Pagina:Il buon cuore - Anno X, n. 42 - 14 ottobre 1911.pdf/4

332 il buon cuore
sco. I repubblicani lo circondano da ogni parte. Un combattimento s’ingaggia nel più fitto della foresta; parecchi vandeani, feriti mortalmente, cadono, mentre gli altri si ritirano o lottano, corpo a corpo, accanto al loro generale. Un ufficiale repubblicano, il capitano Vergez, scovre Charette e lo ferisce al capo con una schioppettata e, con un altra, gli fracassa la spalla destra. Charette tenta andare più oltre nella macchia. Ma, acceccato dal sangue che gl’inonda il viso, il generale sviene tra i due vandeani. Uno di essi, il suo domestico Bossard, è colpito da una palla, mentre s’affanna a sollevare il padrone. L’altro, il cavaliere Samuel de Lespinay de La Roche d’Avau, raccoglie il capo sulle sue spalle e lo nasconde dietro un grosso tronco di frassino sull’orlo d’un fosso, ed uccide il primo soldato che s’avvicina. Ma una palla lo colpisce alla sua volta ed anch’egli è morto. Charette, tornato alla vita, non tenta più di fuggire. Con una sciabolata, il capitano nemico gli taglia tre dita della mano sinistra e lo disarma, strappandogli la carabina.

Giunge intanto Travot. Gli additano il generale là, a terra, ma l’altro incredulo, avvicinatosi, chiede al ferito il suo nome. Charette, stordito, non risponde.... Ad una domanda: «Dov’è Charette!» — «Eccolo!». risponde il ferito. Travot dubita ancora e chiede: «E lui davvero?» — «Sì, parola di Charette!», replica il capo dei vandeani: e si scopre.

Lo adagiarono sopra una barella, fatta di rami d’albero, e Io trasportarono al castello vicino. Lo posero accanto al fuoco perchè i suoi panni, bagnati dalla pioggia e dal fango, si asciugassero. Gli lavarono le ferite, gli diedero da bere dell’acquavite. Quando dopo quattro ore di riposo, all’alba, Charette parve riconfortato, egli stesso chiese un cavallo, vi salì in groppa e s’avviò, cavalcando accanto a Travot, verso Nantes, dove gli era stata preparata la prigione.

Il Direttorio fece annunciare la cattura di Charette in tutti i teatri parigini, durante la rappresentazione. Il giorno stesso Travot veniva promosso e Carnot scriveva al suo amicò Ardouin, membro del Consiglio dei Cinquecento:

«Mi affretto ad informarti che il famoso Charette è, infine, caduto tra le mani dei nostri valorosi difensori. Il fatto è così importante che ho voluto comunicartelo immediatamente, affinché tu possa annunciarlo ai tuoi colleghi».

Ed infatti la lettera venne letta al Consiglio dei Cinquecento, nella seduta del giorno dopo. Il generale Grigny scriveva ad Hoche:

«Qui a Parigi, a dire il vero siamo tutti come pazzi per la bella notizia».

Giunto a Nantes, il generale in capo delle armate cattoliche e reali della Vandea, venne condotto innanzi al generale Duthil che, dicono, lo ingiuriasse. Percorse, con una numerosa scorta, le vie della città tra una moltitudine, agitata da passioni diverse, sino alla porta della prigione.

Una relazione del tempo dice: «Il prigioniero, col braccio al collo, cogli abiti sanguinanti e lacerati dalle palle, sembrava schiacciare ancora colla sua grandezza tutti i generali dalle uniformi ricamate d’oro, che lo squadravano tronfi e gloriosi».

Due giorni dopo, Charette comparve innanzi ad una commissione militare. Un ufficiale gli chiese perchè non sì fosse suicidato: «Perchè sarebbe stata una viltà e perchè le mie convinzioni religiose me lo proibiscono — rispose semplicemente».

Ascoltò freddamente la sentenza, che lo condannava a morte e chiese un prete....

Poi provvide all’estrema toeletta. Quando venne fuori dalla sua cella, era vestito con un abito grigio, dal collo ricamato d’oro, con dei calzoni di velluto e lunghi stivali di cuoio. Portava al fianco una sciarpa bianca ricamata a fiordalisi. A causa delle gravi ferite, ricevute alla testa, invece del suo cappello di feltro aveva messo un fazzoletto di seta bianca. Un pannilino, cucito all’abito, sosteneva la mano mutilata. E sul petto spiccava uno scapolare del Sacro Cuore. Rifiutò la benda. Ed a fronte scoverta, quando i fucili dei soldati furono puntati, levò le mani in alto, dando così egli stesso il segnale del fuoco, e cadde, rovescio, sotto la scarica.

Domenico Russo.

Storia breve di un’anima penitente


(Continuazione e fine, vedi n. 41).


Povera cara, nessuno era puro della tua angelica purezza, eppure una vaga ombra di calunnia, era bastata a privarti del padre dell’anima tua.

Il Giunta fu mandato ad Arezzo, poi a Firenze, e tu lo confortasti negli addii così pieni di pianto. Ah quelle tue lettere che gli scrivesti durante i sette anni di sua assenza e nelle quali ti fingevi la voce stessa di Dio che lo chiamava con le più elevate espressioni!

Come lo seguivi con la tua grande anima, con la tua preghiera, co’ tuoi voti di santità ne’ suoi veri trionfi oratorii che terminavano con la conversione di onde di popolo affascinato e vinto dalla sua fiamma di apostolo! A Siena, per esempio, quali auree parole gli indirizzavi, di sublime confidenza, di incoraggiamento, di perfetto abbandono in Dio! Eccone qualche cosa:

«Il Padre Iddio, al figlio suo, benedizione e raccomandazione interna de’ suoi figliuoli che ricomprò a sì gran prezzo, e di quelli particolarmente che si discostarono dalla sua via. Cresci sempre nei gradi delle grazie, affinchè quelle cose che sono di Dio siano sempre riferite a Dio come il lume a te donato venga sempre da te appropriato al tuo Creatore. Io, sommo ed unico Dio voglio onorare gli amici miei in cielo e in terra. Perciò non ti torni duro, o figlio, faticare per me, perchè se ti ricorderai delle mie fatiche e del premio che ti preparai, le tue ti saranno dolci e faticherai con incessabile allegrezza. La coppa che l’amico mio Franco (1) vide in ispirito mentre pregava per te, significa il sacrificio delle opere del tuo Dio, perchè tu porti il mio nome con fervida divozione in faccia al popolo
  1. Un religioso che in preghiera aveva avuta visione simbolica dell’apostolato del Giunta.