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IL BUON CUORE 181


mila italiani, era quella che doveva lasciare in tute il ricordo più bello e commovente: destare un vivo entusiasmo. Fu guida, cortese e intelligente, il sacerdote De Vita, cavaliere mauriziano, direttore dei segretariati di Naters e Iselle, uno dei più valorosi propagandisti dell’Opera Bonomelliana, magnifica tempra di organizzatore e di lavoratore, e di cui nessuno potrà _dire bastantemente quanto bene egli abbia fatto ai nostri emigranti qui e altrove, difendendoli, trovandosi al loro lato nei lavori più difficili, nei pericoli più gravi, incuorandoli, sempre sorretto da un alto concetto della sua missione. In un padiglione Dockei costruito nello scorso febbraio, lindo e tenuto con un ordine ammirevole, sono istallati: al pianterreno l’asilo e al piano superiore le scuole. Circa quattrocento gli alunni. Mentre una metà frequenta gli asili, l’altra, oltre le scuole elementari, segue anche un corso di lavori manuali. I gitanti erano attesi dai piccoli emigrati italiani — vestiti a festa, eleganti, allegri e sorridenti — i quali, nel salone di un piccolo cinematografo offrirono un’riuscito saggio della loro abilità e del lor patriottismo. Eseguirono degli esercizi ginnastici con annuire vole precisione, e cantarono con affiatamento e buona voce. Una bambina esegui un a solo, mentre I altre d’attorno le facevano coro. Un alunno, in ottimo italiano poi recitò una poesia di ringraziamento per mons. Bonomelli, per il Comitato e per i presenti. Infine al suono di un’orchestrina, con bell’effetto, con impeto, fra la commozione vivissima ed intensa di tutti che non dimenticheranno mai un simile spettacolo, cantarono gli inni nazionali. Tanto i cori come le poesie erano ispirate ad alti sensi patriottici. Ma una delle cose che fece maggiore impressione e che afferma, se ancora ve ne fosse bisogno, una nuova benemerenza delle buone Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda — tutte patentate maestre in Italia, preposte alla educazione ed istruzione delle piccine — fu l’ottima pronuncia italiana e l’entusiasmo sincero con cui parlano della patria lontana. Il rag. Pighetti, fece un breve giro tra i presenti raccogliendo una buona somma, offerta poi alla scuola. Al suono della marcia a Tripoli e degli evviva all’Italia i ragazzi nel bel giardino che circonda ’a scuola tutto imbandierato, diedero — come chiusa -- un saggio elegante di evoluzioni ginnastiche. gitanti partirono — solo dolenti che troppo breve fosse stata la fermata — per Domodossola. Il cav. uff. Ettore Mola, ispettore ferroviario svizZero ed il maggiore cav. Solinas, direttore, furono quindi cortesi visita all’Ospizio che raccoglie ogni anno nelle sue mura tanta povera gente. La contessa Altieri offerse un rinfresco. Alla sera tutti si radunarono al Restaurant della Stazione. Alle frutta parlarono il cav. Gallavresi che portò uno speciale saluto deferente al conte Gal lina, che rispose con nobili parole, ben felice di aver veduto quanto si è fatto per i nostri emigranti. Il conte Jacini, brevemente, lanciò l’idea di convegni biennali, al fine di discutere determinate questioni tecniche in materia di emigrazione. La proposta incontrò il plauso di tutti. E così, con ùn ultimo evviva a mons. Bonomelli, presente in ispirito, al Comitato, ai valorosi missionari, si fede ritorno a Milano.

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Il Congresso per l’assistenza all’emigrazione non poteva avere migliore epilogo: la visita dei congressisti ai segretariati dell’Opera di Assistenza sulla linea del Sempione. Che se 1 e dotte discussioni del Congresso sulle varie forme di assistenza hanno proPosto rimedi, provvidenze e soluzioni diverse, chiarito idee, determinati o rettificati indirizzi — il che potrà magnificamente servire per.l’incremento e miglioramento dell’assistenza stessa ai fini di elevare moralmente e materialmente le condizioni degli emigrati italiani; la gita di ieri ci ha mostrato quanto nel campo della assistenza in parola sia già stato tatto e più si vada facendo da quell’Opera bonoinelliana, che sembra essersi sviluppata in ragione delle opposizioni aperte ed occulte contro le quali fu costretta, per anni ed anni, a lottare. Nell’Ospizio di Domodossola, nell’Ospedale di Iselle, nella scuola di Naters noi abbiamo avuto dinanzi la visione di ciò che sarebbe la nostra emigrazione all’Estero, se essa, dovunque giungano le braccia italiane, trovasse una propaggine dell’Opera bonomelliana, pronta ad accoglierla, consigliarla, istradarla, soccorrerla ne’ suoi infiniti bisogni morali materiali. Dormitori ampii e lindi, refettori dove ’a luce entra a rallegrare la parca ma succosa mensa, infermerie largamente provviste uffici di informazioni, personale intelligente e svelto, compreso dell’altezza della propria missione. Un ambiente, infine, nel quale ogni cosa spira pace e serenità, riposo non meno del corpo che dell’anima. E forse in quest’ambiente, creante e diffondente intorno a sè una atmosfera di profonda fiducia, va ricercata, in grande parte, la ragione del successo dell’Opera bonomelliana. Alla scuola di Naters doveva attenderci uno spettacolo, oltre ogni dire, commovente. Circa quattrocento bambini, maschi e femmine, figli di lavoratori italiani dissero con accento di convinzione posie e dialoghi patriottici, cantarono inni all’Italia, eseguirono con perfezione di mosse esercizi ginnastici. Alle calorose e recise affermazioni di italianità, fatte da quei bambini con un certo simpatico piglio, che sembrava dire sappiamo chi siamo e che cosa vogliamo, gli applausi dei congressisti scoppiarono clamorosi, tramutandosi spesso in ovazioni; e vidimo più di un ciglio inumidirsi. Non cominciava forse lì, in quell’umile scuola, a crearsi, forte dei successi della Patria, la nuova coscienza della emigrazione italiana? quei bambini, che saranno gli operai e le