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334 il buon cuore
Preludio dunque immediato della fine.

Il Giunta fu chiamato da quelli stessi che l’avevano da lei allontanato, pentiti d’averla privata lunghi anni della sua dotta e santa assistenza. Egli non abbandonò più il letto della santa penitente. I loro colloqui furono raccolti dagli angeli e cantati nel cielo dove un dì speriamo, ne sentiremo gli echi.

Ella era là, sulla sua montagna, nella sua cella, come in una barca sopra la cresta di un’onda del tempo. Era per entrare nella eternità e, anche nella pace, quel cuore vi anelava con ardore. Ella parlava di Dio come stesse per darle la mano. Sorrideva col labbro, e i suoi grandi occhi avevano sempre una lagrima. La febbre ormai l’aveva consunta. Quando le si portò il Viatico, fuori della cella era tutta Cortona. Ella si chiuse nell’anima il suo Amore, come nella conchiglia la perla. Benedisse a tutti e si abbandonò a un dolce assopimento che parve riflesso di estasi.

Il 22 febbraio, alla prima punta dell’alba, spalancò più grandi gli occhi. Cercava, cercava un’ultima volta, quel cuore. Il Giunta capì, sollevò il braccio additandole il cielo. Ella brillò un istante nel suo volto diafano. Diede l’ultima lagrima e andò. Aveva cinquant’anni; sedici li aveva passati nella casa paterna; nove nel peccato; nove nella prima cella in palazzo Moscari nella penitenza; tredici nel fervore della carità nel rustico della seconda cella, gli ultimi nove alla rocca del monte; tutti nella inquietudine del cuore. Oggi è finalmente quieta.

Suonavano le Ave-Marie pei colli toscani. La primavera di quell’anno 1297 si annunciava tra gli uliveti. Gli angeli avevano colto sulla cima di quella montagna, il calice puro che aveva sempre anelato ai cieli dal suo stelo agitato.

Innocenti, imparate quanto sia preziosa la vostra virtù se questa grande fece tanto per riaverla.

Peccatori, noi abbiamo capito.

O Santa, lasciami dire il tuo nome finalmente, che non ho pronunciato fin qui, perchè non ti avrei detta tutta finchè eri inquieta; o Santa Margherita da Cortona, che veramente riposi beata in Dio, ricordati di noi che abbiamo ancora il cuore che trema.

Can. Pietro Gorla.

PAGINE AGIOGRAFICHE

Il Buon Cuore non ha ancora segnalato ai suoi lettori una pubblicazione, che certo li deve interessare, non fosse altro perchè rieorda una delle pagine più celebri della storia milanese: vogliamo dire la «Vita di San Carlo Borromeo» (1) del sac. dott. Cesare Orsenigo. Siamo lieti di adempiere oggi questo compito, pubblicando la recensione esatta e geniale al tempo stesso, che ci favorisce il can. Pietro Gorla:

«I devoti scendono nella cripta del Duomo, guardano
con riverenza traverso il cristallo dell’urna le spoglie del gran Santo Arcivescovo e vi appoggiano la loro mano, come a trarne sostegno, e ii lasciano le loro lagrime.

«Don Orsenigo ci ha dato nel suo volume un’urna nuova, piena delle memorie del Santo, reliquie preziosissime sulle quali si era avanzata la polvere dei secoli. La sua scrupolosità storica, che ha saputo sceverare il vero dal falso, il certo dall’incerto, la lucidità della frase sempre nobile, i fili d’oro delle discrete riflssioni morali con cui ha legate quelle sante reliquie spirituali, hanno reso le sue pagine un vero cristallo, traverso al quale si vede tutta l’anima del Borromeo.

«È un libro questo, che merita d’esser studiato, perchè molto vi si impara: sono ventisei capitoli, suddiviso ciascuno in paragrafi, quasi a formare altrettante miniature della vita del Santo, cosicchè, mentre vi si ammira il complesso dell’opera, il pensiero non si stanca, grazie a quel frequente intervenire di soste, che permettono di portarsi via il libro pagina a pagina assorbendone facilmente tutte le bellezze.

«L’Autore più che l’ordine cronologico, il quale è però accuratamente segnato in fine al volume, ha seguito nella narrazione quello logico dell’avanzarsi della figura morale del Santo; e — leggendo — si vede veramente il Borromeo ingrandire man mano come un sole della Chiesa e della Santità, Vi si ammirano i tesori della grazia corrisposti, dalla energica, invincibile volontà. L’anima del fanciullo, del giovinetto, del cardinale, dell’arcivescovo, del pastore, del martire vi è studiata con cura veramente amorosa; e si vedono crescere sulle membra vivificate da quell’anima grande, i segni della mortificazione, ingrandendosi coll’ingrandirsi dei sacri ornamenti della dignità, nell’ambiente sempre fedelmente ritratto in cui l’uomo si fece santo. E il santo passa sempre vivo, sempre vero, traverso quelle bellissime pagine, finchè lo vedi reclinare il capo e, morto, essere portato sulle braccia e sui cuori di tutta Milano.

«Ringraziamo don Orsenigo che l’ha preso da quei sacri sostegni e l’ha portato fino a noi, dopo d’averci tenuti vicini a Lui per tutta la sua mirabile vita di 46 anni. Il chiarissimo Dottore ce lo presenta in mezzo a tutti i ricordi storici più interessanti del suo tempo e finalmente nell’aureola della santità proclamata solennemente dalla Chiesa.

«Auguriamo che questo bellissimo e dottissimo libro trovi gran numero di lettori, che informino sopra un tanto modello di uomo e di santo, la loro vita cittadina e cristiana in cerca della vera grandezza».

PENSIERI


Cosa curiosa! due grandi massime: del risparmio del tempo («Diem perdidi») e del rispetto alle leggi («Legum servi sumus ut liberi esse possimus»), sono nate in Italia, il paese del perditempo e della noncuranza delle leggi.

L’errore di molti costituisce una legge.

«Digesto».

  1. Un volume di 504 pagine; Milano, Tip. Santa Lega Eucaristica, 1911. — Prezzo L. 3. — Vendibile anche presso la Casa Edit. L. F. Cogliati.