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IL BUON CUORE 295


mente, in uno slancio sincero dei più affettuosi sentimenti.

La nostra preghiera e il saluto nostro Ti accompagnino alla tomba; la Tua bontà e la Tua carità Ti accompagnino al Cielo. L’amore e la riconoscenza Ti faranno rivivere eternamente fra noi, nella evocazione di tanti buoni ricordi e più ancora nel profondo sentimento di quella fede che fu la Tua luce ispiratrice e confortatrice per tutta la vita.

Angera, 5 Settembre 1912.

Armida Lamburghi

Maestra cieca.

Educazione ed Istruzione


una pagina di turgheniew


UN INCENDIO IN MARE

Era il mese di maggio 1838. Mi trovavo con molti altri passeggieri sul piroscafo Nicolò I, che faceva rotta fra Pietroburgo e Lübeck.

Poichè di quel tempo le ferrovie erano ancora poco floride, i viaggiatori prendevano tutti la via del mare: e per la stessa ragione, molti di loro portavano seco anche le vetture per seguitare la strada in Germania, in Francia e altrove.

Mi ricordo che avevamo ventotto carrozze padronali fra duecento ottanta passeggieri, compresi una ventina di ragazzi.

Allora io era giovanissimo, e siccome non soffrivo il mal di mare, mi divertivo alle nuove impressioni. C’erano a bordo alcune dame proprio belle e graziose, quasi tutte, per disgrazia, morte!

Era la prima volta che la mamma mi aveva permesso di partir solo, e avevo dovuto giurarle di non far pazzie, e di lasciar da parte il giuoco sopra tutto.... E invece fu proprio quest’ultima promessa che infransi per la prima.

Una sera, specialmente, c’era gran brigata nel salone comune, e fra molti c’erano parecchi banchieri notissimi a Pietroburgo. Giuocavan di solito alla «banca», una sorte di zacchinetto; e le monete d’oro, che allora si vedevano più spesso d’oggi, davano un tintinnio assordante.

Uno di quei signori, vedendomi in disparte, nè sapendone il perchè, mi propose lì su due piedi di giuocare con lui. E all’udire, dalla ingenuità de’ miei diciott’anni, la causa del mio ritegno, scoppiò a ridere; e voltatosi ai compagni, gridò d’aver trovato un tesoro, un giovinotto che non aveva mai toccato carte, e perciò destinato ad aver una immensa fortuna, inaudita, una vera fortuna d’innocente.... Non so poi come avvenne, ma dieci minuti dopo, io ero al tavolo di giuoco, con le carte in mano, col mio bravo posto di giuocatore fermo, che giuocava come un pazzo.
Bisognava confessare che il vecchio proverbio non aveva mentito. Il denaro mi veniva a ondate; due mucchi d’oro mi si alzavano ai due lati delle mani tremanti e madide di sudore. Il banchiere che mi aveva indotto, non cessava dallo spingermi ed esaltarmi.... Credevo addirittura aver fatto fortuna.... A un tratto, si spalanca l’uscio del salone, una signora v’irrompe, con voce smarrita e morente grida: «va a fuoco il bastimento!», e cade svenuta sul divano. Avvenne un visibilio; ognuno si mosse: l’oro, l’argento, i biglietti di banca rotolarono, si sparsero d’ogni parte, e ci slanciammo fuori. Come mai non avevamo notato prima il fumo che già c’invadeva? Non lo capisco. La scala n’era già piena. Già riflessi di un rosso cupo, del rossore di carbon fossile scoppiavano di qua e di là. In un batter d’occhio tutta la gente fu sul ponte. Due grandi vortici di fumo salivano turbinando dal fumaiuolo e lungo gli alberi, e uno spaventevole tumulto s’innalzò per non cessar più. Fu indicibile disordine: si vedeva che il sentimento della conservazione s’era violentemente impossessato di tutte quelle creature umane, e di me stesso pel primo. Mi ricordo d’aver afferrato un marinaio pel braccio promettendogli per conto di mia madre diecimila rubli se riusciva a salvarmi. Il marinaio naturalmente non poteva prendere sul serio la mia proposta, si liberò dalla stretta: io stesso non insistei, vedendo che in quanto dicevo non c’era buon senso; come non ce n’era affatto in quanti mi vedevo attorno. Si ha ben ragione di dire che nulla eguaglia il tragico se non il comico in un naufragio nel mare. Per esempio, un ricco proprietario, colto da terrore, strisciava per terra baciando freneticamente l’impiantito; poi, siccome l’acqua gettata a profusione nelle bocche dei magazzini di carbone aveva momentaneamente domato l’irrompere delle fiamme, egli si drizzò su tutta la persona, e gridò con voce tonante: «Uomini di poca fede, come potete credere che il Dio dei Russi ci avrebbe abbandonati?». Ma sul punto stesso le fiamme gettarono uno sprazzo più vivo, e il pover’uomo di molta fede ricadde a quattro zampe, e rimise a baciar l’impiantito. Un generale, con l’occhio smarrito, non la finiva di gridare: «Bisona spedire un corriere all’Imperatore! Gli hanno mandato un corriere quando scoppiò la rivolta nelle colonie militari, ov’ero io, io di persona, e ciò è valso a salvare qualcuno di noi!». Un signore con l’ombrello in mano d’improvviso cominciò a sfondare furiosamente un ritrattuccio ad olio legato al cavalletto che trovavasi là fra i bagagli, facendovi cinque buchi al posto degli occhi, del naso, della bocca e delle orecchie. E accompagnava la distruzione esclamando: «Cosa può servire oramai?». E quella tela non era sua. Un omaccione, tutto inondato di lagrime, dall’aria di un birraio tedesco, vociava piagnucolando: «Capitano! Capitano!». E quando il capitano, spazientito, lo afferrò alla fine pel collo e gli urlò: «Cosa? Io sono il capitano, e poi? Cosa vuoi?», l’omaccione lo guardò inebetito e riprese a gemere: «Capitano! Capitano!».

(Continua).