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IL BUON CUORE | 285 |
Il titolo di Cavaliere conferitogli dal governo era ben meritato.
La compiacenza maggiore per lui era però la, coscienza del bene, fatto; la riconoscenza de’ suoi beneficati, e specialmente dei Ciechi, Bambini e grandi, che lo ricorderanno sempre come uno dei loro più cali benefattori, e la speranza del premio promesso dalla religione, che fu sempre l’inspirazione della sua vita.
Addio, o caro e buon Dottor Brera: impedito di assistere ai tuoi funerali, mi è grato l’esprimerti qui i sensi della mia sincera e costante amicizia e della mia riconoscenza: uniti per tanti anni in una medesima opera di carità sulla terra, la misericordia di Dio ci possa unire un giorno nella stessa pace nel cielo.
Don ANDREA PEDOJA
Bellano, i (C.). — Da due giorni le campane della vetusta, artistica, storica chiesa di Bellano; dove tutto parla dei Medici e dei Visconti, suonavano a distesa, segnando un lutto profondo, generalniente sentito per la morte del venerato prevosto novantaquattrenne don Andrea Pedoja.
Come quercia resistente ai venti, alle tempeste, alle nevi e ai geli, don Andrea Pedoja, ordinato nel 1843 dal famoso cardinale Gaysruck, dapprima come coadiutore e dal 1887 in poi come prevosto, rimase sempre a Bellano come esempio preclaro di virtù sacerdotali, civili e patriottiche.
La vita del venerato sacerdote, che passò tranquillo, impavido e fervente attraverso la nostra grande epopea nazionale, narrata con esattezza, riuscirebbe una pagina interessante di storia patria.
Membro del Comitato di Pubblica Salute durante il Governo Provvisorio del 1848, fu in continue relazioni coi capi dell’insurrezione di Milano, di Como e di Lecco, mantenendo acceso il fuoco sacro dell’amore della patria, col calore della parola e coll’esempio.
E quando, dopo il disastro di Novara, il paese dovette tornare sotto il giogo austriaco, don Andrea Pedoja non fu immune da persecuzioni. Lo salvarono la immacolata rettitudine del suo animo cristiano e l’affetto dei parrocchiani.
Compreso sempre della sua missione spirituale, egli seppe armonizzare i più grandi amori, e la sua longevità, sostenuta da predilezione superiore, fu ognora, anche negli ultimissimi giorni, illuminata nel pensiero e nell’azione.
Era il decano dell’archidiocesi milanese, e contava già settant’anni di sacerdozio quando a Milano parte. cipava con agilità giovanile a importanti adunanze ecclesiastiche.
Intelligente, pio, benefico, è morto povero e da tutti sinceramente rimpianto.
I suoi funerali, celebratisi ieri, sono riusciti imponenti e commoventi.
Un’emozione profonda ha suscitato in chiesa il commendatore mons. Luigi Vitali con un elogio nobile, elevato, erompente da un cuore sinceramente amico.
Altri bellissimi discorsi al cimitero hanno completato la cerimonia mesta e solenne.
Mentre centinaia e centinaia d’intervenuti sfollavano per restituirsi alle dimore di Bellano e dei paesi limitrofi, si segnalava una zolla che solo da ieri ricopriva la salma di un buon vecchietto, il quale, coetaneo del prevosto, aveva più volte manifestato all’amato pastore il presentimento di trovarsi insieme nel grande passaggio.
Completiamo questa corrispondenza col discorso pronunciato dal nostro Direttore, mons. comm. Luigi Vitali:
A me è toccato di rivolgere la parola dell’estremo addio al nostro venerato Pastore: gli ho dato, può dirsi, il primo saluto quando venne a Bellano, ora gli dò l’ultimo: a quell’altare, sessantanove anni or sono, egli celebrava per la prima volta la Messa quale coadiutore in mezzo a noi: piccolo chierichetto io gliela servivo.
In seguito io feci il discorso pel cinquantesimo anniversario della sua ordinazione, e più tardi l’altro pel cinquantesimo anniversario della sua nomina a Prevosto.
Ed ora, ricordando le vicende varie ed importanti fra le quali si svolse il lungo periodo della sua vita, quanto facile e interessante mi tornerebbe il dimostrare, che, figlio del suo tempo, egli corrispose coll’opera sua ai molteplici e gravi bisogni dell’epoca in cui visse!
Restringo il mio dire allo svolgimento di una frase del Vangelo: Fidelis servus et prudens quem constituit Dominus super familiam suam: egli fu il servo fedele e prudente che Dio pose al governo della sua famiglia. Mi sembrano queste veramente le due note caratteristiche del padre che piangiamo; egli fu davvero il servo fedele e prudente che Dio pose al governo della sua famiglia. Questa famiglia siamo noi; noi popolo di Bellano.
Egli fu il servo fedele, ponendo la fede come l’inspirazione, la guida, nei rapporti con sè, nei rapporti cogli altri.
La fedeltà ai principi della fede con sè la manifestò nella dottrina, nella condotta.
Egli seguì sempre la dottrina, quale, in nome di Cristo, ci è fatta conoscere dal Sommo Pontefice e dall’Episcopato: in occasione di contrasti, di divergenze, che turbavano talvolta le coscienze dei fedeli, egli stette sempre fermo al supremo infallibile magistero della Chiesa.
Manifestò la fede nella sua condotta: la sua vita fu illibata: in un lunghissimo periodo di vita, nessuno mai ha potuto rimarcare in lui, nelle sue parole, nei suoi atti, qualche cosa meno corrispondente alla santità, alla illibatezza di un vero ministro di Cristo.
Manifestò la fede nel rapporto cogli altri. Ministro di Cristo, fece ciò che Cristo a bene delle anime aveva ordinato a’ suoi ministri di fare. Quanto è sublime e salutare l’opera di Cristo in mezzo alla società!
Una delle opere principali della vita di Cristo fu la predicazione della parola divina. Voi sapete quanto in