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206 IL BUON CUORE


Non c’è qualche altra cosa che li aiuta e li rinforza? Notate bene. Si ordina agli ammalati di recarsi nei vigneti di buon mattino quando la rugiada ancor imperla i grappoli, e il sole non l’ha peranco rasciutta: loro si raccomanda di rimanervi non meno di due ore.

Sono per lo più gente torpida, avvezza a poltrire nel letto fino all’alba dei tafani. Scuotono così un’abitudine antica, rompono un’inerzia che li teneva da tempo immemorabile sotto catena, respirano per due ore l’aria frizzante, animata dai primi raggi del sole. Al dopo pranzo su, di nuovo, poltroni, ai vigneti! Per lo più è da fare una camminatina in salita. Ed ecco altre due ore di aria libera, di sole, di azione ravvivatrice della luce, tra il verde gaio delle colline, tra gli effluvi sani delle piante in piena vegetazione. Tutto ciò eccita le forze sopite, esilara lo spirito, ravviva cuore e polmoni, dà moto e vigore ai vari congegni della macchina umana.

L’uva non fa mai male. Si consiglia di mangiarla adagio, gettando via le bucce e, possibilmente i semi. Non è una medicina, quindi non va soggetta a dosi! ma, per solito, se ne fan consumare da due a quattro chilogrammi al giorno per 30 o 40 giorni di seguito. Qualche volta, specialmente in principio di cura, dà presto un senso di sazietà e di peso. E’ lo stomaco stesso che dice: basta per ora. Già si deve obbedire, ma non desistere. Passati uno o due giorni la si riprende, e lo stomaco allora, fattosi più docile e più arrendevole, permette un’introduzione più copiosa.

Il regime dell’uva è utile non solo agli ammalati, ma anche ai sani. Non facciam nostre le esagerazioni dei vegetariani, i quali sostengono — e, bisogna ammetterlo, con buone ragioni — che il vitto carnoso, o, com’essi sdegnosamente dicono «il nutrirsi di cadaveri» è contrario alla natura dell’uomo, è un vitto «antinaturale» che l’uomo non ha fatto in origine e che soltanto un’aberrazione del gusto gli rese gradito e poco a poco indispensabile; e che al regime carneo è imputabile l’origine e la permanenza di molti e gravi malanni, come la gotta, l’artritismo nelle sue varie manifestazioni, l’arterio-sclerosi, il male di Bright, e persino il carcinoma!

Ma è innegabile che l’alimentazione prevalentemente azotata (carnea) più che la prevalentemente idrocarbonata (vegetale) dà origine a prodotti o scorie cui tocca ai reni eliminare.

I reni di coloro che insaccan carne tutto l’anno son dei veri condannati ai lavori forzati; se son sani resistono; se no, alla lunga si logorano e ammalano. Ora, noi diam bene il riposo, quando e quanto più si può, al cervello; lo diamo ai muscoli; e in quest’ultimi tempi, forse per associazione d’idee col riposo settimanale accordato e imposto per legge agli operai, è saltata fuori la proposta di dar riposo anche al ventricolo col digiuno periodico. Perchè dunque escluderemo da questo pietoso riguardo quei poveri reni? E siccome il loro riposo assoluto non sarebbe possibile, sarebbe anzi incompatibile colla vita, e posto che non possiam rinunziare alla costoletta di rito o a quel qualsiasi piatto di carne biquotidiano, senza del quale ci parrebbe
oramai di non poter più vivere, concediamo ai nostri reni almeno un riposo relativo, una mezza vacanza annuale con uno o due mesi di cura d’uva.

Sarà per loro un ristoro ed anche un lavacro, del cui benefizio godranno gli altri visceri in tutto il resto dell’anno.

Non è soltanto nella Svizzera che si fanno le cure d’uva. A chi percorre in questa stagione le pianure ondulate della Germania, della Slesia e le prime alture del Tirolo, si presentano frequenti sulla cima dei poggi o sulle vallette ombrose piccole fattorie, graziosi «chalets» guerniti di terrazzini, sormontati da torricelle, donde intiere famiglie nel mattino e nel pomeriggio sciamano pei vigneti circostanti a farvi la loro traubenkur. Tutti gli anni l’Italia, in questo poetico settembre, dalle sponde del Verbano fino al capo Passero è tutta un addobbo di pampini e di grappoli sui quali pare si sia distesa la ditirambica benedizione di Francesco Redi:

Manna del del sulle tue treccie piova
Vigna gentil che quest’ambrosia infondi
Ogni tua vite in ogni tempo muova
Nuovi fior, nuovi frutti e nuove frondi;
Un rio di latte in dolce foggia e nuova
I sassi tuoi placidamente inondi;
Nè pigro gel, nè tempestosa piova
Ti perturbi giammai, nè mai ti sfrondi

Muoviamo anche noi al salutare pellegrinaggio pei filari inghirlandati; facciamola anche noi la «traubenkur»; facciamola metodicamente tutti gli anni, come molti, con forse minor benefizio, fan la cura di Montecatini e di Vichy. Nè ci dia pensiero la produzione del vino diminuita. Del vino ce ne sarà sempre in abbondanza, fin troppo. Forse sarà anzi un bene perchè molte volte il figlio tradisce, mentre mai noi tradisce la madre.

Dott. Montel.


Cav. Uff. MICHELE CAJRATI

Ingegnere Architetto.

Da lungo tempo lo conoscevo; gli ero amico; la circostanza che la stia figlia Signorina Matelda, aveva prestato opera assidua alla fondazione dell’Asilo Infantile dei Ciechi, mi aveva quasi fatto un membro della sua famiglia. Otto giorni sono mi ero assiso con lui a mensa nella sua villa di Monza, ove stava preparandosi per recarsi alla consueta cura di San Pellegrino.

E oggi devo scriverne il necrologio! Un improvviso assalto di nefrite, che da tempo lo minava, lo trasse in pochi giorni alla tomba.

L’Ingegnere Cajrati era notissimo in Milano. Avvicinarlo, conoscerlo, era amarlo. Egli aveva tutta l’anima sul suo volto, un’anima aperta, schietta, sincera, piena di benevolenza, di generosità, che invitava alla stima, alla confidenza: una dignità aristocratica, senza ostentazione, effetto di una naturale elevatezza di pensieri e di sentimenti, lo accompagnava in tutte le manifestazioni della sua vita: sordida pello, sta scritto nello