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Anno XII. 22 Marzo 1913. Num. 12.


Giornale settimanale per le famiglie

IL BUON CUORE

Organo della SOCIETÀ AMICI DEL BENE

Bollettino dell’Associazione Nazionale per la difesa della fanciullezza abbandonata della Provvidenza Materna, della Provvidenza Baliatica e dell'Opera Pia Catena

E il tesor negato al fasto
Di superbe imbandigioni

Scorra amico all’umil tetto .....

ManzoniLa Risurrezione.

SI PUBBLICA A FAVORE DEI BENEFICATI della Società Amici del bene e dell'Asilo Convitto Infantile dei Ciechi
La nostra carità dev’essere un continuo beneficare, un beneficar tutti senza limite e senza eccezione.
RosminiOpere spirit., pag. 191.

Direzione ed Amministrazione presso la Tipografia Editrice L. F. COGLIATI, Corso Porta Romana, N. 17.




SOMMARIO:


Educazione ed Istruzione. —Eroici sarifici e ricordi di sangue dei primi pionieri d’Italia in Cirenaica. (continuazione e fine) — Flora siciliana e flora libica.
Religione. —Vangelo della domenica di Pasqua.
La storia dei ritratto di Cristo.
Beneficenza. —Per la missione di Mons. Carrara nella Colonia Eritrea. — Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi.
Notiziario. —Necrologio settimanale. — Diario.

Educazione ed Istruzione


Eroici sacrifici e ricordi di sangue

dei primi pionieri d’Italia in Cirenaica

(Continuazione del num. precedente)



La tragica notte.

Nel quartiere ebreo vi è una piccola casa che ha un piccolo cortile ove si scorge tuttora un pozzo, una rozza scala di legno verniciato in turchino che ascende su un ballatoio di legno per il quale comunicano tra loro varie piccole camerette. In una di esse — quella che guarda a nord, sugli orti e verso il mare — dormiva la notte del 22 marzo del 1908 il frate laico a nome fra Felice. Questi nulla intese di quanto verso le 2 dopo la mezzanotte accadde nella stanza che era dalla parte opposta del cortile, e che ha due finestre che danno sulla via che divide in due parti il quartiere ebreo. In questa via a quell’epoca come anche oggi, abitavano la maggior parte degli italiani, una quarantina in tutti. Il padre Giustino era di una robustezza veramente eccezionale, di animo ardente, risoluto, sprezzante il pericolo.

La notte del 22 marzo egli come di consueto, non aveva assicurata la porta secondo che avrebbe suggerito la più elementare prudenza, cui tuttavia non diede mai ascolto, dicendo che i musulmani non
sarebbero mai entrati in casa di un cristiano; e gli assassini entrarono e compirono indisturbati l’atroce delitto che le autorità turche hanno saputo mantenere nel più grave mistero. Gli assassini, consapevoli dell’animo coraggioso e della fibra robustissima dell’italiano si recarono in quattro a compiere il misfatto. Pare che giunti nella stanza imbavagliassero il padre che dovette lottare disperatamente contro i suoi assalitori.

La scena, di una ferocia e di una tragicità terrificante si deve essere svolta tra la stanza e il ballatoio dove il Pacini lottando trasportò gli assassini, i quali dopo avergli inflitto gli ultimi colpi, vistolo ormai, esanime lo riportarono probabilmente dentro la stanza cacciandolo sotto il letto. Due colpi tirati con quella stessa rivoltella che il Pacini aveva dentro un cassetto e che fu poi abbandonata sul pavimento diedero l’allarme.

Da chi furono tirati quei due colpi? Qualcuno del quartiere accenna a qualche circostanza che potrebbe gettar luce sul fatto, ma non è qui il caso di discuterne. I primi ad accorrere, o meglio le prime cioè la superiora Suor Teresa e Suor Clarice, trovarono davanti alla porta dell’assassinato un lago di sangue, e sul parapetto di legno del ballatoio l’impronta di due mani intrise di sangue che si erano poco prima posate su quel legno; lì presso era un secchio dove gli assassini si erano lavate le mani e dentro la stanza ove il disordine e il subbuglio testimoniavano della violenza della lotta, giaceva trafitto da ben 17 ferite il padre Giustino ancora imbavagliato con un asciugamano ormai rosso del suo sangue e con la gola tagliuzzata dai colpi di una piccola scimitarra.

Nascevano le prime luci del giorno e la trista nuova della morte di colui che era il capo morale degli italiani di Derna si spandeva nella nostra colonia. Il caimacan Mehmet Alì, le cui male arti si