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IL BUON CUORE 107


lata «Le gallerie nazionali italiane», la quale è una raccolta di scritti di vari autori, fatta a cura del Venturi. L’equivoco si spiega facilmente, ed è inutile perciò indugiarsi su questo punto. Dunque la controversia si dibatte tra il Salazaro e il Fogolari. La prima questione riguarda l’identificazione di due personaggi che si vedono nel lunettone insieme con la croce e con sant’Elena, la madre di Costantino, scopritrice del sacro legno, la quale e a destra della croce. Il Salazaro insieme col Jannelli sostenne che il personaggio genuflesso a sinistra della croce fosse Carlo VIII e l’altro il principe Zizim e Djem, musulmano, che si abbraccia alla croce.

D’altra parte il Fogolari sostiene essere Costantino il primo personaggio, e l’altro un barbaro cavatore che solleva la croce. Il Diamare con buone ragioni, specialmente storiche, conferma l’opinione del Salazaro. L’altra questione è sull’autore del famoso quadro. Il Salazaro insieme col Jannelli sostene che fosse di Antonazzo Romano, mentre il Fogolari lo attribuisce a Cristoforo Scacco, veronese.

Qui il Diamare accetta, al par di noi, la esauriente dimostrazione del Fogolari.

Fatto questo rapido cenno di un argomento che, in verità, meriterebbe di essere trattato largamente, siamo costretti, per ragioni di spazio, a far punto. E conchiudiamo lodando lo zelo con cui il nostro A. ha raccolto memorie, documenti, tradizioni ed altro, l’imparzialità con- cui ha vagliato le altrui opinioni e infine la dottrina di cui ha arricchita la sua commendevole opera.

Ci resta solo da dar notizia di una memoria dello stesso autore intorno ad «Un’epigrafe sepolcrale, ritrovata nel territorio dell’antica Sinuessa». (Editore Giannini, Napoli).

L’interpretazione che mons. Diamare dà dell’epigrafe e specialmente del primo verso, a noi sembra la più attendibile, e la sua dissertazione noi giudichiamo frutto di vasta e soda cultura archeologica.

Il P. Girolamo Costa ha pubblicato, con i tipi delle officine grafiche Vecchioni di Aquila, un pregevole volume, adorno di 43 fotoincisioni fuori testo, intitolato «Il convento di S. Angelo di Ocre e sue adiacenze».

Prima che il P. Giuseppe Ciavattoni pubblicasse il suo interessante lavoro intorno al Convento di Sulmona, non esistevano speciali monografie dei conventi francescani negli Abruzzi. Sicchè questa sul Convento di Sant’Angelo d’Ocre, che noi presentiamo ai lettori, è la seconda di dette monografie. Essa è frutto di coscienziose fatiche, fatte in massima parte su documenti inediti.

Codesto edifizio di S. Angelo d’Ocre, che fu prima monastero dei Benedettini e poi convento dei Francescani, è tra i più antichi monumenti medioevali dell’Abruzzo aquilano; perciò non si può disconoscere la importanza del lavoro del Costa, il, quale molto opportunamente ha preso prima ad illustrate le antiche città limitrofe al luogo, sul quale fu poi eretto il convento di S. Angelo d’Ocre, cioè Forcona, Aveja e Fossa con la chiesa di S. Maria ad Cryptas. Poi, dopo aver
parlato della terra d’Ocre e del suo Castello, si è occupato diffusamente del Convento di S. Angelo di Ocre. Quindi ha disteso la biografia del P. Bernardino da Fossa ed ha fatto particolari ricerche sugli scritti di lui, completando quanto altri storici avevano detto al riguardo. Il volume si chiude con una serie di documenti inediti e con un elenco delle principali opere consultate.

Degna di particolare attenzione è la chiesa di S. Maria ad cryptas in Fossa, la quale, costruita nel IX e X secolo, appartiene all’arte che è romana e bizantina insieme, ma risale al principio di quell’ultimo periodo di evoluzione artistica, nel quale l’arte romana — dal secolo VI in poi sempre più scadente — viene finalmente dall’ottavo al duodecimo secolo soppiantata dalla bizantina e dalla moresca, trionfando il regime feudale.

Tale periodo prelude a quello in cui l’arte romana, risorta e trasformata dai nuovi bisogni della società italiana nell’epoca dei comuni, divenne arte romanza o neolatina.

L’interno della chiesa è tutto dipinto a fresco. Il fronte del grande arco a destra di chi guarda la parete meridionale e le lunette della cappella a capo della chiesa presentano le più antiche pitture, le quali rimontano al secolo duodecimo.

Questi affreschi e quelli del secolo tredicesimo, che si ammirano in S. Pellegrino presso Boomiraco, dimostrano l’esistenza di una scuola di pittori abruzzesi nel XII e XIII secolo, capace di produrre opere cospicue, e sopratutto importanti per la storia dell’arte.

Noi ci auguriamo che il bel lavoro del Costa sia di valido incitamento a trarre altre monografie dalla miniera aurifera delle memorie francescane d’Abruzzo, perchè tanti altri conventi di quella nobile regione sono degni di essere illustrati.

La voce di Napoli nell'India lontana


Parlando con Fortunino Matania


In questi giorni è passato per Napoli e vi si è trattenuto poche ore uno dei più geniali artisti che abbia l’Italia e certamente uno fra i più grandi illustratori che si conoscano in Europa, voglio dire Fortunino Matania, figliuolo di Edoardo, anch’egli pittore e illustratore dei più celebrati.

I due Matania si sono trasferiti da parecchi anni a Londra perchè la loro arte — è doloroso dirlo — è molto più apprezzata laggiù che non da noi; ma il loro cuore è con noi, qui, in questa Italia ancora costretta a concedere ad altri i suoi figliuoli migliori, e il loro amore è per Napoli dove nacquero entrambi, dove appresero ad amare l’arte e a intenderla, dove lavorarono primamente, il padre accanto ai più grandi pittori del suo tempo come il Morelli e il Palizzi, il figlio accanto al padre che fu l’unico suo grande maestro.