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270 IL BUON CUORE


“ Molle Tarentum „....

San Cataldo — Il fremito della guerra — Con buona pace di Orazio — Una canzone di Salvatore Di Giacomo e un monumento a Paisiello — La città bellica — Si cerca un poeta — L’inno delle campane....

Sole, vento e campane; le forosette dagli scialli sgargianti, a gruppi, arrivate dai villaggi finitimi, i bifolchi azzimati, i contadinotti col sigaro della festa, i pescatori vestiti di fustagno; rose sui cappelli muliebri, suoni di banda, vocio di noellari, e da per tutto, a dritta e a manca, mare mare mare, il bel mare Jonio più glauco degli occhi delle muse ebaliche; è San Cataldo.

Il gran vescovo marinaro venne dal mare, a Taranto, e la popolazione del lido che campava di pesca gli chiese abbondanza di pesci, e l’abbondanza venne, chè d’allora il Mar Piccolo fu la fonte di vita. E il Santo lasciò cadere un anello in mare, e nessuno potè ripescarlo, ma lì dove il gioiello cadde l’acqua salsa si addolcì, e si chiari. Chi vada in barca, oggi ancora, per il Mar Grande, troverà — quando sia giunto in direzione delle vecchie mura — un cerchio d’acqua di un metro di diametro, color azzurro chiaro chiaro, e ognuno può dissetarsi, l’acqua è potabile, nè il continuo ondeggiare e il continuo mischiarsi con l’acqua salsa ne altera la purezza. Dicono si tratti d’una forte polla, io non so. So, ch’è il miracolo, e i tarentini chiamano quel cerchio l’anello di San Cataldo.

Ogni anno, il 10 maggio, ricorre la festa del patrono, e quest’anno di guerra la celebrazione è parsa più solenne, poi che fra le città d’Italia che sentono il fremito della battaglia, quella che freme più forte è Taranto. È Taranto per il frequente andare e venire di navi possenti, per la febbre di lavoro onde tutto l’immenso arsenale risuona di martellate e romor di ingranaggi e sibili di vapori, per la vicinanza ai luoghi della guerra, onde l’eco giunge più immediato e violento, per il quotidiano affrettar di carriaggi e imbarcar di soldati, per la memoria d’un secolare odio contro il nemico d’oggi, cosi che pare come se tutta la città, vecchia e nuova, voglia lanciarsi con le sue case, coi suoi castelli, coi suoi ponti alla battaglia.

Poderosa città moderna, questa che Orazio chiamò molle Tarentum. Ma con buona pace del Venosino, a cercar l’accidia e la fiacchezza per le belle vie della regina del Jonio si rischia di trovarle soltanto nei gruppi di gatti stesi beatamente al sole. Ma i gatti pare che non abbiano una somma importanza nella definizione del carattere d’un popolo; tutt’al più possono avere — come a Roma — una importanza archeologica, ma non etnica.

Ma anche con buona pace di Gabriele D’Annunzio che definì Taranto «lacedemonia», di spartano non vi si trova che un avanzo di antiche mura — allorquando la città apparteneva alla circoscrizione di Sparta, mentre Roma vagiva — ed il succinto abito con cui alcuni ragazzi delle vecchie strade saracene, di questi tempi e fino ad ottobre, vanno candidamente in giro.

Per altro, a questo stupendo spagnolissimo paese, Salvatore Di Giacomo dedicò una canzone:

A Taranto ’nce stanne
’nu mare piccirillo e n’alito granne,
la terra intr’ ’a li duie

pare ca dà vasille e se nne fuie....
Taranti, Taranti, Tarantella,
stu mare è bello, stu mare è bello!...

E Mario Costa vi ricamò su la più vivida delle sue tarantelle. Con amore di figlio, si intende bene, giacchè — per chi non lo sappia — l’autore del Capitan Fracassa non è affatto napoletano, ma della terra di Giovanni Paisiello. Un poeta aggiungerebbe che l’onda melodica s’è trasmessa — con l’aria? — dalla spinetta di messer Giovanni al pianoforte di Mario Costa; ma sarebbe una menzogna ed una imagine retorica. Già, i poeti!...

E a proposito di Paisiello, il magnifico monumento dedicatogli dalla sua patria sta lì ad attestare che un monumento tanto è più splendido quanto meno lo si fa, e per questo il dolce cantore della Nina non ha a Taranto neanche un busto, neppure mezzo, e nemmeno un quarto, e si cercherebbe invano una tomba di lui, che se anche ci fosse, a che servirebbe? Tanto, le ceneri di Paisiello sono a Napoli, in una chiesa di Ghiaia. Taranto ha, in compenso, un incredibile Politeama Paisiello con annessa piazzetta omonima, per la quale possono passeggiare, in segno di omaggio, coloro i quali abbiano da assolvere un dovere di ammirazione verso il primo dei grandi musicisti italiani. Pei vicoli bui e fumosi della città vecchia, verso la Porta Centrale — per far onore al suo nome è in un punto assolutamente fuori centro — in via Monteoliveto voi troverete un muro rossigno con su una lapide, la quale conterrà, senza dubbio, una meravigliosa epigrafe, ma chi la legge?

Dopo immatura contemplazione capirete che lì v’è una casa ed in quella casa nacque Giovanni Paisiello, compositore di sentimentalissime musiche. Piccola, sbocconcellata dall’avvicendarsi degli anni, la casetta è maltenuta anzi che no. Voi troverete un balconcino con qualche rosa e magari con una camicia sciorinata, oh ma una camicia molto diversa da quella coi manichini a pizzi e ricami usata dal musicista quando «ganimedeggiava» per la Corte di Napoli.... Ma glissons, perchè spettegolare ancora, dopa quasi tre secoli?

Taranto moderna, bianca, solatia e operosa, si trova di là dal ponte girevole. È detta «il borgo» forse appunto perchè ha tutti gli aspetti, tranne quello d’un borgo. A quando a quando il rumore d’un opificio, dei vari sorti di recente, il teuff-teuff d’un automobile militare, il rasplo d’un carriaggio a freno, il passo frettoloso e cadenzato d’una compagnia di marinai, il clamore dei monelli che giocano «alla guerra cu lli turche», il gridìo dei giornalai, l’affaccendarsi dei mercatanti, una filza di carrozze piene d’ufficiali in sciarpa, il fragore d’una batteria da campagna tirata verso l’arsenale, una dimostrazioncella intorno ad un gruppetto di tornati dall’Africa, l’ansia generale, l’improvviso sbarrar d’occhi ad una notizia che corre di bocca in bocca, una donna piangente, uno sventolar di bandiere, il rumore sordo di ferramenta smosse che indica l’aprirsi del ponte girevole, lo strillo acuto di una sirena, l’accorrer di studenti al porto, il riversarsi della folla verso il parapetto del canale navigabile, per l’arrivo d’un naviglio, il chiacchierio solenne non interrotto da risa discordanti, nei caffè e nei ritrovi, tutto questo e mille altre cose insieme che non si possono definire, che sono come le pulsazioni d’un immenso corpo, come l’affluir d’un gran sangue ad una tempia colossale, tutto, tutto vi fanno sentire la guerra che si combatte di là