miseria, i subdoli assalti dei morbi germinanti
dalla strage per alimentare la strage «Non vi sono
pause di pace per i feriti» scrisse un giorno durante
il primo armistizio un corrispondente di guerra che,
invano aveva chiesto di avanzare coi combattenti, e
che dovè accontentarsi di poter avvicinare, quando
volesse, quelli che non potevano combattere più, raccolti negli ospedali improvvisati, curati con molta volontà buona — non sempre con sufficienti mezzi —
da tutti i volontari e le volontarie dell’assistenza e
della carità.
— Non vi è tregua per i doloranti! — e forse neppur quasi ricordanza: — non vi è riposo per le mani
che a loro si tendono lenienti.
E sono — noi sappiamo — quasi tutte mani femminee. Mani diverse: fine e bianche le une, per le
quali non basta la rude fatica di qualche settimana
a togliere il segno delí’aristocrazia di razza, inciso
come per tenue lavoro di sbalzo e cesello nella trama
delle vene; ruvide, arrossate, olivastre le altre che
portano quasi di soppiatto una loro umile offerta;
mani povere che cercane) i poveri, con i quali hanno
però comune la favella, la patria, spesso la famiglia,
la casa.
Vi è in ogni grande e piccolo evento che si svolga
fra gli uomini e per gli uomini una sorgente limpida
e fonda di bellezza: dove palpita un cuore, dove
può, per un istantei pur se niuno sguardo lo colga,
rivelai-Si e affermarsi in una nuova o inusata forma
l’individuo ineffabile, ivi sorride vittoriosa la ricchezza possente e rinnovatrice dell’umanità.
La guerra di Oriente ci ha forse dato per i mille
suoi aspetti di glorie e di valore, di crudeltà e di
barbarie, di generosità e di egoismo, di altezza e di
abbiezione morale, uno spettacolo che non si rinnoverà più L’antica voce che chiamò attraverso i tecoli ad ogni bando di guerra, le pie creature misericordiose, che debbono o riaccompagnare ai sentieri
della vita, o condurre fino al transito della morte i
caduti, risuonò questa volta ampia e varia come non
mai. Le prime a giungere all’appello furono, come
sempre, quelle che i secoli e la fede hanno addestrato al compito pietoso: le suore che hanno, le parole e
gli atti più soavi, perchè più alto è il loro sguardo,
avvezzo a cercare i cieli oltre l’orizzonte; che non
hanno patria perchè diviene loro patria quella di chi
soffre, e di chi muore; che hanno dimenticato il loro
nome pur se fu un tempo accompagnato da un fulgido titolo nobiliare, perchè ne hanno accolto uno.
solo, venuto a loro dall’età trascorsa, per essere
consegnato all’età avvenire: quello di sorelle. Ma
oltre queste eroiche messaggere della fede e della
pietà superanti, con la virtù di un sacrificio che appar sòvente quasi miracoloso, l’umanità mediocre o
normale, risposero al richiamo molte altre coraggiose,
cui non sorride certo il desiderio di dare tutta la vita,
ma che son pronte ad immolare al bene altrui qualche
mese di penoso e faticoso lavoro.
La guerra odierna è forse l’ultima che di fronte
all’Europa abbia rimesso a contrasto due civiltà, sa
rei per dire due epoche diverse. Le primigenie energie
di popoli (non ancora conchiusi entro il molle, vischioso, ma tenace cemento della diplomazia) dilaniando le ultime debolezze di una nazione esausta;
si sono dispiegate dinnanzi alla colossale compagine
d’interessi e di forze di un aggregato di genti, da
tempo avvezze al dominio e al comando. Fra i piccoli segni rivelatori di questo dualismo che non più
si ripeterà — almeno in Europa — a me piace notare il diverso modo con che le donne hanno partecipato alla guerra, assumendo la missione di aiutare,
confortare, assistere i caduti. Irreggimentate e distribuite in candide schiere, vestite di una divisa che
non si può non riconoscere leggiadra, le accenditrici
dellà simbolica lampada di miss Nithtingale partirono da ogni angolo di Europa, per giungere là ove si
soffriva e moriva. Di molte, molte sapemmo subito,
per la molteplice complicità dei giornali di tutte le
nazioni, il nome gentile: le varie Kodak dei corrispondenti e magari dei dilettanti ci hanno trasmesso
altrettante giovani imw.gini leggiadre d’infermiere
volontarie. Questo, ne conveniamo, non diminuisce
per esse le fatiche e i disagi, spesso inesorabilmente
inevitabili, ma aiuta — nevvero? — o offrir gli elementi — a chi compilerà la storia della Croce Rossa
-- per una bella, interessante pagina regalmente illustrata. Ed è giusto, dopo tutto, ’che sia così! La
civiltà moderna ha disciplinato, diviso, suddiviso,
le opere di assistenza e di previdenza, le ha moltiplicate per dare a tutte le donne un posticino, per
il quale si può acquistare un poco della pubblica ammirazione, a fare nondimeno qualche cosa di bene.
Ancora una volta dobbiamo rammentare che l’eroismo puro, alto, disinteressato, di se stesso dimentico,
non si può attendere da tutti. La filantropia non
conta sulle dedizioni infinitamente generose di vite
di fortunè intere; ma senza dubbio il suo largo richiamo alla assistenza degli infermi, vittime della
guerra, è una delle sue più caratteristiche esigenze
di quelle che richiedono, da chi l’accoglie, generosità maggiore. V’è chi potrà obbiettare che la pietosa opera lusinga ed attira molte anime femminili
anche per le emozioni nuove che dona, perchè seconda il muliebre desiderio di - spettacoli inconsueti, perchè sospinge verso piaghe ignorate e meravigliosamente pittoresche, già sorrise all’ansiosa fantasia;
perchè i drammi dei popoli hanno una grandiosità
che raramente si ripete; e ciascuna verrebbe cogliere
imprigionare nel ricordo un lampo vivido di bellezza tragica che s’accenda e fiammeggi sovra il terribile spettacolo delle ecatombi umane. Ma perchè
sottilizzare? Perchè menomare la poesia di che si
usan circondare le dame rosso-crociate?
Comunque esse impersonano per i malati l’attribuzione più dolce della donna; che tutta la femminilità par talora s’includa nel gesto della mano che
porge il balsamo, che passa leggera sulle fronti febbrili, che fa schermo agli occhi deliranti perchè non
veggan più le immagini di sàngue, che solleva il volto vergognoso dei vinti i quali possono così, sen