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IL BUON CUORE 53


an H. Heine, 1881; Skizzen über H. Heine, 1882; barone Ludwig Embden: H. Heines Familienleben, 1892).

Forse a questi libri avrei dovuto aggiungere quello della moglie dell’esecutore testamentario del poeta, cioè i Souvenirs di M.me Caroline Jaubert. Senza dubbio vi si devono aggiungere ora le Heine-Reliquien (Berlin, K. Curtis) che, raccolte ed illustrate amorosamente dal Karpeles, sarebbero forse rimaste ancora inedite senza la premura del sullodato barone von Heine-Geldern, il Karpeles essendo morto all’improvviso nell’estate 1909. Con esse il ramo già mentovato della letteratura heiniena fa un acquisto assai ragguardevole.

Il grosso volume, adorno fra l’altro d’un bellissimo ritratto di Heine giovane ricavato da una sconosciuta miniatura del Colla, contiene ventisei lettere al fratello Gustavo; nove alla madre; una alla moglie; tre all’amico Friedland. Questo per la prima parte.

Heine nè parlò nè scrisse mai lettere per uomini celebri che scapitano invece dí guadagnare, ai privati egli fu anzi contrario. Gli è perciò che, al pari delle altre già date in luce, pure queste nuove lettere da Parigi recano in modo sorprendente l’impronta del suo spirito. Ma come nel comporre una lettera egli mise di solito la stessa cura che negli scritti destinati al pubblico così non fa maraviglia che nessun divario di stile interceda fra l’epistolografo e il novelliere o il poeta.

Qualcuno ha asserito che Heine è di quegli uomini celibri che scapitano invece di guadagnare osservati alla luce delle loro carte intime. Niente di più ingiusto. Queste ventisei lettere, per esempio, al fratello Gustavo non solo sfatano la brutta leggenda cui sopra ho accennato, ma insieme con quelle alla madre, alla moglie, all’amico, riconfermano la natura schietta e affettuosa del suo carattere, le sue inclinazioni generose.

Non tutto in esse, di prim’acchito almeno, la buona impressione: accanto a molto brio, molta tenerezza, molta poesia non pochi lamenti e querele ed accapigliature. Per il quale meglio che per tanti altri vanno ricordate le parole di madama de Staèl in Corinne di solito inesattamente citate: «»Alles richtig verstehen macht uns nachsichtig — comprender tutto a dovere ci rende indulgenti».

La seconda parte del volume abbraccia una lunga serie di lettere a Heine interessanti, anche perchè ci provano di quali estese e preziose simpatie godesse l’autore del Romanzero, sì in Germania che in Francia.

Particolarmente notevoli sono quelle dello zio Salomon, di Karl Immermann, di Karl Gutzkow, di Christian Andersen, di Giacomo Meyerbeer, di Hector Berlioz, della principessa Cristina Belgioioso, della Mouche (Camille Selden). In appendice il volume ci offre, tra l’altro, l’introduzione ai Gótter im Exit e la descrizione delle ultime ore di Heine dovuta alla penna del fratello soldato.

Appunto a questa volevo arrivare.

Dalla nipote principessa Maria della Rocca, da Caroline Jaubert e dalla Selden avevano appresco commoventi particolari del moribondage del poeta. Quello
però che ne aveva scritto Gustavo Heine-Geldern era rimasto sin qui in parte inedito, in parte sepolto nelle collezioni del Fretndenblatt di Vienna come già la relazione di Alfred Meismer in quelle della Deutsche Zeilung aus Böhmen.

Il 17 agosto del 1851, e cioè dopo oltre un ventennio di separazione, Gustavo Heine rivide finalmente il suo Harry. Lo rivide nella sua tomba di materasse dove giaceva sprofondato da tre anni, paralizzato per metà e stordendosi con l’oppio per reggere ai dolori che lo martoriavano (e tuttavia, nei momenti di tregua sempre dell’antico gaio umore), il volto inalterato sebbene dimagrito un poco.

Parlarono insieme a lungo i due fratelli di cose fa miliari, di religione, di politica.... E allorchè la moglie di Gustavo (Emma Kann von Albert), rimasta fuori della camera, entrò accompagnata da Juliette, di statura a lei discretamente superiore, il poeta le strinse la mano e, sollevando con l’indice la palpebra dall’occhio destro, con lo stesso fare biricchino di quando voleva vedere l’effetto dei suoi frizzi nella faccia di chi lo ascoltava: «Ah, fratello!» esclamò, «tu sei stato più furbo di me: tu ti sei presa del male la parte più piccola!» Ma afferrò subito la mano della sua Juliette e la baciò con indicibile tenerezza.

Alla vigilia della partenza Gustavo andò di nuovo a trovarlo, e per evitare un doloroso distacco gli promise che sarebbe tornato pure l’indomani. Ma il poeta comprese lo strattagemma, e consegnatogli il manoscritto del Romanzero perchè lo portasse ad Amburgo all’editore Julius Campe, gli disse: «Vieni, se vuoi, a dirmi addio, ma torna pure presto a Parigi. Non temere: per adesso non muoio: ho ancora troppo da lavorare; devo ordinare l’edizione completa delle mie opere come ho promesso al Campe. Tu lo conosci: prima egli non mi lascerà morire!».

E così avvenne. Nel novembre del 1855, accompagnato questa volta non dalla moglie ma dalla sorella Charlotte. Gustavo fece ritorno a Parigi. Il poeta aveva cambiato casa: dalla rue d’Amsterdam era andato ad abitare ad un quarto piano dell’Avenue Matignon. Quivi le sue condizioni di salute erano divenute sempre peggiori. Qualunque più piccolo rumore e perfino la luce del giorno gli davano terribile molestia. Le stanze attigue al suo souffroir era necessario restassero sempre vuote.

L’impressione che il suo stato fece alla sorella e al fratello fu delle più penose. Gustavo non riuscì ad aprir bocca; Charlotte proruppe in pianto. Egli, per rianimarli, evocò i più cari ricordi della fanciullezza, tanti non nulla che sembrava impossibile fossero rimasti cosi vivi nella sua memoria. Come però la sorella si fu ritirata, «sbrighiamoci Gustavo», disse «ad accomodare i nostri affari, che con un malato come me non c’è tempo da perdere».

Una mattina che soffriva anche più del consueto, incominciò nondimeno a discorrere col fratello delle cose più serie. Ad un tratto s’interruppe e mutando argomento, esclamò: «Tu mi conosci meglio di tutti. Scrivi la mia biografia. Io ti aiuterò».