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146 IL BUON CUORE


al suo poeta un nuovo canto che lo guidasse per le vie nuove. Sienkiewicz, fermo nella sua rocca gloriosa, affezionato alla vecchia aristocrazia, non volle sacrificare le sue idee, non si rese conto del fenomeno storico-letterario che egli rappresentava, di uomo-esponente dei movimenti psicologici del suo popolo, e, invece di rinnovarsi e guidare le nuove correnti, le schivò, rifugiandosi, col Quo vadis?, nel remoto passato. Il romanzo cristiano, se furoreggiò in Europa e in America, e giustamente, non ebbe, in Polonia, il successo della Trilogia, e, anche questo, giustamente.

E di fronte a Sienkiewicz a nuova marea montante mise due nuovi colossi: Zeromski e Boleslaw Prus.

Il primo, ingegno straordinario, ha posto mano alle grandi piaghe sociali, le ha messe a nudo e le ha mostrate nella loro cruda verità, rivestendo le sue concezioni tragiche e fortissime di una passione tutta apostolica, e proiettandola con un’arte narrativa di primo ordine. Lasciato per poco da banda il popolo come nazione e collettività politica, egli ha tratto alla luce quello che ancora sull’orizzonte della letteratura polacca non era apparso: l’individuo in sè e per sè; ma non ha dimenticato la nazione, chè anzi nel suo migliore romanzo, il cui titolo si potrebbe tradurre: L’Amore della Terra, egli ha descritto le lotte e le sofferenze dei contadini in Posnania, sbarbicati e divelti dal suolo ove nacquero dal bastone prussiano.

Il secondo, più vecchio di Zeromski, intelletto altrettanto profondo, ma anima più delicata, ha oltrepassato le barriere etniche e nazionali, ha toccato la vasta umanità nei suoi tipi eterni, e, in una visione di bellezza sontuosa, ha fuso in sè la civiltà slava con la latina e con la greca, fino a dare un capolavoro degno di rivaleggiare con Salammbô: il Faraone, dove si rianima, in una luce di sogno e in una sinfonia di colori smaglianti, la suggestiva civiltà egizia. Con Boleslaw Prus, l’arte polacca esce dalle linee rigorose di una rivendicazione nazionale, per spaziar largo, fin dove è lembo di umanità, fin dove è vestigio di elevazione estetica e morale, e con questo non rende minor servigio alla sua gente, giacchè a un popolo che reclama la vita è primo dovere tenersi in contatto, in continuo scambio con tutti i popoli passati e presenti, perchè la sua vita si faccia varia e si ringiovanisca il suo sangue.

E contatti e scambii, per questa razza in continuo fermento, per questo popolo di viaggiatori infaticabili, si son fatti innumerevoli.

Dalla Germania, dall’Inghilterra, dalla Francia, e non poco anche dall’Italia, tutte le filosofie, tutti i generi d’arte, tutte le fasi e gli aspetti della coltura hanno avuto un’eco in Polonia, anzi, si sono compenetrate in misura diversa nella concezione sociale, morale, artistica e politica dei polacchi, e han dato vita e nutrimento, di conseguenza, alla loro letteratura moderna.

La quale s’è fatta elastica e dolcissima, pur conservando un’ardita originalità autoctona con Kazimierz Tetmaïer, considerato oggi come uno dei più grandi poeti e romanzieri della Polonia; s’è fatta vivace, satirica e finissima, col De Weissenhoff, modernista — letterariamente, s’intende — con lo Szrybszenzki, con
lo Szeroslawski, con Marion; pagana con altri, spiritualista con altri ancora, tutti letti appassionatamente e giudicati, da questo pubblico cittadino e proprietario di campagna, che si nutrisce di letteratura e d’arte come di pane.

In nessun paese d’Europa, come in quello, la letteratura segue con fedeltà maggiore i passi dell’anima collettiva, certo perchè quel popolo, sprovvisto di ogni adito ad una esistenza politica, teso continuamente, come una mente sola e un cuor solo, nella volontà di essere, dà una esatta rispondenza a tutte le sue varie attività, diverso in questo, dalla quasi totalità dei suoi fratelli slavi, se se ne eccettuino i boemi.

Ora, questa generazione nuova di scrittori, bene accetta al gran pubblico, ha un giudice severo, inesorabile, nel Sienkiewicz. Ad ogni occasione, nella quale egli possa far sentire la sua voce, è un biasimo che egli lancia a tutti i suoi rivali indistintamente, è una condanna alla scuola che non è la sua.

Ma il gran pubblico, che lotta, come già in Galizia, non per una secessione immediata dalla Russia e dalla Germania e dall’Austria tanto meno, ma per costituirsi in coscienza nazionale assoluta, e per veder più ampiamente tollerati la sua fede, i suoi costumi, le sue idealità, segue con simpatia quegli scrittori condannati, che per lui rispondono come risuonatori a tutte le voci di dolore, di sdegno, di supplica che egli lancia di tanto in tanto al cielo nebuloso della comune esistenza slava.

Ed è appunto per questo carattere fatto di equazioni di equilibrio, del suo paese, che Enryk Sienkiewicz s’è visto sfuggir di mano lo scettro che per qualche tempo egli solo aveva tenuto. Il popolo polacco, grato al grande artista di aver rievocato i suoi bei tempi eroici, che, come ricordi, rimangono sempre una parte dell’anima nazionale, gli fece dono della ricchezza, della gloria e di una villa: Oblenyorek.

Sienkiewicz, abituatosi presto a quella gloria, si è stancato a grado a grado dalla corrente moderna, si è visto minacciato, quasi, nell’altezza che aveva raggiunto che nessuno gli potrebbe togliere, e nei suoi ultimi lavori non ha concesso l’entrata agli elementi costitutivi delle moderne lotte sociali e politiche.

Così, mutati i tempi, orientate ad altro polo le aspirazioni, ravvivatesi d’altro fuoco le speranze, egli ha visto a poco a poco allontanarsi da sè il popolo che un giorno fu tutto per lui, e seguire altri fedeli ricostruttori della propria psiche nuova, varia e possente.

E il grande autore della Trilogia e di Quo vadis? è ora circonfuso della pallida luce crepuscolare.

Alla sua solitaria Oblenyorek, perduta fra le betulle i salici nella pola sconfinata, vengono ancora, dalla Mazovia orgogliosa della sua Vistola, dall’Ukraina ricca di grani, dalla gelida Lituania, gli echi delle cavalcate vertiginose dei suoi bei cavalieri vestiti di zibellino; vengono ancora a lui i ritmi affrettati e i balzi di piedi speronati della mazurka fiera e galante; ma l’ammirazione del popolo, che un tempo era fervente come una preghiera, non gli giunge più.