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Anno XII. 30 Agosto 1913. Num. 35.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —La Signora di Lefayette.
Religione. —Vangelo della prima domenica dopo la Decollazione.
Convegno Nazionale di padri famiglia. — Femminismo precoce.
Beneficenza. —Pel Pio Istituto Oftalmico. — Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi.
Notiziario. —Necrologio settimanale. — Diario.

Educazione ed Istruzione


La signora di La Fayette



Malfatto e senza grazia, coi capelli rossi, gli occhi grigi a fior di testa, la faccia smorta senza espressione, i modi freddi, La Fayette era, tuttavia, un ammaliatore. Egli possedeva tutte le qualità che attirano e incatenano: la bontà, il valore, opinioni cavalleresche e disinteressate; i suoi stessi difetti — la noncuranza e la leggerezza, la mancanza di discernimento, una crudelità un po’ sciocca — non riuscivano ad alienargli le simpatie.

Sua moglie lo adorava: lo amava «cristianamente, mondanamente, passionatamente».

Un’altra si sarebbe addolorata di trovarsi unita a questo girella politico, ubbriaco di popolarità ed insaziabile di gloriuzza. Nata Noailles, imparentata alle famiglie più nobili e realiste di Francia, la signora di La Fayette avrebbe potuto, senza che alcuno vi trovasse a ridire, giudicare severamente suo marito che, gentiluomo, si era perdutamente lanciato nelle avventure rivoluzionarie, prendendo- le parti del popolo contro la Corte; avrebbe potuto soffrire delle compromissioni che le imponeva e delle sue dimestichezze plebee. Ma gli perdonava tutto: la scappata d’America dopo qualche settimana di matrimonio, le sue lunghe fughe, i suoi sogni di fama di cui ella temeva fortemente le conseguenze, le sue stesse numerose e clamorose infedeltà. La poveretta si gloriava di averne la miglior parte, poiché era sua moglie, e le bastava che egli avesse la bontà di amarla. Benché gli fosse superiore per il giudizio ed odiasse la rivoluzione, ch’egli, invege piaggiava,
era, fin dal primo giorno, diventata a fayettista i con tutta l’anima. Lasciavasi convincere dalle idee di questo fanciullone malgrado le loro sconcertanti contraddizioni, accettava i suoi voleri, anche quando le riuscivano dolorosi e gli obbediva con vivissima gioia, avendogli consacrato una tenerezza esaltata ed inalterabile. Una simile passione per un simile uomo, quasi sempre assente e intento unicamente a conservare ed accrescere la sua abbastanza fosca rinomanza, avrebbe dovuto, sembra, condurre la nobile donna alle peggiori disillusioni. Niente affatto, scrive P. Lenotre, che traccia il profilo di questa vera dama, servendosi di un recente volume di Raoul Arnaud (Etudes d’histoire révolutionnaire. Sous la Rafale). Niente affatto: essa vi trovò la felicità di tutta la sua vita, fatta, come tutte le esistenze completamente felici, di prove, di sacrificii e di rinuncie. Giacché se era orgogliosa di essere la signora di La Fayette, questo titolo le procurava, però, molti affronti. A tale titolo doveva, infatti, i sarcasmi e l’allontanamento dei borghesi tra i quali era costretta a vivere, i sospetti dei repubblicani più accesi, inquieti per la popolarità di suo marito. Il quale, poi, dagli aiutanti di campo in fuori, non aveva in realtà amici politici, non essendo schiettamente nè costituzionale, nè democratico, ed ancor meno realista; era quasi solo a rappresentare la sua opinione, la quale consisteva nell’essere puramente e semplicemente «fayettista». E quando, obbligato a rassegnare le sue funzioni di comandante delle guardie nazionali, posto alla testa dell’armata del Nord, egli si vide, dopo il rovesciamento della monarchia, sospetto ai soldati e vicino ad essere arrestato come ribelle, commise una sciocchezza suprema: guadagnò la frontiera con tutto il suo stato maggiore ed andò a farsi prendere dagli austriaci nel territorio di Liegi. In Francia si gridò al tradimento: il transfuga fu trattato di malvagio, di disertore e giudicato «il più grande dei delinquenti». Da parte loro i governi stranieri lo consideravano come il responsabile di tutte le catastrofi rivoluzionarie, nè erano disposti a rilasciare il gentiluomo rinnegato che aveva tradito il suo re, sollevato il popolo, inalbe-