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38 IL BUON CUORE


vane arte non riuscisse a qualche cosa di degno, scommetto che tutte le cento fontane del celebre viale, e le altre mille sparse per tutta la villa, memore dei fasti dell’ultimo Cinquecento, sarebbero capaci di accordarsi nel più allegro chioccolio di garrulo riso.

L’origine degli Umiliati


A noi milanesi che, attraverso a parecchi secoli, risentiamo ancora un po’ della benefica influenza industriale — se non spirituale — di quei frati famosi per la confezione dei panni di lana, che chiamiamo gli Umiliati, potrà interessare di sapere, tra due diverse esposizioni della loro origine, quale sia la vera.

Fino ad ieri, studenti e maestri e libri di testo, salve le debite eccezioni, ritenevano tutti che «un imperatore di Germania, Enrico II, sull’inizio del secolo XI, nella lunga lotta sostenuta con Arduino re d’Italia, fatti prigionieri parecchi nobili cospiratori milanesi e comaschi, li avrebbe condotti oltr’Alpe in qualità di ostaggi. Qui, perduta ogni speranza di ritorno, tocchi della grazia di Dio, avrebbero deciso di dedicarsi ad una vita di penitenza per gli anni che loro restavano, e gettate le ricche vesti, indossati poveri abiti, si sarebbero dati agli umili lavori del lanificio. L’imperatore risaputa la cosa, li avrebbe chiamati al suo cospetto e in un pomposo discorso avrebbe loro detto fra l’altro: «Eccovi finalmente umiliati!»; e non avendo ormai più ragione di temere, li avrebbe rimandati liberi in patria. Non per questo mutarono essi proposito, che anzi avrebbero guadagnato a quel tenore di vita le loro stesse famiglie.

Cambiato il primo nome dovuto alla foggia del copri capo di «Berrettini della penitenza» in quello imperiale di «Umiliati», perdurando in gran santità, si moltiplicarono per tutta l’alta Italia, partendosi in tre Ordini: il primo di soli chierici; il secondo di laici e di laiche viventi sotto una regola religiosa in una casa comune; il terzo di uomini e di donne che pur essendosi dati ad una vita di perfezione rimanevano nello stato coniugale vivendo colle proprie famiglie».

Tale la vecchia versione così compendiata dallo storico Tiraboschi (1766, Milano), che a vero dire, ebbe vita lunga e fortunata. Quando nel 1886, Carlo Muller nel suo libro sul movimento religioso dei Poveri Lombardi nel secolo XII, cominciò a far balenare un’altra versione, meno romantica, più lenta, più vicina a noi, niente affatto determinata neppure materialmente, da un imperatore tedesco.

Qua e là si mette mano a ricerche, a studii, a verifiche; e subito comincia a constare che di Umiliati non si parla in nessun documento antico se non un cinquantennio dopo che Enrico II avrebbe condotto in Germania i nobili milanesi e comaschi di cui parla la leggenda sopra riportata. Poi la leggenda non compare nei documenti antichi se non nel secolo XIV, mentre il nome di «Umiliati» aveva già qualche secolo di vita.

Proseguendo nelle ricerche verso i secoli XII e XIII gli studiosi s’imbatterono nel famoso movimento religioso che tutti conoscono e dal quale originarono una infinità di sêtte ed i celebri Ordini francescano e domenicano. Nella effervescenza di quel movimento, venuto principalmente dal popolo per assurgere con nobilissime aspirazioni alla perfezione evangelica, nulla fu risparmiato per raggiungere la sublime follia che arrideva a tanti. Una forma di tanto delirio stava per es. nei nuovi nomi di battesimo assunti: umili, umiliati, poveri, peccatori, minori, minimi, etc., si faceva a chi più abbassavasi; e in armonia col nome stava la foggia del vestire, la qualità scadente della stoffa, la quantità e qualità del cibo.

Ora, è appunto da tanto groviglio di piante novelle che prende le mosse una confraternita che si chiamava degli Umiliati, e del III Ordine, che in progresso di tempo, si sviluppi nel grand’albero religioso che tutti conosciamo. Più che per regola speciale, si distingueranno per ragione di territorio; quindi in Umiliati che vivono una vita comune e in Terziarii, poi in tre Ordini; il primo, costituito da frati e da suore consacrati a Dio, quelli pel sacerdozio, queste pei voti religiosi; il secondo da frati e da suore che, pur avendo una regola, rimangono laici; il terzo, da quelli che continuano a vivere nelle loro case e nelle loro famiglie.

Hanno una caratteristica speciale, il lavoro manuale; non solo per ottenerne il pane, ma anche per ottemperare al precetto di operosità, per sottomettersi volontariamente alla pena del peccato fulminato nella Bibbia contro tutti gli umani; anche, finalmente, per sottrarsi a mezzo del sistema di frateria, al capitale tiranno e rendersi indipendenti dai grossi industriali poco scropolosi e niente sentimentali.

Gli Umiliati si applicarono alla fabbrica del panno di lana. Provvedutisi delle materie greggie in grosse partite o all’estero o anche fra noi, essi pensavano ai lavaggi, alla cardatura, alla filatura per mano delle Umiliate, alla tessitura, alla tintura, alle ultime operazioni di stiratura per poi gettarla sul mercato. Fu questa certamente una benemerenza di carattere sociale che non andrebbe dimenticata. E bisogna che gli Umiliati nel commercio della lana, fossero bene esperti, se riuscirono a fronteggiare trionfalmente la concorrenza delle Ditte laiche. Bisogna aggiungere che devono aver brillato di un’onestà a tutta prova se le Signorie di diverse città affidarono a loro anche la riscossione delle gabelle, i dazii, la dogana.

Il commercio però, dal più al meno, è fatale per tutti, anche per i frati; anzi, per i frati più che per gli altri. Le ricchezze ammassate, che dapprima servirono egregiamente per tenere ospedali, erigere monasteri e chiese (Cf. il Carrobiolo di Monza e Brera a Milano che poi lasciò il posto all’attuale palazzo), in seguito contribuirono alla rilassatezza, alla mondanità, alla prepotenza, cosicchè resisi intollerabili coll’ultimo loro atto del genere — l’attentato fortunatamente fallito, alla vita di S. Carlo Borromeo, vennero soppressi per sempre, Avevano cominciato con fervori intemperanti di riforma e di aspirazione alla perfezione evangelica, col di-