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274 IL BUON CUORE


rata la bandiera della rivolta e armata la nazione; si accingevano, anzi, a punirlo severamente. La signora di La Fayette abitava, in quest’epoca, con il figlio Giorgio, dodicenne, e le due figliuolette Anastasia e Virginia,.il suo castello di Chavaniac, nel dipartimento della Alta-Loira. E’ là che venne a colpirla l’improvviso cambiamento d’opinione nei riguardi dell’adorato marito. Il io settembre 1792, Chavaniac viene invaso; si arresta la signora di La Fayette e la si conduce al capoluogo, dove la si imprigiona. Al primo interrogatorio, essa dà prova di tanta fermezza e sangue freddo che ottiene di ritornare al castello sotto giuramento di non allontanarsene. Appena rientrata ne’ suoi dominii, apprende, che suo marito è stato inviato, per Arlon, Luxembourg e Trèves, a Coblentz e consegnato al re di Prussia. Egli è ora internato nella fortezza di Spandau. Decisa a non indietreggiare dinanzi ad alcun passo per salvare colui «che ella ama e venera al di sopra di tutto», si dispera di non essere più in prigione; tenterebe almeno di avadere; è vergognosa di essere libera, ’vincolata per la parola data, e di non poter far uso della sua libertà per volare in soccorso dell’uomo che non ha più al mondo altro appoggio che il suo. Come preferirebbe avere vicino dei carcerieri che tenterebbe di comperare e guadagnare alla causa sua! Ella professa per suo marito un sentimento così appassionato che si abbassa a supplicare in ginocchio il ministro Roland di scioglierla dal giuramento. Ma costui teme di compromettersi e fa rispondere che «vedrà quando le circostanze saranno cambiate» Ridotta all’inazione, scrive; spera che gli americani, i quali debbono tanto a La Fayette, si interesseranno alla sorte del prigioniero. Si rivolge al Governatore Morris, ambasciatore degli Stati Uniti, allo stesso Washington: Morris non può far nulla e Washington non risponde. La signora di La Fayette decide di separarsi dal suo piccolo Giorgio; gli procura un passaporto; con la scorta di un precettore, il fanciullo si imbarcherà per l’Inghilterra dove, forse, potrà raccogliere dei difensori per il padre. Vana speranza: Giorgio è fermato a Bordeaux e non riesce ad eludere le sorveglianze. ’ Il Terrore è venuto. A Chavaniac i giorni- si eternizzano nell’angoscia del domani. In brumaio finalmente i sanculotti si presentano. La signora di La Fayette, nuovamente arrestata, viene condotta a Brioude e imprigionata. Dopo tre mesi arriva l’ordine di tradurla a Parigi: il patibolo la reclama. Alla vigilia della partenza, essa ottiene di rivedere i suoi figli: dimentica de’ suoi stessi pericoli, fa loro solennemente promettere di tutto tentare, se essa muore, per ritrovare il loro padre di cui, da sei mesi, non si hanno notizie. Poi è il lungo viaggio verso la capitale, l’incarcerazione nella prigione di Plessis, via Saint-Jacques, il grande serbatoio dal quale attinge Fouquier-Tinville, sla più vasta e la più popolata di tutte le prigioni dí Europa. Ella ritrova là una sua parente, la signora di Duxas, le

sue vecchie relazioni della Corte, le signore di Rochechouart, di Richelieu, di Barbentane, di Pons; apprende che La Fayette, dopo aver languito nelle prigioni di Spandau e di Magdebourg, è stato inviato al fondo della Slesia e sepolto in una prigione malsana, sorvegliata notte e giorno dalle sentinelle. Essa, allora, non sogna più che di raggiungerlo. Intorno a lei il Terrore falcia: si vive, a Plessis, fra i singhiozzi, gli addii, lo spavento: l’appello quotidiano di quelli che vanno a morire riempie la prigione di grida, di supplicazioni, di rumori sinistri. La madre, la sorella, l’avola della signora di La Fayette sono nel numero delle vittime. Ma essa impone silenzio al suo dolore: non vuole avere che una preoccupazione, quella di suo marito che è solo, senza conforti, così lontano... Dimentica la prigione nella quale essa stessa agonizza per non pensare che a quella dove vive l’amato sposo. E non appena il thermidoro apre le prigioni, non appena è libera, chiede un passaporto, parte per l’Auvergne, raggranella un po’ di denaro, si imbarca a Dunkerque con le due figlie, arriva ad Hambourg, si informa, apprende che La Fayette, ceduto dal re di Prussia all’Austria, trovasi ancora incarcerato ad Olmutz, al fondo della Moravia. Attraversa tutta l’Europa, si ferma a Vienna, sollecita ed ottiene dall’imperatore il favore di rinchiudersi con il detenuto, e nel trasporto della gioia, esultante di realizzare finalmente il pio desiderio che la ossessiona da tre anni e inspira ogni sua azione, raggiunge la melanconica città dove l’attende una nuova prigione. Degli alti muri, uno sportello, dei soldati. Un portinaio brutale fruga le tre donne: poi le spinge in un cortile triste; un corridoio, un altro corridoio ancora. Le serrature stridono, le catene ricadono. Una porta si apre. Sottò la volta bassa di una cella, è seduto un uomo, magro, incurvato, la barba lunga; egli è vestito di tela grigia. E’ La Fayette. Quale abbraccio! Da due anni il generale non sapeva nulla nè della sua famiglia, nè della Francia, e, da prima, rimase muto di stupore. Sotto l’abbraccio di suo moglie e dei suoi figli, riprende i sensi. Ohimè! egli è irriconoscibile: tossisce, la sua schiena è curva, appare vecchissimo. Anche quella è più pallida d’una volta: ha qualche capello grigio. Profondamente commossi, non lasciano di guardarsi. Anastasia, la più anziana delle figliuole, è quasi una donna, ed è bella; Virginia, che i singhiozzi soffocano, è diventata grande ed è graziosa. Frasi interrotte, mille questioni da una parte e dall’altra e poi lunghi racconti. Della rivoluzione agli inizii della quale egli aveva assistito, il prigioniero nulla sapeva. Apprese in qualche ora diciotto mesi di storia, e le stragi, e le guerre, e i nomi delle vittime ed il formidabile scompiglio. Poi, scesa la notte, bisognò allogare i prigionieri. Le due figliuole si coricarono sopra un materasso in una cella vicina: la signora di La Fayette divise la cella con suo marino. Mangiano alla gamella con l’aiuto delle dita, essendo impedito l’u