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90 | IL BUON CUORE |
ricordano ancor oggi qui in Dema, non sembrò
troppo sorpreso dell’assassinio del padre Pacini.
Vi è qui chi assicura che qualche regolare turco
diede man forte all’assassino confesso, cioè al negro Mohammed el Trabulsi. Questi avrebbe assassinato il padre Giustino perchè aveva in pegno di
danaro prestato, la collana della moglie. Ma allora
perchè il Trabulsi consumato l’atroce delitto non
asportò non dico la collana che potesse rivelarlo
quale assassino, ma il danaro e gli oggetti che il
padre aveva? Il Trabulsi passò una lieta prigionia
nelle prigioni di Bengasi ove aveva la massima libertà; ma un giorno egli tentò di fuggire, ed allora
ei non fu fatto più uscire dalla sua cella e dopo
qualche giorno si seppe che era morto di malattia
ignota. Ma tutti compresero che lo si era voluto
sopprimere.
La trasformazione della casa di P. Agostino.
Oggi nella stanza ove fu assassinato il primo valoroso italiano a Derna dormono altri soldati; e la
casa che egli aveva costituito per il convento e la
scuola destinata a patrocinare - la causa dell’italianità in Tripolitania, riceve altri figli d’Italia feriti
sui campi di battaglia ove si son battuti da eroi.
Superata la soglia del piccolo chiostro si apre a
destra una porta che mette ad una scala: al principio di questa una porticina conduce in un camerino buio; ove è rozzamente tracciata questa lapide,
che i soldati ricoverati adesso nella casa ospitale
leggono con venerazione.
Qui — Nel sonno dei giusti
Riposano le venerate ossa — di -- P. Giustino Pacini
d’anni
XXXVI — Trucidato in odio della religione di Cristo — il 22 marzo MCMVIII — Lasciando immersi
nel più profondo dolore — Gli amati fratelli d’Italia — La cara famiglia.
Le giornate che seguirono l’assassinio del padre
Giustino furono ben tristi per gli italiani di Derna
che dovettero lottare per ogni minima circostanza
contro le autorità turche. E qui è bene ricordare il
nome del cav. Nicola Aronne che nonostante le
ostilità degli oppressori della Libia cercò di far conoscere il nome, l’intenzione e la potenza dell’Italia
alle popolazioni dell’interno ove egli si recò per
studiare le ricchezze di quelle regioni, per riferirne
quindi al nostro Governo che si valse dell’opera sua.
Egli ebbe anche la lodevole idea, e la non meno lodevole energia di provvedere a grandi piantagioni
di oliveti, e lavorò senza posa per mettere in valore
i terreni fertilissimi della vasta regione. Ma ebbe
sempre fieramente avverse le autorità turche che ostacolavano accanitamente e sfacciatamente ogni iniziativa italiana. Anche le suore furono avversate dai turchi che non ardivano colpirle direttamente perchè le sapevano ben viste dagli arabi. Così questo pugno di italiani lottava in mezzo al pericolo continuo per preparare la via all’Italia. Il 27 settembre dopo 8 anni di lavoro e di attesa gli italiani di Derna seppero dal bimbasci, comandante le truppe qui di presidio che l’Italia aveva dichiarata la guerra alla Turchia ed il reggente il consolato signor Pietrucci ebbe dal bimbasci un telegramma cifrato giunto io giorni prima e l’ordine di riunire in una sola casa tutti gli italiani della città. Il telegramma trattenuto dall’autorità turca avvertiva il consolato della prossima apertura delle ostilità e l’invito a lasciare Derna. Ma lasciare Derna era ormai impossibile: l’ultimo piroscafo il Bisagno, era passato due giorni prima e piroscafi non ne sarebbero più venuti. L’episodio, che fu uno dei primi e dei più commoventi della guerra è ormai noto e fu,splendidamente raccontato ai lettori del Corriere da uno dei prigionieri stessi delle fatali giornate. Quaranta italiani, tra uomini, donne e bambini, si riunirono nella casa del cav. Aronne, giù alla marina, circondata da regolari turchi aspettando invano che qualche piroscafo apparisse all’orizzonte. Il giorno 3o sull’imbrunire due navi da guerra si avvicinarono all’orizzonte. Erano la Pisa e la Napoli che bombardarono la stazione radiotelegrafica. Intanto gruppi di arabi e di beduini erano stati armati nei giorni precedenti dal bimbasci. Essi corsero dopo il bombardamento minacciosi alla marina decisi a linciare tutti gli italiani e solamente l’autorità di alcuni capi arabi riuscì a salvare i nostri da un massacro. Intanto le autorità turche volevano ricondurré gli italiani in Derna allontanandoli dalla marina. In Italia non s’immaginava neppure che a Derna vi fossero quaranta dei nostri in balìa dei turchi. Un servo arabo si recò nascostamente per la via di terra a Tobruk con una lettera all’ammiraglio Presbitero. Questi il 9 ottobre inviò nuovamente la Napoli; ma l’imbarcazione portante bandiera bianca sotto gli occhi dei prigionieri che protestavano dal balcone della casa che stava per essere la loro tomba, e in cui doloravano da 12 giorni, venne presa a fucilate dai turchi, nascosti dietro i barconi tirati fuor d’acqua sulla riva. L’imbarcazione tornò in-