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IL BUON CUORE 271


dal mare, su l’altra sponda, a poche ore di distanza. Le palazzine par che respirino un vento epico, fasciate nel sole o nella penombra, fiancheggiate dal mare vivido, interminabile specchio del cielo, con lontano, oltre l’isola di San Pietro e di San Paolo — baluardi poderosi del porto — in una riga d’azzurro sfumato, le montagne della Sila, che all’ora del tramonto si infiammano, accendono tutto d’intorno, quasi in una pioggia luminosa di croco e di porpora, la bella porpora, che già l’antica gente tarentina mandò pel mondo onde gli imperatori se ne vestissero.

Conoscete le gaie cittadine spagnuole del versante mediterraneo? Murviedro, Villayojosa, Alicante, Segura; ebbene, Taranto è una di quelle, con un po’ di Venezia ed uno spicchio di Napoli, fusi insieme, tortuosamente.

Una società che sapesse sfruttare le innumere bellezze naturali di Taranto, farebbe tesori. Ma, per carità, evitiamo che un miliardario americano intervenga, se no ne profitta immediatamente per creare un trust: The Taranto Company Ltd.!

Ma soffia lo scirocco. Se la mollezza onde ad Orazio sorrideva quest’angolo (mihi ridet,... ecc.) veniva dallo scirocco preponderante snervante, forse il poeta poteva non aver torto del tutto. Ma in compenso v’è intorno una campagna ombrosissima e saluberrima e vi sono una ventina di villaggetti freschi, pieni di casine, di pascoli, di pace, borghetti dai bei nomi latini o normanni, dalle strade tranquille, dai panorami idilliaci,
dove gli aratori vi salutano in latino: Bona vespra! e le mietitrici vi dicono, passando:

— Laudato Gesù e Maria.

E voi rispondete:

— Oggi e sempre!

E ve ne andate con Dio, pei fatti vostri, in una quiete indicibilmente bella.

Non c’è nessun poeta, in Puglia, disposto a scrivere una forte, grande tragedia d’ambiente, più che mai folkoristica, per poi preporre la scoperta della ragione? Ma per pietà non facciamo la Figlia di Jorio, chè in Puglia non ci sono Lazzari di Rojo nè Mile di Codra da poter servire con contorno di rime! Dunque, non c’è nessun poeta?... Veramente, da quel che so io, poeti ce n’è, anche troppi, e da quando Gabriele d’Annunzio ha scritto:

Taranto, non per ancore ed ormeggi

tutti si son guardati bene dal lanciare altre liriche in proposito, brontolando:

— I migliori argomenti ce li toglie lui!...

Ed oggi, mentre la statua argentea del Santo ferma a metà del ponte, a benedire i due mari, s’ammantava nel sole, e passavano di sotto veloci le torpediniere di ferro che andavano verso Rodi, l’inno solenne ed altissimo sonoro e canoro di sei voci bronzee, lento, squillante, lungo e leggero, lo intonano in coro con l’eco le campane del bel Santo Cataldo....




COME TI CHIAMI?1

Di’ come ti chiami
ascaro audace,
così valoroso
sì fiero e pugnace?
Volesti da solo
sottrarre ai tranelli
di venti nemici
due bianchi fratelli.
Dormivan nel campo,
tu solo vegliavi,
benefico nume,
tu vigile stavi.
Scorgesti l’agguato:
sorprese accerchiate
son due sentinelle
da belve infuriate.
Tu pronto accorresti,
mirasti, uccidesti;
ai due prigionieri
la vita rendesti.
E mentre il periglio
sereno affrontavi,
al prode Arimondi
di’ forse pensavi?
Il martire nostro,
l’invitto tuo Duce
ti apparve, o guerriero
in mistica luce?
O forse ne udisti
la voce lontano
trasfonderti in core
poter sovrumano?
Galliano, Toselli
sentivi al tuo lato
allor che pugnavi
da bravo soldato?
La valida schiera
de’ militi morti
è fida compagna
de’ prodi e de’ forti.
Ne segue le imprese,
e ad ogni vittoria
esulta, s’inebria,
li copre di gloria.
A que’ generosi,
o ascaro umile,
il nobil tuo gesto
ti rese simile.
Spariscon le razze,
non havvi colore
possente all’Italia
vi eguaglia l’amore.
Dell’ascaro il nome
sia noto tra noi,
unir lo vogliamo
agl’itali eroi.

Samarita.

  1. All’ascaro che solo e di notte salvò due sentinelle da un agguato nemico.