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IL BUON CUORE 245


tà... non hanno conseguenze... tangibili, dunque?... Si tollera - per essere moderni una libertà eccessiva alla Signorina. Non se ne controllano le letture, le corrispondenze, le amicizie... Le pratiche di pietà sono o trascurate o fatte male o per uso di famiglia... non è gran male; gran male si ha solo quando un rovescio di lagrime, confessa una colpa, quando un delitto pone termine. ad una vita corretta pel.... mondo. Non si odia, no. Dio guardi dall’odio il nostro cuore che si strugge al cinguettio dei nostri uccelli, alle moine dei nostri animali domestici: l’antipatia la si conserva pei nostri servi, pei nostri fratelli, pei cienciosi... Non odiando si va all’altare per vivere con Dio, di Dio, per vivere con... Cristo. No! ritornate su di voi... togliete le vostre imperfezioni umane... sarete allora con Cristo. B. R.

Vittoria d’Inghilterra e Leone XIII

La Revue générale pubblica un lungo e interessante studio di F. de Bernhardt sulle condizioni del cattolicismo in Inghilterra durante gli ultimi cinquant’anni. Vi si contengono alcuni particolari che meritano di essere conosciuti e riguardano la religiosità della regina Vittoria e i suoi rapporti col cattolicismo. Ognuno ricorderà come negli ultimi anni del lungo regno della grande regina si buccinasse un po’ dappertutto che essa si fosse secretamente convertita al cattolicismo. Alcuni giornali informatissimi d’allora ne erano tanto certi che pretendevano conoscere senz’altro la ragione vera dell’annuale viaggio che la regina Vittoria soleva fare nel mezzogiorno della Francia. Non osando in patria, essa si recava sotto altro cielo per adempiere il precetto pasquale come una buona e fervente cattolica. Niente di meno vero. Le opinioni seligiose della regina si mantennero pressochè sempre uguali, con una spiccata simpatia per il calvinismo. Mentre attorno a lei il protestantesimo inglese per una logica interna che è più forte dei pregiudizi antichi, andò man mano evolvendosi e assumendo un aspetto che più lo avvicina al cattolicismo romano, essa invece, spirito conservatore per natura, subì un processo inverso, irrigidendosi sempre più nei dogmi oscuri del fosco eresiarca ginevrino. E’ noto infatti come, a differenza di tutte le nomine di carattere ecclesiastico, tenesse assai a quella del primate di-Canterbury per assegnare, l’importante ufficio ad un ecclesiastico della «Bassa Chiesa»; è noto pure che dei parecchi cappellani di Corte di cui amava circondarsi, nessuno apparteneva alla Chiesa alta, o alla frazione dei ritualisti. Ne’ suoi soggiorni in Iscozia ella frequentava senza scrupolo le chiese dei presbiteriani, i quali, nel mosaica

protestantico, compongono la setta più affine al calvinismo: in quei famosi viaggi in Francia poi, è bensì vero che essa non si recava dietro elemosinieri, ma è anche vero che sul suolo francese durante le sue permanenze quasi sempre il caso voleva che vi si trovasse qualche vescovo aulico di fede e di cuore che accettava di officiare per la sovrana. Le voci di una sua conversione si sparsero negli ultimi anni del suo regno, perchè in modo evidentissimo profondamente mutati erano i sentimenti della regina nei riguardi dei cattolici: se prima quelli erano stati fieramente ostili, in ultimo erano divenuti non soltanto pacifici, ma benevoli e perfino cordiali. Nei primi anni del suo regno essa aveva in materia religiosa come in tutto il resto subito l’ascendente del principe Alberto, suo marito, il quale, come è noto professava una specie di pietismo razionalista di colore tedesco e apertamente ostile al cattolicismo romano. Quando nel 1850 Pio IX ristabiliva in Inghilterra la gerarchia cattolica fu per tutto il Regno Unito un’esplòsione di sdegno: la famiglia reale non dubitò di prendere la iniziativa dell’agitazione popolare di protesta e fu per istigazione diretta della regina che lord John Russel,’ allora primo ministro, scrisse al vescovo di Durham la famosa lettera che è il più grotteSco esemplare di lettera bassamente partigiana che sia uscito dalla penna’ di un uomo di Stato. La regina stessa non dubitò allora di uscire dal riserbo naturale e di trascendere in rappresaglie. Ad un ricevimento di Corte essa non dubitò di voltare bruscamente il dOrso ad un prelato romano addetto ad un ambsciatore come cappellano, e di far inserire nella Gazzetta Ufficiale la notizia della scortesia e de ila grave offesa al diritto delle genti da lei fatta. Morto il principe Alberto, l’animosità partigiana andò man mano scemando, e ciò per l’intervento di parecchie circostanze, le une di carattere intimo, le altre di carattere pubblico. Non è estranea a questa evoluzione la gratitudine che essa provò e dimostrò parecchie volte per le cortesi accoglienze delle frequenti visite artistiche che essa faceva ai monumenti antichi, alle basiliche e agli antichi monasteri. La visita fatta alla grande Certosa in Francia fece epoca nella sua vita; i monaci tennero a dimostrarle che i dissensi religiosi non impediscOno di essere gentili con un’ospite regale, e le fecero un ricevimento memorabile. Ciò che fini però a dissiparle dall’animo ogni vecchia ombra di rancore per i cattolici, fu la graziosa iniziativa presa nel 1887 dal Sommo Pontefice, in occasione del 50.mo anniversario’ del suo regno. Leone XIII e Vittoria non erano estranei uno all’altro. Nel 1846 Gioachino Pecci prendendo congedo dal re Leopoldo I del Belgio, aveva mostrato al sovrano il desiderio di avere da lui una commendatizia per ottenere un’udienza con la regina Vittoria, sua regale cugina. Il re, che del giovane nunzio pontificio aveva un alto concetto e l’aveva anzi fatto latore di una lettera autografa per Greghrio XVI