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IL BUON CUORE 187


bile ingenuità come se fosse il primo a concepire la vita religiosa, il primo a voler raggruppare in un fascio delle anime nate da una simile vita. A chi l’avesse in quel tempo rimproverato d’improvvisatore ignorante, egli avrebbe potuto dare come sola, esauriente risposta l’opinione severa della sua nullità. «La materia non l’ho cercata io, obiettava, le idee non sono mie... di mio non c’è che lo stile e la disposizione delle frasi. Il resto, cioè quasi tutto, era di Dio». Così ascoltando misteriosi suggerimenti, pregando ispirato presso l’altare di Dio, egli enunciava poi e redigeva.le idee, meccanicamente, paragonandosi a un fratello coadiutore a cui si detta senza che abbia l’obbligo di capir tutto. Ma una voce gli mormorava «Tu comprenderai più tardi». E nel lungo cammino della sua vita, nello svolgersi dei fatti, egli sperimentò in sè con una sorte di tezza accasciante che il senso vero e l’effetto sicuro di certi paragrafi scritti, assai prima, si svelavano a lui con lunghi indugi di lentezza. Aveva scritto dunque e non aveva compreso? Ma era stato proprio lui a pensare e a concepire? Non era stato forse un altro? E quest’altro (egli parlava così di Dio) vi fa vedere la cosa così semplice e perfetta che se vi sforzate a esprimervi con parole umane, vi vedete costretti a usare dei termini che falsificano o almeno esagerano il senso. Era come un tormento provare. l’insufficienza del verbo umano che nell’ansia di rendere la parola divina, il più delle volte inceppa e rischia di oscurarlo e falsarlo. (Continua)

IL BANANO

Se si dovesse fare, dirò così, l’albero genealogico delle piante fruttifere, il banano sarebbe quello che potrebbe vantare origini più antiche ed illustri. Questa bella pianta erbacea, il cui fusto è quasi per intero ricoperto dall’origine delle foglie che si accartocciano attorno, può considerarsi la più aristocratica di tutte. Le sue origini risalgono, dice la tradizione, nientemeno che al primo uomo del mondo, e ciò, naturalmente, ci fa supporre che lo avesse anzi preceduto. Ma la tradizione non si ferma a questa constatazione puramente cronologica del banano: gli attribuisce inoltre una funzione, direi quasi una responsabilità morale gravissima: si pretende infatti che il banano fosse l’albero della vita il cui frutto tentò il nostro progenitore Adamo e quello che offerse le sue foglie come rudimentale riparo alla sua nudità. E’ curioso leggere cosa dice in proposito Bernardino di Saint-Pierre nel primo volume delle fla;nionies de la nature: a I portoghesi superstiziosi che sbarcarono per i

primi nelle grandi Indie, credettero scorgere, nel taglio trasversale di questo frutto, il segno della Redenzione, e cioè una croce, che io del resto non ho mai visto. Questa pianta offre, invero, nelle sue foglie larghe e lunghe, la cintura del primo uomo e raffigura abbastanza bene, nel suo •regime irto di frutti, e sormontato da un grosso cono violaceo che racchiude le corolle dei suoi fiori, il corpo e la testa del serpente che lo tentò». E’ strana questa indecisione dell’autore di Paolo e Virginia nel considerare il simbolo primordiale del banano; poichè allo scetticismo di alcune osservazioni fa seguire una descrizione del frutto assai riverente per la tradizione. La quale si rispecchia anche nei sinonimi del banano. Non credo necessario soffermarmi sull’etimologia del vocabolo attuale di banano. Lo Stato libero del Congo ha, nella costa occidentale dell’Africa, una penisola e un porto che hanno il nome di Banana, e che’ fanno un attivo cómmercio d’esportazione di quel frutto. Se però risaliamo alle denominazioni antiche, non troviamo traccia del vocabolo «banana». I greci, chiamavano questo frutto sukos Adam ossia fieo di Adamo, in omaggio quindi alla tradizione alla quale ho alluso poc’anzi. Questa denominazione è rimasta ancora nell’uso volgare dei linguaggi italiano, spagnuolo, francese ed inglese. Un ricordo della stessa tradizione si rintraccia nella denominazione latina di Musa paradisiaca. E qui è bene soffermarci anche sul vocabolo musa che compare per la prima volta in Europa presso i romani e che rimane nella classificazione di Linneo ad indicare, oltre le varietà di banane, musa sapientium e musa paradisiaca, anche una intera tribù di piante, quella delle musacee. L’origine della parola musa non è troppo chiara. Gli arabi chiamano la banana, mosa, e la denominazione potrebbe aver attraversato il mare coi frutti carnosi di cui discorriamo. Ma un’altra tradizione attribuisce ad Antonio Musa, medico di Augusto, l’onore di aver introdotto la banana a Roma. Comunque sia la parola è rimasta nel linguaggio scientifico. I banani vivono nelle regioni tropicali dei due continenti, ove crescono specialmente nei luoghi riparati, umidi e ombrosi. Crescono anche nelle regioni meridionali d’Europa, ma non dànno frutti maturi. Il vero fico d’Adamo, musa paradisiaca, è originario dell’India ed è il più alto di, tutti, potendo raggiungere i 6 metri d’altezza. La musa sapientium è più corta e anche i frutti sono più piccoli. Del resto, per la descrizione pittorica del banano, credo opportuno cedere ancora la penna a Bernardino di Saint Pierre che Io ha descritto coi colori più vivaci se non con rigore scientifico; Il banano avrebbe potuto bastare da solo a tutte le necessità del primo uomo. Esso ’produce il più sa.;lutare degli alimenti, coi suoi frutti che hanno il diametro della bocca e che sono raggruppati come le dita della mano. Uno solo dei suoi grappolii