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396 il buon cuore
Superiore e da Dio che ci dà certi spettacoli che non posso descrivervi.

Sto benone e ciò mi permette di godermela a mio bell’agio. Se siete capaci, immaginatevi il nostro piroscafo alle 4 e mezza del mattino, col sole che sta per spuntare sull’orizzonte, ed il cacciatorpediniere che cava in scuro sul fondo, basso, severo che al solo vederlo rassicura qualunque animo ammalato di paura.

Con noi viaggiano due passeri che hanno preso asilo sull’albero nostro. Appena li scorgemmo svolazzare su di noi, vi fu un istante di silenzio assoluto, unanime, poi un grido solo di gioia, di qualche cosa che non si può descrivere. C’era parso di vedere dei compatriotti, dei parenti. Io pensai a voi tutti e vi ho mandato un bacio. Ora quei passeri sono i nostri beniamini e poi.... menano buono, come tutti gli uccelli.

È inutile che vi ritorni a raccomandare l’allegria fra voi, perché il contrario sarebbe assurdo e non a proposito.

Domani mattina saremo a destinazione dispiacenti da una parte di abbandonare la bella vita di bordo, felici dall’altra di incominciarne una forse più bella, dato le attrattive che può avere per me specialmente una terra cosi diversa dalla nostra, i costumi, ecc.

Vi bacio tanto tanto voi tutti, papà, mamma e Lucio e le altre mie bestioline.

Pierino.


Bengasi, 25 ottobre 1911.

Carissimi,

Già da due giornate siamo a Bengasi. Il nostro grido è: «Viva il Regio Esercito!» Oggi abbiamo mangiato io e Monti sei quaglie pagate complessivamente lire 0.90. Le abbiamo cotte allo spiedo su una bacchetta di fucile, e non vi dico altro.

Ieri ho visto un enorme mucchio di fucili conquistati agli arabi. Ve ne sono di bellissimi, ma non si possono acquistare.

Descrivervi l’effetto che mi ha fatto l’assieme dei costumi e di tutto quanto è arabo mi è impossibile: se potessi lavorare, mi farei milionario.

Turchi non ce ne sono, è un agglomeramento di arabi, greci, mori ed appunto in questo sta la bellezza. Si:Str tutti buonissima gente, contentissima della nostra presenza, un po’ sfruttatori, ma non hanno molto da fare, perché ci si dà un po’ di soldi quanti ne merita la merce.

Insomma stiamo benissimo. Ora non vi posso che baciare tutti, perché parte il dispaccio postale.

Nostra missione è quella di fermare qualche mamalucco borghese che non fa giudizio, ma finora non ne trovammo alcuno.

Un bacio alla mamma, papà e Lucio dal

Vostro Pierino.


Bengasi, 26 ottobre 1911.

Carissimi,

Sto benissimo e questo è tanto. Cura di bagni di mare, datteri, quaglie e vini greci; altro che il Pulicella!

In quanto ai turchi se ne vedono pochissimi. Oggi molti capi arabi son venuti a rendersi a noi. Aveste veduto che spettacolo! Cose da morirne, coi cammelli bardati, cavalli, ecc., ecc.!

Finisco perché parte la posta. Mandatemi subito la macchina fotografica e molte pellicole. Qui si parla d’una prossima pace, di modo che potrò dopo lavorare se non mi mandano subito a casa. Tanti baci a tutti voi.

Pierino.


Bengasi, 1 novembre 1911.

Carissimi,

Sono contento di aver ricevuto due vostre lettere in data del 22 e 23; aspetto quelle che sicuramente m’avete mandato dopo la mia partenza da Napoli. Le mie le avete ricevute, quelle che spedii dal piroscafo e quelle da Bengasi. Noi qui stiamo benissimo.

Accampati appena fuori della città tutti assieme. Giovedì e domenica musica. Una volta alla settimana si esce tutti in ricognizione per sloggiare qualche predone beduino. Ma pericoli non ce ne sono assolutamente. Prima che arrivassimo noi, ci fu un piccolo combattimento dove ci si è preparato lo sbarco libero, ed ora siamo noi i padroni della melonera. Fra poco, quando saranno fatte delle caserme provvisorie, vi prenderemo alloggio ed allora vedrò di poter dipingere un poco. Per ora al più presto mandatemi la macchina colle pellicole tante, perché senza quella è impossibile che ricordi i dettagli di questi luoghi nei quali solo sta
la bellezza. Se ne vedono di quelle che non si possono immaginare e tutti i momenti. Il paesaggio qua lo sapete non ha niente di straordinario; troppo eguale; ma il bello è nelle macchiette, nelle case, in certi mercati. Ma non arrabbiarti, Papà, di antichità non ce ne sono: è una città troppo fresca e piuttosto miserabile. Ma in tutti modi sono felicissimo di esserci.

