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il buon cuore 335

Don ACHILLE FARINELLI

PREFETTO DEL TEMPIO DI S. M. PRESSO S. CELSO

Mercoledì, nella Chiesa Parrocchiale di S. Eufemia, sotto la cui giurisdizione è il Tempio di Santa Maria presso San Celso, si fecero i solenni funerali del can. sacerdote don Achille Farinelli. Numerosi furono i fedeli convenuti, numerosissimi i sacerdoti. Solo da pochi giorni il Farinelli era stato colpito da polmonia, e molti seppero della sua morte prima di saperlo ammalato. Sua Eminenza l’Arcivescovo fu a visitarlo e confortarlo della sua benedizione. Nella stazione funeraria di Porta Romana, prima che il feretro partisse pel Cimitero, il, nostro Direttore, antico amico del defunto, lesse il seguente discorso:

«La commozione che è sul volto e nell’animo di tutti, ben ci fa conoscere quanto grave sia la perdita che noi abbiamo fatta in Don Achille Farinelli, la cui salma ci sta dinnanzi. Ed io, che da più di cinquant’anni gli sono stato amico, io posso ben proclamare a voce alta la ragione di questo universale consenso di stima e di amore: una parola dice tutto: egli fu il vero sacerdote di Cristo.

«Missione di Cristo fu la salute delle anime colla manifestazione della verità, colla comunicazione della grazia, col conforto delle coscienze, coll’esempio del sacrificio. Ora la cura di anime può dirsi che sia stato l’esercizio principale e continuato della vita di Don Achille. Coadiutore per molti anni nella popolosa Parocchia di S. Stefano, con residenza da ultimo nella Chiesa sussidiaria dei Crociferi, chi può dire appieno l’assiduità, il fervore, lo zelo, il gusto che egli poneva in tutti gli esercizi del sacerdotale ministero! Egli era sempre pronto alla predicazione, pronto al confessionale, pronto, assiduo, affettuoso nell’assistenza degli infermi, pronto ad ascoltare tutti quelli che venivano a richiederlo dei suoi consigli. Il decoro della Chiesa era come l’espressione della sua fede, ed uno dei mezzi con cui voleva ridestata ra fede negli altri; e la Chiesa dci Crociferi così linda, così animata di frequenti e pie pratiche, ne era una edificante, splendida prova. La stima e la fiducia del ricco e del povero egualmente lo circondavano. Quando abbandonò S. Stefano, fu uno schianto dei cuori: del cuore suo e del cuore di molti parocchiani che avevano come immedesimata la loro vita spirituale colla sua.

«Una nota speciale del suo ministero, espressione di un doppio intuito dello spirito del Vangelo e del bene sociale, era l’amore che egli portava alla gioventù. I primi passi della sua carriera sacerdotale furono anzi nella fondazione e nella direzione di un Collegio maschile, e chi ebbe il bene di averlo rettore, ritraendo il frutto duraturo di una cristana educazione, ricorda con riconoscenza il suo indirizzo, misto di fermezza e di dolcezza. Molte scuole private e pubbliche l’ebbero catechista: fu per molti anni direttore spirituale dell’importante Collegio della Guastalla, e a più riprese
e in difficili circostanze, direttore spirituale e catechista nell’Orfanotrofio Maschile, pregato istantemente di mutare in permanente la sua provvisoria prestazione.

«E i bambini dell’Asilo Infantile di via Chiossetto, che l’ebbero per molti anni ispettore? Oh con quale amore egli si portava, si intratteneva in mezzo di loro, si rendeva conto di tutti i loro bisogni, li abbracciava, li baciava: Gesù Cristo osservandolo doveva essere lieto di vedere nel suo sacerdote ripetuta l’immagine sua!

«L’amor della Chiesa non si scompagnò nell’animo suo dall’amor della patria: giovine di età nel momento eroico del Risorgimento Nazionale, egli vi partecipò con tutto lo slancio dell’animo: la sua casa era come il fidato convegno di altri sacerdoti dello stesso spirito; ed egli ebbe la compiacenza di vedere negli ultimi anni accettato, benedetto dalle Autorità superiori della Chiesa, il programma, che unisce insieme i due ideali della sua vita: Religione e Patria. Il momento attuale, che ha fatto potentemente rivivere il sentimento patrio nel cuore della nazione, ritrovò ancora giovine il suo cuore; fin nell’ultimo giorno di vita volle essere informato delle vicende della guerra che, colla grandezza della patria, col trionfo della civiltà cristiana porta indirettamente il bene della Chiesa.

«Nominato l’anno scorso Prefetto di S. Celso tutti applaudirono a quella nomina come un giusto compenso ai meriti del distinto sacerdote: accompagnato dall’amore de’ suoi antichi parocchiani, che, sebben lontano, lo invocavano spesso pei loro bisogni spirituali; col suo zelo, col suo criterio, col suo spirito equanime, egli aveva veduto una nuova aureola di stima e di affetto, formarsi intorno a lui nel luogo nuovo del suo ministero: l’anima sua intimamente pia si trovava come all’unisono con un Tempio così caratteristico per la pietà dei Milanesi verso Maria: il Santuario elevava lui; egli avrebbe elevato il Santuario.

«Quanto bene avrebbe ancor potuto fare! Iddio altrimenti dispose: lo trovò già pronto pel premio in cielo. Ed egli fu pronto e sereno alla chiamata: un solo dolore lo afflisse, il pensiero di lasciare qui sola la sorella, colla quale aveva sempre diviso e divideva, in stretta comunanza di aspirazioni e di affetti, la vita:

«Povera sorella, a te vola in questo momento il mio memore pensiero, col pensiero di tutti gli astanti: la sventura che ti ha colpito è ben grave: ma quanti motivi hai di conforto: pensa che il tuo dolore è diviso da tutti: pensa che il bene, che il tuo fratello faceva, continua, nel buon esempio che ha lasciato, nel ricordo perenne delle anime credenti e pie: pensa che se tu non l’hai più al tuo fianco colla persona, l’hai sempre vicino a te col suo spirito. La vita presente è un’ombra che passa: la sola vera realtà è il cielo: egli è là che prega e ti attende.

«Caro amico, addio: jeri ho deposto un bacio sulla tua fredda fronte, un bacio che non fu corrisposto: voglia Gesù Cristo, pel suo amore e pe’ suoi meriti infiniti, disporre che quel bacio tu me lo abbia a corrispondere un giorno, che non può essere troppo lontano, nell’abbraccio eterno del cielo!».