guglie, di cappelle e di palazzi che sono tesori e ripetono al visitatore attonito la gloria senza ritorno del Medio Evo e lo splendore dell’arte fiamminga, per quale aberrazione la gente del nostro tempo potrebbe contaminare tanto splendore, e mettere in opera il piccone demolitore, onde far largo a qualche gigantesco e mostruoso antro mercantile? Seppi più tardi che il pericolo era stato scongiurato: l’ingranaggio affaristico nel quale Burges-laMorte rischiava di rimanere impigliata si era fermato, in seguito alla rivolta dell’immensa maggioranza dell’opinione pubblica. Meglio così! Ma io credo che se un giorno dovesse veramente perpetrarsi la minacciata profanazione della meravigliosa città fiamminga, fin Carlo il Temerario ne fremerebbe di sdegno nel suo sarcofago della Cattedrale, e insorgerebbe, con la spada che sa l’antico valore, a mozzare le teste dei novelli barbari. t Ah! sì, andate a dire tutto ciò ai maniaci del fatalismo progressista, se volete, farli ridere di compasiione e sentirvi dare dell’oscurantista — in voce tre mula — . Eppure, spesso, il ridicolo e l’assurdo sono dalla loro. Non più tardi di cinque anni fa, ad esempio, misero la Svizzera a soqquadro per influenzare il governo e strappargli la concessione di una ferrovia che salisse il Cervino sino alla vetta! Anche allora era in ballo il progresso ineluttabile, il quale esigeva assolutamente per il benessere umano e per il trionfo della civiltà, che il colosso alpino venisse deformato, raschiato, vivisezionato, e regalato per giunta di un berretto da notte — ossia di una immensa gabbia di vetro — sul cocuzzolo, per dar agio, a chi non potesse farlo con le proprie gambe, di andare a veder le novità che ’ci sono a quattromila metri e più. Si capisce subito quale immenso vantaggio l’umanità ed il progresso avrebbero ricavato dal fatto che, ogni anno, quelche centinaia di turisti annoiati e blasés e alcune dozzine di cagnolini per bene, t vessero potuto sedersi a colazione nella suddetta gabbia di vetro, e far scattare i loro Kodak nel punto dove, or sono quasi cinquant’anni, si svolse l’orribile catastrofe della prima ascensione. Lo si -capì così bene, che il Consiglio Federale svizzero (nel quale gli esteti sono piuttosto rari...) malgrado tutte le pressioni degli interessati rispose picche, negò cioè la concessione per la ferrovia, e si ebbe le congratulazioni di quanti opinano che il progresso. per esser veramente tale, non deve esautorarsi nel grottesco. Modernizzato a quel modo il Cervino avrebbe perduto per sempre la sua fisionomia; ed il solitario re delle Alpi che è per gli Svizzeri un obelisco glorioso, nel quale sta inciso il simbolo e la sintesi delle bellezze e della indipendenza della. Patria,’ si sarebbe mutato in un albero di cuccagna per Tartarin. Si tratti, insomma, delle meraviglie gotiche della Fiandra, della cuspide nevosa del Cervino, o della gondola veneziana, la quistione va prospettata sotto un aspetto essenziale: quello dell’intangibilità di tutto il patrimonio di cose belle che furono testimoni maggiori della grandezza, dello splendore degli avi; in cui essi molto trasfusero della loro anima, affinchè costringendoci alla visione perenne del passato, potessimo — guidati dall’antica saggezza — non abbandonare la via del bene nè disperderci per i sentieri del brutto. Non mi illudo al punto di credere che un simile ragionamento sia suscettibile di convincere molto i gondolieri di Venezia, supposto che essi mi facciano il grande onore di leggere queste righe... Ma credo, peraltro, che nella regina dell’Adriatico, l’onorata corporazione non abbia ancora rubato il mestiere al Consiglio dei Dieci; che i suoi deliberati, cioè, non siano ancora inoppugnabili ed inappellabili. In verità, se havvi un caso in cui l’intervento di chi è investito delle responsabilità inerenti alla tutela del patrimonio intellettuale e materiale di una città che — come Venezia -- molto si alimenta del suo passato e delle sue tradizioni, sarebbe desiderabile e giustificato, questo caso è proprio il nostro. Chi possiede tali responsabilità non dovrebbe permettere — mi sembra — che il deliberato di una corporazione di onesti ma non.infallibili popolani tolga a poco