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IL BUON CUORE 19


in francese d’una eleganza accademica, è sempre piena di grandi ricordi, il suo accento è comunicativo, e quando dalla sua solitudine di Capua egli spazia lo sguardo scrutatore sul mondo cattolico e si domanda a che punto sono in Inghilterra e negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, nel Belgio, gl’interessi della Chiesa, i suoi interlocutori sentono che il cuore di lui batte più forte, la sua parola si riscalda e si colorisce, le aspirazioni si elevano ma con una tinta di melanconia, da cui l’anima sua non può sentirsi libera. lo considero come un favore singolare l’aver passato non più di qualche ora testa a testa, oserei quasi dire cuore a cuore, col cardinale Capecelatro». Recentemente la veneranda sua canizia fu conturbata da dolori venutegli da acuite ostilità e da accuse ingiuste. Coll’animo in pena e rassegnato, egli dettò mirabili pagine riboccanti di carità evangelica per i suoi calunniatori. Pagine più soavi non ha la letteratura nostrana. La lettera pastorale pubblicata dalla casa Desclée di Roma data dallo scorso ottobre.

Alle note biografiche del compianto cardinale Alfonso Capecelatro arcivescovo di, Capua diamo cenno dell’ultimo suo scritto. E’ una lettera pastorale dell’ottobre scorso, nella quale egli comunica al suo clero diletto l’amarezza dell’animo per certe accuse ingiuriose alla sua persona e con grande semplicità espone quali siano stati sempre gli intendimenti del suo governo spirituale. E’ quindi un documento che a caratterizzare l’uomo vale tutta la lode che nell’ora dolorosa, da ogni parte d’Italia e del mondo risuona alla sua memoria. Crediamo quindi di far piacere ai lettori riproducendo quasi integralmente la lettera interessante: «Voi, e altri ancora che non appartengono a quest’archidiocesi, avete avuto notizia delle calunnie messe a stampa in alcuni foglietti anonimi contro la mia persona. Conoscete altresì che sebbene io abbia desiderato che di tali calunnie non si occupassero nè i giornali, nè altri, parendomi assai meglio che esse cadessero da sè, pure ciò non fu possibile. Però divulgatasi nei giornali la notizia di esse ne seguirono le molte proteste fatte dal mio clero, dal mio popolo, e da altri, centro i calunniatori, le quali si possono vedere stampate nel periodico dell’archidiocesi, la Campania Sacra. Ora mi pare utile che io, per il bene dell’anima mia e delle vostre, manifesti qui col cuore aperto i sentimenti onde sono animato. E per tal fine mi rivolgo innanzi tutto a Dio per benedirlo e ringraziarlo della tribolazione con cui ha voluto e vuole santificare la mia molto tarda età. In vero riconosco e mi piace qui di confessarlo davanti a Dio e a tutti che non è passato un sol giorno della mia vita senza che io non mi sia accorto di avere avuto singolari e segnalati benefizi dall’infinita bontà di Dio. Ma riconosco tra i maggiori di tutti i benefizi ricevuti questo del tentativo fatto da alcuni di gettare una fosca luce sulla mia povera persona, per darmi così occasione di elevarmi più in alto con la mente e col cuore, di riconoscere come massimo dei benefizt per un vescovo la tribolazione, e sopratutto di aver potuto imitare quel Gesù Cristo che accusato di essere posseduto dal demonio. rispose nobilmente e pacatamente così a chi lo accusava: «Io non ho in me il demonio, ma glorifico il mio Padre, che è nei cieli». Indi riassunto in breve le accuse mossegli in occasione di alcuni concorsi a benefici ecclesiaistici continua: «Ma quali sono mai le disposizioni del mio animo verso i calunniatori? Io li perdono, prego per essi

con quanto ho di cuore, particolarmente, ogni giorno, e desidero che tutti, sacerdoti e laici di questa mia archidiocesi preghino pure col medesimo intendimento. Se io vedessi una volta qualcuno dei miei detrattori veramente pentito, quel giorno sarebbe per me una vera festa dello spirito. Quanto a coloro, che in questa grande tribolazione da me sofferta si mostrarono indifferenti, per quello che dicono quieto vivere, io mi contento di ricordare loor che non c’è un solo di essi che non abbia avuto benefizi da me anche recentemente, e desidero che almeno mostrino di amare il loro padre e pastore pregando molto per me. Vorrei pure che essi benignamente pensassero che in questa mia tribolazione non si tratta di una quistione tra me e qualche mio sacerdote, perchè, in tal caso avrei pregato il sacerdote di ricorrere alla Santa Sede, giudice inappellabile; ma di tutt’altro si tratta. Qui alcuni sacerdoti, io credo, in minor numero delle dita di una mano, accecati non so da quali passioni, hanno, con stampe anonime e ingiuriose. voluto diffamare me; ma in verità hanno diffamato sè stessi, nocendo anche alla buona riputazione del mio diletto clero. Intanto, figliuoli e fratelli carissimi, per la mia età tanto inoltrata e per i non leggieri acciacchi da essa derivanti, io potrò solo per breve tempo governare ancora questa mia archidiocesi. Quando piacerà a Dio noi ci separeremo, a voi auguro un vescovo che possa e sappia fare meglio; io spero, dopo di avere veduto quaggiù il mio Dio, secondo che dice S. Paolo, come in uno specchio nelle sue creature, di vederlo presto faccia a faccia nella sua infinita bellezza. Però prima di uscire da questo mondo credo bene di manifestarvi con quali principi e con quale animo ho procurato di reggere l’archidiocesi affidatami da Dio per mezzo del Papa: tanto più che io son risoluto di non mutare neanche in piccola parte, nemmeno ora, la mia condotta. Io ricevei da natura un’indole affettuosa e proclive alla mansuetudine; diventato, per grazia di Dio figliuolo del dolcissimo S. Filippo Neri, ebbi anche molte occasioni di persuadermi che le vie della carità e della dolcezza fossero le più opportune a ben governare e a dare all’autorità episcopale una forza e una efficacia, che tanto sono maggiori quanto meno vedute. Il venerabile padre Lodovico da Casoria e quattro o cinque servi di Dio, che mi furono affezionatissimi, dandomi ogni giorno prove di carità e di dolcezze ineffabili, giovarono molto a confermarmi in questa idea. Diventato vescovo per obbedienza al Sommo Pontefice Leone XIII, il quale mi accennò pure le gravi difficoltà che io avrei incontrate qui a Capua, mi credetti obbligato e spinto a governare la mia archidiocesi sopratutto in carità e mansuetudine, credendo altresì che l’una e l’altra mi sarebbero di aiuto nel compiere la giustizia ad ogni costo, sempre. Con tali disposizioni di animo io soffrii e soffro sempre che debbo punire qualche mio sacerdote, e anche se debbo solo contrariarlo in quei desideri di beni umani, i quali anche se onesti non ci appagano mai interamente: sì che S. Agostino potè con grande sapienza dedurre da ciò che noi siamo creati per godere eternamente Iddio. Nondimeno dichiaro qui altamente che queste sofferenze dell’animo non mi hanno mai impedito, come io spero, di compiere il mio dovere di pastore delle anime vostre; perchè sono convinto che il vescovo, il quale non vuole e non sa soffrire nel compiere il dovere proprio sia al tutto indegno del suo ufficio. Nè questo basta. Io per approssimarmi quello che, secondo me, è l’ideale di un buon vescovo, ho creduto e credo che egli nelle sue azioni non debba voler piacere agli uomini, ma farsi sempre ispirare nel governare clero e popolo dalla propria coscienza,