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IL BUON CUORE 157


a colore locale», rientra, di colpo nel campo indefinibile dello astratto. E allora diventa impossibile precisare quale cosa più di un’altra contribuisca al colore locale di una, città e quasi pare che tutte le espressioni multiformi e-caratteristiche di un popolo della vita di esso concorrano in eguale misura e talvolta cori impercettibili contribuzioni alla grande sinfonia del colore locale. Viceversa, *come quarído, in una numerosa orchestra, sopprimendo un sola strumento che poteva parerci inutile, abbiamo in sensazione di aver tolto di mezzo precisamnete quella voce che più era necessaria allo assieme, così basta che una sola pennellata scompaia dal gran quadro del colore locale, perchè questo risulti scialbo freddo come se vi mancasse l’elemento indispensabile alla sua efficienza pittorica. Per buona fortuna il.colore locale di una città è soggetto a continui mutamenti e gli elementi che scompaiono oggi sono domani sostituiti da elementi nuovi, ché se così non fosse certi vuoti resterebbero incolmabili e ne deriverpbbe un’o squilibrio costante assai più penoso dello squilibrio passeggiero che si determina e si osserva in ogni città che sia in pieno fervore di evoluzione. Il colore locale di Napoli, ad esempio, era costituito ieri da una somma di elementi ben dissimili da quelli che. costituiscono il suo colore locale odierno. I fondachi, gli ostricari di Santa Lucia vecchia, il guappo» che aveva una sua particolare foggia di vestire, il lazzarone coi piedi nudi e i calzoni rimboccati fin sulle ginocchia, sono elementi scomparsi altri li han sostituiti che domani spariranno. Così la sinfonia del.colore locale si rinnova incessantemente ed il rinnovamento obbedisce volta a volta, secondo gli eventi, alle esigenze della civiltà, della moralità, del benessere, della igiene, o alla legge inesorabile della morte, o al capriccio personale di un governante. Tutto ciò è così logico, anche quando sembri illogico, ed è così fatale che nessuno se ne stupisce più. Oggi si lavora a Napoli alla soppressione dello a scugnizzo» ad un elemento, cioè, la cui importanza può essere discutibile, la cui bellezza lo può essere anche di più, ma che certamente rappresentava una delle più vivaci e caratteristiche pennellate del colore locale napoletano. Le autorità napoletane, giustamente preoccupate del moltiplicarsi di questa ragazzaglia che costituiva una vera e propria setta dalla quale a lungo andare, nulla c’era da aspettarsi di buono, hanno ottenuto dal governo una nave scuola nel porto, una nave che

è come una isola galleggiante in mezzo al mare, e sulla quale gli «scugnizzi» che non hanno famiglia non hanno tetto oltre quello rappresentato da un banco di acquafrescaio, vengono tenuti in una relativa prigionia e vestiti e curati e nutriti e istradati ad un’arte o ad un mestiere. Se le autorità persevereranno e se gli (c scugnizzi» non si rinnoveranno, vincendo, così, essi, la battaglia che oggi vien loro data; fra un anno Napoli non avrà più uno «scugnizzo». Sarà un bene? Cer-• tamente che sì, ma sarà anche un vuoto del -quale gli amanti del color locale napoletano dureranno a darsi pace.

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Io immagino senza molte difficoltà, lo,stupore che vincerà colui il quale, senza conoscere a fondo lo. scugnizzo» napoletano, si troverà per caso a leggere queste righe che mai dissimulano un sottile e inesplicabile rimpianto. a E’ poi un fatto così importante — egli si domanderà — e così degno di considerazione che le autorità napoletano si adoperino a togliere dalla circolazione turbe di monelli sudici, maleducati, senza • governo, senza morale, senza famiglia, forse ladri»? Sì, è un fatto importante e degno di essere ricordato. Ed è appunto per voi, signore che vi stupite, che io dedico oggi una colonna e più di giornale allo «scugnizzo» napoletano. Perchè lo «scugnizzo» non solo non è conosciuto, ma assai spesso è misconosciuto. Lo «scugnizzo» non è il monello di ogni altra città, non è il piccolo mendicante, non è il piccolo ladro: è invece — non ve ne meravigliate, per favore — una manifestazione artistica, pittoresca, etnica, singolarissima del popolo napoletano. Quella. dello «scugnizzo» è una minuscola compagine regolarmente costituita, che ha le sue leggi assurde e perfino una strana morale. Assai spesso divenire a scugnizzo» non è la conseguenza di una fatale, inevitabile degradazione sociale, dovuta alla miseria, allo abbandono, alla mancanza di una f amiglia e di una disciplina, ma è una via che si presceglie fra tante, è quasi una vocazione, assurda, inconcepibile, mostruosa tutto quel che vi piace, ma vocazione. A Napoli non si dice a divenire scugnizzo» ma a fare lo scugnizzo»; il novanta per cento dei monelli napoletani non diventa a scugnizzo» per necessità o per fatalità, mi si pone a fare lo a scugnizzo» come si porrebbe a fare qualsiasi altro mestiere più o meno libero e più o meno lucrativo. For