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246 | IL BUON CUORE |
Le tragedie.
Così anche delle sue tragedie, il Carmagnola e l’Adelchi che scrive in questi anni, apparentemente senza altra fatica che della elaborata e curiosa e ingegnosissima preparazione storica e critica. Vorrebbe avere accanto a sè il Fauriel per cavarne un qualche lume sul buio profondo di quei tempi. La leggerezza e presunzione degli storici non gli desta nessun moto di sdegno: solo, vorrebbe avvertirli bonariamente che non sanno nulla.
Alfine, compiute le tragedie, si mette alla prima composizione del romanzo, senza farcene sapere nulla. Comincia, semplicemente, a lavorare. E con la figura di quest’uomo che tormenta con delicati scrupoli un amico perchè gli mandi libri su libri e vecchie storie, ecc., ecc.Epistolario, diremo, non grande come non copioso; tutt’altro che ricco, anzi povero; un epistolario al quale, eccettuate forse poche lettere e qualche biglietto, Alessandro Manzoni non pensava. Non pensava, scrivendo agli amici, di preparar nulla pei posteri: nè rivelazioni intime, nè sorprese, nè la cronaca, nè la storia di sè medesimo e delle cose sue. Le lettere di Ugo Foscolo, di Giacomo Leopardi, del Tommaseo e del Capponi entrano a far parte della letteratura italiana: sono prosa pensiero, passione e contrasto, critica e cultura; sono episodi rilevati di umanità eloquente e vigorosa. Delle lettere di Alessandro Manzoni non si può dir tanto. La parte critica e culturale la ritroviamo ben altrimenti sviluppata nelle sue prose; egli non aveva voglia nè di raccontarsi nè di indagarsi per lettere ai conoscenti e agli amici. Era pigro; era parco, era ineffabilmente ascetico. Ed è, così come ci appare, un che di non bene distinto e quasi di confuso tra l’uomo antico ed il nuovo. Scriveva le sue lettere su per giù come le scriviamo noi, oggi, che non abbiamo più il tempo di scriverle, e non le sappiamo scrivere. E ne ha lasciate poche, come certi scrittori antichi. E forse si potrà dire un giorno alcun che di più vero che non si sia detto finora sul Manzoni uomo, a parte l’ingegno. Che cioè fu savio, ma anche innegabilmente mezzano e limitato, senza passioni quotidiane che potessero dar valore e rilievo al racconto della sua vita mortale. Fu molto economo di sè medesimo. Non visse in espansione lirica, come il Foscolo, la sua vita mortale: non la visse letterariamente come il Tommaseo, nè psicologicamente e pedantescamente come il Leopardi. Una lettera del Manzoni non sa essere nè una bella pagina di prosa, nè uno stato d’animo travagliato profondo. È qualche cosa di infinitamente meno. Ma egli volle che fosse così. Il suo ideale era nella vita, non nella letteratura. O se era nella letteratura, questa si chiamava lirica, romanzo, tragedia, non mai epistolario.
Accettiamo dunque il compimento della sua volontà.
Carteggio di Alessandro Manzoni, a cura di Giovanni Sforza e Giuseppe Gallavresi; con 12 ritratti e 2 fac-simili, 1803-1821. — Milano, Ulrico Hoepli, editore, pagg. xx-610, L. 6,50.
Il rifugio di lbsen ad Amalfi
I bibliografi di Enrico Ibsen, a proposito dia «Casa di bambola», sanno ed annotano solamente questo: che essa fu scritta nei tre mesi autunnali del 1879 ad Amalfi. Niente altro: troppo poco per chi ama di ogni grande figura rappresentativa conoscere le consuetudini l’ambiente entro il quale essa operò.