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di cui meno si sono occupati i giornali, tutti presi e compresi delle altre svariatissime esposizioni, che han preceduto questa, unicamente dovuta all’iniziativa privata.

Un giro rapido e un esame sommario comincia intanto a persuaderci di questo: che, cioè gli espositori, sono... indipendenti (nella maggior parte almeno) da ogni velleità di effetti stupefacenti allo sguardo del placido visitatore. Niente boites à surprise, qua dentro, pochi ardimenti novatori, molte cose belle, molte e molte mediocri, poche, veramente brutte....

Ma, come accennavo poc’anzi, una visitatrice che fa l’indipendente... fra gl’indipendenti, non giudica, ma guarda con la sua curiosità appassionata, lasciandosi guidare soltanto dalla fugace attrazione del momento. Conte i bimbi che sfogliano un grande volume di favole illustrate quando ancora non sanno leggerne il testo, non in capo a ogni pagina raccolgono l’immaginazione infantile per giungere e interpretare le figure ma di tanto in tanto si innamorano di qualcuna, ed allora la contemplano con avido sguardo indagatore, per giungere a indovinare il significato di ogni dettaglio; e v’intessono intorno mille favole forse più belle e più audaci di quella immaginata dall’autore stesso.

E d’altra parte come sarebbe pòssibile far giustizia di tutte le opere contenute entro trenta sale circa? Esaminandone attentamente pure una per sala la facoltà di ammirazione si esaurirebbe, l’interessamento correrebbe il rischio di smarrirsi in una vaga labile ebbrezza di cose belle e maliose, e la gioia del visitatore (perchè dall’impressione dei visitatori noi vogliamo soltanto occuparci) si scioglierebbe in una velata stanchezza.

Eccoci nella sala Gallelli, una delle prime e più ampie al piano del nuovissimo palazzo. E’ una fantasmagoria di colori, un fluttuar d’immagini floride e piene di vita; v’hanno alcuni ritratti efficaci signorili e corretti, fra cui stona uno studio di donna per nulla simpatico. Corrono gli occhi con soddisfazione sincera fra le tele così ricche di tinte da apparire quasi gioconde, e che si prestano mirabilmente a far rilevare la serietà pensosa delle sobrie sculture dello Ximenes, le cui immagini, marmoree o bronzee che siano, hanno sempre una grande intensità di vita che sembra ottenuta senza alcun sforzo.

Fra la ricchezza e la plasticità di forme della sala radiosa, una graziosa figura di donna che fa pensare a una poesia di Guido Gozzano, tutta composta nella sua toletta di mezzo secolo fa, con le scarpette allacciate a sandalo da intrecciature di nastri e i capelli tenui e biondi raccolti alla sommità del capo giace tranquillamente sovra un divanetto modesto. V’è un’aura di grazia e di semplicità intorno a lei, e chi passa, da uno sguardo alla firma del Stimi, e sorride alla sognante creatura, come a una piccola amica simpatica, che appare la più compresa del silenzio solingo della sala, molto adatto alla sua serena posizione di riposo.

Poi si procede oltre; e ci si trova fra lo stuolo bianco e bruno di marmi e di bronzi.

Qui, se v’è una visitatrice, ella cede subito al femi-
neo istinto che la rende più pronta all’ammirazione delle minuscole cose squisite che non talora delle grandi opere, a meno, si intende non siano compiute da sommi maestri.

Ed una piccoletta bimba, tutta compresa nello sforzo delle prime fatiche di massaia in diciottesimo; e un ossuto ronzino del Quattrociocchi, efficacissimo nella modellatura, nell’espressione di stanchezza penosa, che emana da tutto il gramo corpo della povera bestia; e un piccolo bevitore del Barbella attraggono e rattengono per qualche istante il curioso sguardo disfiorante, e carezzante la selvetta chiara delle sculture leggiadre.

Poi si torna ancora fra i quadri. C’è un’armonia grave e dolorosa nell’aria. E’ la piccola violinista quasi deforme di Tiflembach che la testa riversa sullo strumento canoro trae dalle corde una nota di spasimo che si riflette in ogni suo lineamento. La testa e lo strumento doloranti emergono soli dalla tela che la luce occidua soffonde di un leggero velo d’oro. Strano pittore questo Tifiemback, che i suoi paesaggi, e le immagini trae più dalla fantasia che dalla natura stessa, con tecnica forse non sempre perfetta, ma con l’efficacia strana e arrischiata di una novella di Edgardo Poe. Ma ecco vicino a questo artista cupo e bizzarro ad un tempo, ecco una serie di piccole serene opere del Timaro: teste di bimbi deliziosi, impressioni romane, piene di eloquenza. Ancora una volta è l’istinto femineo che attrae la visitatrice fra quelle tenui cose squisite, in cui ella sente e ritrova la vita, più facilmente che non in certe tele di parecchi metri quadrati. Ella pensa che quelle cose di proporzioni modeste sono quasi le uniche che possono, senza stonare troppo, entrare nelle nostre case, ove vorremmo veder sorridere sempre l’arte, ma dove purtroppo la grande Arte, non può trovare spazio sufficiente per troneggiare e distendervisi da quella sovrana ch’essa è.

E riflettendo a ciò con ascoso desiderio nostalgico ci si sofferma dinanzi alla trasparenza suggestiva del Citunno del Santoro, che è specialista nel ritrarre le tenui chiarità delle acque, le iridiscenze cupe della laguna. E un poco più oltre l’étalage delle tele dei disegni del Fabrès di che sono occupate quasi tre stanze annunziano la presenza di una personalità robusta e originale di artista. Il Fabrès è senza dubbio un disegnatore accurato e vigoroso e da ciò deriva ai suoi quadri, quell’impronta di energia e di vivacità, che li rendono ammirati. Soltanto ci son troppi Fabrès in queste sale. Egli è un pittore fecondo, questo lo si vede, ma perchè impone ai visitatori tutti i frutti della fecondità sua?

Ha l’aria un po’ invadente di fronte agli altri espositori, questo spagnuolo vivace, ma nonostante questo (o chi sa forse proprio per questo) è simpatico anche perchè vi accompagna garbatamente, con i suoi disegni e le sue acqueforti, fino alla soglia della porta del primo piano, e vi costringe a salire col pensiero di lui, al piano superiore, ove però lo dimenticate subito, poichè vi vengono incontro, nientemeno che Gemito e Mancini! Il piccolo pescatore di Gemito, un bronzo squisito, modellato con una eleganza e una espressio-