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132 IL BUON CUORE


fluenza dei buoni Missionari dell’Opera di Assistenza! ed io già dissi allo zelante cav. rev. De Vita, che sarei ben lieto di ritrovare tutti questi bravi operai ai lavori della seconda galleria del Sempione....

«Chiudo, Monsignore Reverendissimo, rinnovando di cuore i miei ringraziamenti, augurando a V. E. buona salute e pregando il Cielo che vi conservi per lungo tempo ai vostri figli riconoscenti.

«La mia famigliuola invia i suoi migliori auguri così a V. E. come a Mons. Lombardi, ed io vi prego, Monsignore Reverendissimo, di gradire i migliori sentimenti di chi è felicissimo ed orgoglioso di chiamarsi vostro devoto e riconoscente amico.

Firmato: Ing. G. Moreau»

Villa Marie — Arles (Francia).

Gemme e fantasie d’Oriente


L’Oriente va man mano perdendo gran parte del suo fascino. Là dove, per lunga consuetudine ci abituammo a immaginare paesaggi di féerie, o strane persone avvolte quasi in un’atmosfera di sogno, smagliante di ori e di colori, la realtà ci ha svelato, invece, ambienti e uomini ben diversi.

E pure qualcosa sussiste, nonostante ciò, nella nostra fantasia. V’hanno ancora per noi nell’Oriente denso di barbarie guizzi abbaglianti! Non importa se a poco a poco apprendiamo che le straordinarie ricchezze levantine sono in gran parte ipotetiche, e che quei supposti personaggi da operetta, uomini possenti e feroci, donne ingemmate e misteriose, rappresentano invece un’orda cenciosa e sudicia. Chi può dispogliare completamente il nostro pensiero da quell’esuberanza fastosa e favolosa, a traverso la quale ci è sempre apparso l’Oriente? Chi può dissociarvi l’idea degli inverosimili tesori delle gemme rare, principalmente delle gemme?

Ecco Cleopatra con le sue perle famose, le più belle dell’antichità — tanto che i romani chiamarono poi a cleopatrine «le perle di primissima scelta. Ecco l’antica Bisanzio ove la moda delle gemme e particolarmente delle perle raggiunse il delirio, e se ne adornarono gli abiti in tal copia che non era più possibile vederne il tessuto; ecco i fantastici templi del lontanissimo Oriente, impenetrabili agli europei, ove la leggenda narra di inauditi sacrifizi umani e di favolose raccolte di pietre preziose.

E la fantasia vola, spazia, si sfrena in corse vertiginose!

Certo il commercio delle gemme fu commercio essenzialmente orientale, e fu tenuto in tale considerazione che moltissimi codici sorsero ad illustrare le pietre preziose e a disciplinarne la vendita. Tra questi codici, specialmente degni di nota, furono gli arabici, ove però — a parte il grande valore di curiosità — sarebbe vano ricercare un serio fondamento scientifico, non accogliendo essi, il più delle volte, che un’immaginosa fioritura di fantasie e di leggende, alcune delle quali degne di essere rilevate.

Sappiamo già che Plinio attribuiva la nascita delle perle ad una rugiada che si forma sul mare, e che secondo un’opera attribuita dagli antichi ad Aristotile, le perle si formerebbero dalla schiuma prodotta in mare nell’infuriar del vento e delle onde. Ma il dotto El Masudi è ancor più ingegnoso, e narra invece che allorquando nel mese di marzo la pioggia cade sul mare la conchiglia sale alla superficie delle acque, e aprendo le valve inghiotte due o tre stille di pioggia: ciò che basta per assicurare la formazione della perla.

Giovanni Ebn Masuyah, autore di un trattato sulle pietre preziose, riferisce curiosi particolari circa la pesca delle perle. Egli racconta, ad esempio, come i pescatori usassero farsi un largo taglio tra la gola e le orecchie, il quale doveva poi rimanere sempre aperto e permettere la respirazione sott’acqua: qualcosa come le branchie del pesce! Ebn Masuyah soggiunge che con tale «opportuna» preparazione i pescatori possono rimanere in fondo al mare circa una mezz’ora. Ciò che è assolutamente fantastico.

È noto infatti in qual modo la pesca delle perle avvenga da secoli. Il sistema è generalmente quello tradizionale nella baia di Condatchy, ove famosissimi sono i marangoni di Colang.

Le barche che esplorano i banchi perliferi sono montate da dieci rematori e dieci pescatori. Questi si alternano cinque per cinque nel rude lavoro a cui sono abituati fin dall’infanzia, e che, del resto, dura soltanto poche settimane dell’anno.

Per accelerare la discesa in mare i pescatori usano legarsi una pietra al collo del piede destro. Al momento di tuffarsi il marangone si tappa le narici con la mano sinistra, e sparisce a una profondità di quindici o venti metri, tenendo ben stretta nella destra l’estremità della corda che gli servirà per tornare a bordo. Giunto in fondo depone in un sacco di rete che porta appeso al collo quante ostriche -gli è dato di avere a portata di mano, quindi dà una strappata alla corda, e quei della barca lo tirano su e lo issano a bordo. La permanenza sott’acqua non dura più di un minuto e mezzo, al massimo.

Questo lavoro è così faticoso che spesso, al risalire nella barca, i pescatori fanno sangue dalla bocca, dalle narici e dalle orecchie. Ma essi non vi badano troppo, e ripetono l’immersione fino a quaranta e cinquanta volte al giorno.

In generale i pescatori di perle muoiono giovani. Il loro corpo si ricopre di piaghe, il cuore e i polmoni subiscono alterazioni profonde. Talvolta una sincope li coglie all’uscita dall’acqua, ed essi — poveri e sfiniti — muoiono nella barca stessa nel cui fondo si vanno intanto accumulando i tesori contesi e strappati a prezzo di sangue al mare, per la ricchezza e per il lusso altrui.

Innumerevoli buone qualità aveva la perla secondo gli antichi popoli dell’Oriente. Si diceva che, ingoiata, giovasse in special modo contro la palpitazione di cuore, e che pestata e ridotta in polvere costituisce un insuperabile dentifricio. Il che — dato l’attuale costo delle perle — è raccomandabilissimo!