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IL BUON CUORE 173


ed evoluzioni militari, o con energia e sicurezza volteggiano le loro membra ed il loro corpo in mille guise ai grandi o piccoli attrezzi ginnastici, io provo sempre gradite emozioni, e penso con intimo compiacimento che quei giovani potranno diventare un giorno uomini buoni, utili a sè, alle loro famiglie, alla patria.

Diventeranno utili, perchè gli individui sani e forti, anche se poco istruiti, dispongono sempre di mille risorse, mentre quelli istruiti, ma infermi, sono invalidi bisognosi di continuo aiuto. Diventeranno buoni perchè la salute e lo sforzo del corpo sono ottime condizioni per acquistare tanto una proficua istruzione,quanto una efficace disciplina morale. Non vi ha dubbio, infatti, che in un individuo malato l’opera educativa morale rimane assai sconcertata. È questo un concetto antico, espresso nella formola: «Mens sana in corpore sano» e ripetuto sempre da tutti i più grandi educatori, in espressioni varie, come ad esempio: «La perfezione fisica serve ad assicurare la perfezione morale»; «non v’ha maggior tiranno della volontà di un organismo indebolito»; «nulla impedisce maggiormente il libero svolgimento delle facoltà spirituali che un corpo malato, le cui funzioni languono e per il quale ogni sforzo è un patimento». E ne potrei citare moltissime ancora di tali espressioni, tutte tendenti a dimostrare che «nessun scopo educativo, nè della mente, nè del cuore si può raggiungere, senza la base di una salda educazione fisica».

D’altronde molti avranno potuto esperimentare che in un corpo malato difficilmente può trovarsi uno spirito sereno e forte, capace di nobili affetti, di generose aspirazioni, di atti eccelsi di virtù pubblica e privata.

Ma quand’anche per eccezione un individuo malato avesse uno spirito di potenza non comune, questa potenza non potrà mai espandersi, per la deficenza di forza corporale. Mentre invece:

Che non può un’alma ardita
Se in forti membra ha vita?

Da quanto ho detto appare evidente che è necessario provvedere alla educazione fisica, se si vuole ottenere una buona educazione morale. Ora domando: In che consiste la forza morale? Nell’avere il corpo docile ai voleri dell’anima, risponde il P. Semeria, in un suo discorso.

Il corpo deve servire all’anima come la spada al guerriero; e perciò due qualità gli occorrono: essere docile e forte come la spada, la quale deve essere maneggevole e ben temprata.

Orbene la ginnastica provvede non solo a dare forza e docilità, ma è in se stessa mezzo e strumento di educazione morale.

Essa infatti infonde nell’animo dei giovani lo spirito di disciplina, il sentimento dell’onore, dell’ordine, della puntualità, della ubbidienza pronta e della sottomissione. Essa, abitua ancora i giovani ad una vita attiva e rigida, allo spirito di iniziativa e di risorsa; li rende coraggiosi di fronte a qualsiasi ostacolo, in difesa della propria e dell’altrui libertà, di fermo e tenace carattere.

Accorrano dunque i giovani alle palestre ginnastiche
con sollecitudine e costanza. Nell’esercizio dei muscoli acquisteranno: forza, bellezza, letizia. La forza materiale sarà loro fonte di spirituale energia; la bellezza, sorgente di intime compiacenze che disporranno l’animo alla serenità e alla letizia; e l’animo lieto e sereno sarà sempre pronto alla bontà e alla generosità. Nelle palestre i giovani impareranno ancora a combattere l’ozio e la mollezza, che sono cagione di vizi; e coll’abilità di superare ostacoli, di trarsi d’impiccio nei cimenti, di divorare gli spazi, acquisteranno pure la forza di domare i cattivi istinti, di vincere le malvagie seduzioni e di dirigere la volontà al bene.

Prof. Cajelli.

NELL’ANNIVERSARIO DI UN GRANDE


NICCOLÒ PAGANINI

(Dal Corriere d’Italia).

Sembra che il tempo, che pur tante cose dissolve e travolge, non abbia potere sulla memoria di alcuni uomini privilegiati, i quali del loro nome riempirono il mondo, assicurandosi una popolarità universale. Niccolò Paganini è uno di questi: egli che sintetizzò tutto un periodo musicale, e che, vivente, seppe, per l’arte sua prodigiosa, suscitare entusiasmi senza confronti e leggende stranissime, così da creare intorno a sè tutta un’atmosfera di romanzo e di favola. Ed ancora oggi, a settantadue anni di distanza dalla sua morte, la figura di lui nulla perde del suo fascino singolare; la fama di lui è ancora intera, salda, granitica; ancora il suo nome è famigliare ad ogni classe di persone, come allorquando correva il mondo col suo Guarniero magico, dietro il quale si traevano le folle ammaliate.

V’hanno alcune manifestazioni artistiche di cosi straordinaria potenza, da suscitare sulle moltitudini una specie di ammirazione superstiziosa, eccitatrice della fantasia popolare, creatrice di leggende. Ciò doveva necessariamente e specialmente verificarsi anche per il grande violinista genovese, il quale — oltre che per le sue doti di artista sbalorditivo — per la bizzarria del carattere, per la stessa sua figura strana e sparuta, per il mistero, più apparente che reale, onde amò talvolta circondarsi, offrì facile presa alle fantasticherie e passò fra i suoi contemporanei come una specie di mago e di stregone.

Originalità, bizzarria, stranezza, egli manifestò fin dai primi anni della sua esistenza.

Figlio di un modestissimo impiegato del porto di Genova, si diede assai per tempo allo studio del violino. «Verso i cinque anni — narra il Paganini in una breve autobiografia — il Salvatore apparve in sogno a mia madre e le disse di chiedere una grazia. Ed ella domandò che suo figlio diventasse un grande violinista; ciò che le fu accordato». Apprese da suo padre i primi elementi del violino, e in pochi mesi fu in grado di eseguire «ogni specie di musica a prima vista». La sua prima sonata per violino fu da lui scritta a otto anni; e qualche mese dopo egli eseguiva in una chiesa, con straordinario successo, un concerto di Pleyel.