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238 IL BUON CUORE


Il Manzoni giacobino.

Andiamo avanti. Nel settembre di quell’anno 1806 si ammala molto gravemente l’Arese. Il Manzoni a Parigi è informato del caso e delle circostanze che lo rendono anche più triste all’anima ch’egli aveva allora di miscredente. «Duolmi amaramente che gli amici non abbiano adito al suo letto, e che invece egli debba avere dinanzi agli occhi l’orribile figura di un prete. Nè puoi figurarti quanto dolore e quanta indegnazione abbia in noi eccitato il sentire da Calderari, che ad Arese era stata annunziata la sentenza fatale. (Spero per Dio che sarà vana). Crudeli! così se egli schiva la morte, ha dovuto nullameno assaporarne tutte le angoscie! E quante volte l’annuncio della morte ha ridotto agli estremi dei malati, che ignorando il loro stato sarebbero guariti.

«Basta; i mali del caro ed infelice Arese, che ho sempre dinanzi agli occhi, mi allontanano sempre più da un paese, in cui non si può vivere, nè morire come si vuole. Io preferisco l’indifferenza naturale dei francesi, che vi lasciano pei fatti vostri, allo zelo crudele dei nostri, che s’impadroniscono di voi, che vogliono prendersi cura della vostra anima, che vogliono cacciarvi in corpo la loro maniera di pensare: come se chi ha una testa, un cuore, due gambe ed una pancia, e cammina da sè, non potesse disporre di sè, e di tutto quello che è in lui a suo piacimento».

La grande amicizia col Fauriel.

Ma vediamo un’altra lettera del Manzoni al Fauriel, datata da Genova il 19 marzo 1807:

«J’étais au lit ce matin, et je pensais au retard de vos lettres, quand j’entend ma mère qui crie: Alexandre, une lettre de Fauriel; je sautai de mon lit, je courus dans sa chambre et nous savouràmes ensemble votre chère lettre. Je ne peux pas vous exprimer le plaisir que me, fait l’espérance toujours plus forte en moi que je serai votre ami, et cette espérance fait aussi le bonheur de ma mère, qui me répète toujours (ce que mon coeur me dit aussi, quoique ma raison me réplique que c’est une folle presomption): Oh si tu pouvois devenir nécessaire à ce divin Fauriel! Ne vous fàchez pas, l’épithète m’est échappée.... Nous allons partir da Génes (le) mardi 24, nous resterons peut-étre 3 semaines à Turin, et puis nous retournerons a calcar l’Alpi nevose, e il buon Gallo sentier, comme disait notre Alamanni, qui avait raison, car.... Ma je vous dirai à (sic) vive voix tout le mal que je sens de cette belle Italie et les raisons qui me font lui préférer la France. Si quelqu’un de mes concitoyens m’entendait, il crierait au blasphème; mais, s’il vous connaissait et s’il avait du bon sens, il concevrait que la raison d’étre près de vous est une raisons suffisante pour me faire préférer le séjour de Paris à tout autre: je vous avertis sérieusement de prendre cette expression à la lettre».

Fra le ragioni che renderebbero ora più che mai cara al Manzoni la conversazione del Fauriel, ve n’ha alcune intime di cuore.

Vi ho forse raccontato altra volta che ho avuto nella mia adoloscenza (1801) una fortissima e purissima passione per una giovinetta.... passione che ha forse
consumate le forze della mia anima per simili emozioni. Ebbene! ella è a Genova, ed io l’ho veduta. Mia madre, che aveva fondato la speranza di tutta la sua vita nella nostra unione e che non la conosceva personalmente, l’ha veduta e ne è stata molto colpita, poichè ella è maritata. Quel che mi dà un po’ di tortura, è il pensiero che è un po’ colpa mia averla perduta, e che ella credeva che la colpa fosse tutta mia. Ma la mia colpa fu di non averla avvicinata quando lo potevo onorevolmente; ma allora non mi rimaneva per essa che una profonda venerazione che conserverò sempre: questo sentimento non era altrettanto forte quanta la mia avversione per il matrimonio; avversione che l’orribile spettacolo del mio paese aveva fatto nascere, che la parte che io prendevo (ed ecco la mia vergogna) a questa corruzione non aveva fatto che aumentare». La fanciulla alla quale il Manzoni accenna chiamandola «l’angelica Luigina» fu forse donna Luigia Visconti dei marchesi di San Vito, sorella del filosofo Ermes, andata sposa in Genova al marchese Gian Carlo di Negro, altro amico del Manzoni, e morta appena nel 1810.

La morte del padre.

Nel marzo di quello stesso anno il nostro scriveva da Brusuglio al Pagani: «Un motivo ben doloroso, il desiderio cioè di vedere mio padre ch’era gravemente malato, desiderio che purtroppo non ho potuto soddisfare, giacche non lo trovai vivo, mi ha chiamato a Milano. Come però questo era il solo motivo che mi ci chiamava, così cessando questo non metto il piede in città (a Milano) e domani o dopo riparto per Torino, indi per Parigi». In questo viaggio era stato accompagnato dalle madre, ma nè l’uno nè l’altra piansero a lungo per la morte di don Pietro.

L’amicizia col Fauriel si fa in questo periodo di lontananza sempre più profonda: il giovane ha promesso a sè medesimo di scoprirsi all’amico tutto intero, e in ogni istante: perchè vuol essere degno di lui e in fondo «je me trouve bon enfant; et je suis sùr de n’avoir jamais un sentiment méprisable». Continua con l’illustre uomo la conversazione letteraria e da Torino lo informa d’aver letto la traduzione di Virgilio fatta da «quell’Alfieri a cui sono scappate diciannove eccellenti tragedie». «Que diable est-il allé faire dans cette galere?». Egli ha voluto contare le espressioni di Virgilio (come questo autore gli sta ancora e gli starà sempre dinanzi!) che gli paiono indebolite, o spoetizzate nella traduzione e gli è sembrato trovarne trentacinque nelle prime quattro pagine. «Mi sembra che dopo il Caro, rimanga ancora da fare una assai bella traduzione dell’Eneide, ma mi sembra che per farla bisogni avere proprio quello che l’Alfieri non aveva. Mi sembra che questo grande uomo assomigli a un eccellente comico, che fuori della scena e andando in società dicesse delle sciocchezze, e allora, a dirvi la verità, je ne le trouve pas béte comme un génie». E chiudendo una lettera al medesimo, del 12 maggio: «Addio, mio caro amico, se pur son degno di voi: ricordatevi che mi è impossibile stimare e amare chi che sia tanto quanto faccio di voi».