Io credo che voi ormai non sarete più in ansie, perché sarebbe ora.

Mi raccomando la vostra salute perché la mia è di ferro malgrado il clima tanto diverso, e poi la cura dei polli e del mare non è tanto cattiva.

Il mio secondo pirla è un asinello molto buono e servizievole, ha sei anni e costa L. 16. Se come m’hanno promesso, il viaggio me lo paga il Governo, lo conduco a rinforzare il nostro serraglio. Ora termino perché alle dieci parte il piroscafo.

Se siete a Milano, salutatemi tutti i parenti ed amici e scusatemi presso loro se non scrivo perché ora proprio mi manca il tempo.

Ora vi bacio tanto tanto, scrivetemi cosa fate e state allegri.

Vostro Pierino.


Bengasi, 14-11-911.

Carissimi,

Ho ricevute tutte le vostre lettere e cartoline, resto incantato di come abbia potuto Lucio attraversare Milano con Pirla I, perché so che è un po’ matto.

Mi dispiace di non esserci stato anch’io in quella passeggiata che avevo sempre detto di voler fare. Ma chissà quanto vi piacerebbe a voi esser qui in Africa ed invece di un pirlino alto una spanna, cavalcare uno di questi ciuchi arabi: con due o tre soldi mi lasciano fare di quei giretti che meritano un Perù. Senza contate che secondo me la parte decorativa più bella di qui sia il cavallo arabo. Se quando Dio vorrà riceverò la macchina fotografica, ne voglio fare delle belle.

Monti v’ha detto che siamo d’avamposti: non dovete allarmarvi perché tutti i reggimenti qui sono in certo qual modo d’avamposti; per questo la città è al centro del promontorio; cosi al mare ci sono sempre fisse un paio di corazzate e torpediniere e tutto attorno in un cerchio di quasi dieci chilometri che racchiude la città ci sono tutte le trincee blindate, cioè muraglioni alti dai due o tre metri fatti tutti da noi con sacchi di sabbia resistenti a qualunque cannonata: e su questa trincea che è alla distanza di 50 metri circa dagli accampamenti, è occupata da tutti i reggimenti qui per turno di guardia e gli altri sono lì pronti al primo allarme a correre sulle trincee. Ogni cento passi c’è un cannone o mitragliatrice: in mezzo fanteria.

Da ogni punto della nostra trincea si vede a più di 50 chilometri davanti a noi, rischiarati di notte dalle navi ed ecco come ci è impossibile essere attaccati all’improvviso. In città poi ci sono due reggimenti divisi per compagnia che la occupano in tutti i punti e questo rende impossibile una rivolta qualsiasi da parte degli abitanti, che oltrepiù sono perquisiti quasi giornalmente in casa e dappertutto e quelli in possesso di armi vengono fucilati. Pur troppo ne abbiamo dovuto fucilare un quindicina; è una cosa orrenda, ma se non si fa così, non c’è altro mezzo per incutere timore. Ora sono tutti quieti come passeri e noi facciamo il signore. Da quando partii da Cortenova non assaggiai più letto, ma viviamo benone lo stesso; qualche pelle di pecora ci fa da materasso perché tanto è il caldo di giorno quanto il freddo alla notte. Ora però cominceranno a fare dei baraccamenti e ci daranno fior di paglia, perché siamo nel tempo delle pioggie.

L’altro giorno fu San Martino, la festa delle armi. Vi giuro che fu qualcosa di indicibile. Alla mattina allo spuntare del sole in fondo all’immensa pianura la musica nostra suonò la sveglia seguita da un grido immenso di 15,000 bocche: Viva l’Italia! poi concerto, rancio, doppio vino (che volete di più?): sono momenti quelli che non si dimenticano facilmente.

Venga venga il giovane turco, che ci faremo la barba. E specialmente non date retta ai giornali esteri che contano storie su storie e fanno schifo: ne siamo giustamente indignati.

Ora devo andare col plotone pel falciare un Block-hauss, ricocovero blindato. Siamo diventati anche carpentieri, fabbri, tutto.

Sto benone come sempre e voi lo stesso, spero. Salutatemi tutti gli amici e parenti e prendetevi tanti bacioni dal

Vostro Pierino.

(Continua).