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22 IL BUON CUORE


vero bisognoso a cui manca il modo e la maniera di chiedere; nell’origine giacchè le molte volte è fatto a vergognoso scopo di reclame, per far rientrare dalla porta quel che buttammo dalla finestra, per coprire colla generosità di pochi centesimi la grettezza del cuore, la povertà dei pensieri e la sporca avarizia della borsa: quante volte non s’è usurpata la fama di largo e generoso!... quante volte e quanto non ci ha fruttata di meglio la piccola offerta fatta in quella fortunata circostanzal... Furon questi i motivi nobili che costrinsero il buon padrone del Vangelo? Ci siamo occupati, li abbiamo cercati noi questi infelici che hanno pur diritto di chiedere a noi, alla società fiacca, molle, egoistica col lavoro il pane che loro spetta di diritto? Non li abbiamo fuggiti? non li abbiam detti e confusi colla canaglia solo perchè alla canaglia li assomigliavano i cenci di cui si riooprivano? Li abbiam cercati questi — oh! troppo disoccupati! — dello spirito? Abbiamo noi fatto loro sentire un conforto, una parola buona... abbiamo fatto di tutto — tutto il possibile — per far loro del bene? Se domani ci accusassero — innanzi a Dio — che la società religiosa, che l’anime pie, tenere, a Dio votate di loro mai s’occuparono? Se dicessero nemo nos conduscit? Dio non potrebbe farci lamento, s’accontenterebbe d’un ossequio freddo, calcolato, misurato alla sua volontà, precetto?

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Il buon padrone accolse gli operai in qualunque ora, anche quando breve ora mancava al chiudersi della giornata di lavoro. Salutare lezione. Nella deficienza e manchevolezza del nostro senso religioso noi usiamo delle distinzioni, e precorriamo — molte volte — i giudizi Niuno deve escludersi dalla nostra azione benefica, per quanto cattivo egli sia. Temiamo solo l’infezione possibile e usiamo verso questi sgraziati quelle misure di spirituale profilassi che ce ne tenga immune. Ma ciò non ci dia pretesto a giustificare volontarie esclusioni che sono effetti di antipatie e peggio, cosa perniciosissima nel campo religioso. A tutti, in qualunque ora, senza destinzione, il bene, come a tutti Dio riserva il solo unico grande premio di se, del suo paradiso. R. B.

Per la Missione nell’Eritrea

E’ trascorso poco più di un anno dacchè Monsignor Carrara, alla testa di coadjutori Cappuccini, scelti tra i migliori della provincia milanese, partiva per l’Eritrea, e là raccoglieva le eredità lasciate dal Card. Massaja, da Mons. De Jacobis e dal Padre Michele di Carbonara. La missione di Mons. Carrara — di carattere spiccatamente milanese per le speranze espresse anche

dall’atto di apoggio della generosa Milano — ebbe subito largo sussidio dall’Associazione Nazionale di soccorso ai missionari italiani, e all’Eritrea ottenne cordiali accoglienze dalle autorità civili e militari, nonchè dagli indigeni che videro nel drappello dei giovani Cappucini i ristauratori di opere vitali che minacciavano sfacelo. I nuovi missionari riuscirono assai benevisi in tutta la Colonia; ma le loro impressioni furono di grande.scoraggiamento dinanzi a bisogni imponenti, a miserie inenarrabili. I mezzi raccolti nei primi mesi di facili entusiasmi per la Missione ricostituita, furono presto esauriti’ per far fronte alle necessità più urgenti, e Mons. Carrara scriveva in un momento di sconoforto:» Non ho più nulla.; non ho un centesimo e sono costretto a lasciare il mio popolo alle prese colla miseria e con pericoli d’ogni genere». Non poteva rimanere inascoltata la voce dell’apostolo che chiedeva soccorso anche in onore dalla patria, e infatti si costtiuì lì per lì un COmitato, che, sotto la presidenza del ’senatore Gavazzi, di Monsignor Carlo Locatelli e di Padre Girolamo, Provinciale dei Cappuccini, riuscì in breve a raccogliere soccorsi da trasmettere alla Missione Eritrea. Da un’assemblea tenutasi ieri, in un salone dell’Arcivescovado, è risultato che la Missione di Mons. Carrara nell’Eritrea, •benchè sostenuta dalla Propaganda Fide, dalla Associazione Nazionale e dai poveri Cappuccini, ha bisogno di largo e continuo appoggio di tutti- gli italiani. All’assfmblea parlò, colla eloquenza del cuore il Padre Provinciale del Convento di Monforte. Indi prese la parola quel verie - tando uomo che è il nobile cav. Carlo Bassi, presidente dell’Associazione 1•1zionale, che mise in bella evidenza l’opera prestata dai Cappuccini nell’Eritrea in momenti di gloria e i momenti di sventura, e fece appello a tutti per l’appoggio doveroso a quella Missione, prediletta dall’Associazione che è vincolata a tanti altri confratelli sparsi in tutto il mondo. Il nostro collaboratore A. M. Cornelio rilevò la grande efficacia dell’Associazione Nazionale, e rendendo omaggio al nobile cav. Bassi. e ai suoi predecessori, generale Revel e Antonio Stoppani, inviò un saluto a colui che impersona le missioni italiane, l’illustre’ prof. comm. Ernesto Schiapparelli. Espresse poi il voto d’un risveglio della coscienza nazionale a favore delle nostre missioni nell’Eritrea e nella Libia. Venuta l’assemblea al punto di concretare qualche progetto, la baronessa Bagatti. espresse l’idea gentile di una commemorazione dei caduti di Dogali in forma efficace per la Colonia Eritrea. Parlarono di poi co ncalore il dott. G. Cappellini, segretario generale della Direzione Diocesana, il canonico Pantalini e don Zetta per concretare un ciclo di conferenze con proiezioni pro-Eritrea nell’archidiocesi. Chiuse efficacemente la serie dei discorsi Monsignor Locatelli. Il lavoro progettato, avrà presto un pratico inizio.