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IL BUON CUORE 191


di Paganini e del violinista ungherese Ondriczek: e tre anni più tardi il cadavere fu rimosso un’altra volta per la costruzione del nuovo cimitero di Parma!

Potrà finalmente la spoglia di quest’uomo prodigioso trovare quel riposo postumo che le spetta? Speriamolo.

I biografi di Paganini furono molto numerosi e tutti si indugiarono a rilevare la stranezza della sua vita e del suo temperamento. Era di una sensibilità estrema, e non poteva toccare il violino senza sentirne come una sofferenza. Non suonava mai fuori dei concerti, e anche durante le prove generali si accontentava quasi sempre di far scorrere le dita sulla tastiera del violino per fissare le posizioni o richiamare alla memoria qualche passaggio importante senza usare mai l’arco.

Benchè celebre temeva sempre il pubblico: e quando alla sera doveva suonare, passava gran parte della giornata agitato, disteso su una poltrona, senza muoversi.

Ma l’anitra di Paganini non era davvero chiusa agli affetti. Basterà ricordare l’idolatria che egli ebbe per suo figlio Achillino. A sette anni il bimbo, che non si separava mai da suo padre, parlava correntemente l’italiano, il francese e il tedesco, e gli serviva efficacemente d’interprete, ufficio che s’impose poi quando, per il sopraggiungere della tubercolosi laringea, Paganini perdette quasi completamente la voce, ed era costretto a parlare all’orecchio di suo figlio, che solo riusciva a capirlo.

«Notte e giorno — soleva dire Paganini — questo bambino è il mio unico pensiero. Se lo perdessi, morirei anch’io, poichè mi sarebbe impossibile vivere senza lui».

Alcuni biografi narrano che gli appartamenti del violinista erano sempre pieni di giocattoli, che egli regalava continuamente ad Achillino. Non voleva che nessuno aiutasse il bimbo a vestirsi, compito che riserbava a sè, e che eseguiva con una cura più che materna.

E spesso, nei momenti di buon umore, il grande artista tornava bambino per compiacere il figliuolo, e si rassegnava a giocare con lui.

Spesso Achillino con una grande sciabola di legno minacciava scherzosamente il padre sfidandolo a battaglia. «Angelo mio — gridava Paganini indietreggiando — mi arrendo, sono già ferito!» Ma il piccolo tiranno non si teneva pago fino a che il padre non si lasciava cadere a terra, affatto vinto dalla spada minacciosa del minuscolo combattente....

Molto si è discusso anche sulla pretesa avarizia di Paganini; ed anche in questo si è enormemente esagerato. Egli aveva fama di ricchezza, e le richieste di denaro, gli inviti per concerti di beneficenza dovevano certo giungergli quotidianamente: è logico che non potendo soddisfare tutti lasciasse qua e là dei malcontenti. È una cosa questa che si verifica tutti i giorni.

Ma quando potè, Paganini non si rifiutò mai di dare il contributo del suo genio e del suo denaro a soccorso delle miserie altrui.

Tutti ricordano ciò ch’egli fece per Berlioz, quando il grande musicista francese, fatto segno agli attacchi del pubblico e della critica, versava nelle più tristi condizioni finanziarie.

Dopo un concerto dato da Berlioz, Paganini, che del genio di lui era ammiratore entusiasta, gli inviò suo figlio con la seguente lettera: «Mio caro amico — Beethoven spento, non c’era che Berlioz che potesse farlo rivivere; ed io che ho gustato le vostre divine composizioni degne di un genio qual siete, credo mio dovere di pregarvi a voler accettare in segno del mio omaggio ventimila franchi i quali vi saranno rimessi dal sig. Baron de Rotschild dopo che gli avrete presentato l’acclusa. Credetemi sempre il vostro affezionatissimo amico Nicolò Paganini».

E dopo questo gesto regale, ci fu ancora chi continuò ad accusare Paganini di spilorceria! Ma, così è; quando una riputazione — a ragione o a torto — si è formata, è vano lottare contro di essa.

Nicolò Paganini si compiacque di prendersi giuoco dei curiosi e degli importuni, che non dovevano certo mancargli.

Quando gli si chiedeva con quali metodi era pervenuto a raggiungere una tale perfezione, egli rispondeva sorridendo: «È un mio segreto; lo pubblicherò un giorno!».

Di questo «segreto» si preoccuparono anche eminenti musicisti. Il Fétis analizzò minutamente l’arte del Paganini, e Carlo Guhr, kappeltmeister e direttore del teatro di Francoforte, pubblicò un volume sull’Arte di suonare il violino, di Paganini, nel quale, dopo osservazioni minuziosissime, credette di aver potuto strappare il segreto del violinista italiano.

Ma il suo segreto non era che il suo genio; ed egli l’ha portato con sè nella tomba.

Oggi, però, a tanti anni di distanza dalla morte di Paganini, possiamo ripetere la frase che fu incisa nella medaglia offertagli dalla città di Vienna: Perituris sonis non peritura gloria!

Enrico Boni.

A CHIESA

(in Valmalenco)


Distesa come in talamo in un prato

dentro la conca de’ tuoi alti monti
col crine alle pinete imbalsamato
tu dormi, o Chiesa, al susurrar dei fonti


che pare la leggenda del passato,

con un lamento, al pellegrin racconti,
oppur lo culli, quando trasognato
contempla la vision de’ tuoi tramonti.


Sulle tue vette, avvolte in bianco velo

come angeli celesti, ardito anch’io
dispiego il volo, e all’infinito anelo.


E quasi fossi più vicino a Dio,

in una santa nostalgia di cielo
ritorno a te, sull’ali del desìo.

P. Federico Ghisolfi.