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284 il buon cuore
vole Della Porta, il comm. Tomaso Bertarelli, il commendator Massimo De Vecchi, il cav. ing. Carlo Carloni, l’avv. Peregrini, il cav. Panighi, il cav. Monneret, il commendatore prof. Baldo Rossi, l’assessore ing. Giachi, il cav. ing. De Capitani, il nob. cav. Alessandro Perego. A tutti pesava la mancanza della posta come in tempo di guerra, e naturalmente, come succede tra compagni di sventura, non conoscendo l’entità dei disastri ai quali si doveva provvedere, si facevano commenti a proposito e a sproposito.

Ma il peggio era, com’è tuttavia, a S. Caterina, veramente segregata dal mondo. Eppure di là son venute due ardite signore, le quali, non potendo tollerare blocco, avevano affrontato il monte prospiciente la voragine, trionfando coi piedi e anche colle mani.

I Bagni Nuovi, affatto inalterati perfino nella splendida illuminazione elettrica, parevano un Eden, ma tutti si sentivano sospinti alla partenza da cause diverse eppur tutte prepotenti. Ma in quale maniera e per quale via aperta? Reso possibile il trasbordo verso Bolladore, si prendeva qualche risoluzione, e jeri una grossa comitiva partiva con due automobili capaci di trenta persone, mentre altri bloccati si rassegnavano a partire in alcune carrozze.

Si giunge egregiamente al principio del luogo della rovina. Quale disastro! Il torrente che dapprima sempre tranquillo e innocuo scendeva dalla montagna per gettarsi nell’Adda, fattosi ad un tratto rigurgitante e furente come nessuno potrebbe ricordare, aveva trascinato seco dall’alto al basso una immane quantità di macigni d’ogni dimensione, portando nell’Adda vorticosa la vecchia strada provinciale per un tratto di circa ottocento metri. La frana è immensa e all’occhio esterrefatto dei passanti si presenta in forma di grandissisimo triangolo colla punta rivolta verso la sorgente del torrente traditore.

Non è il momento propizio per fare considerazioni, perchè il cielo diventa ancora minaccioso, mentre un drappello di portatrici e di portatori improvvisati si impadronisce dei bauli, delle valigie e dei batuffoli dei viaggiatori disgraziati che devono percorrere più di un chilometro tra le pietre o sopra morene ancor verdeggianti. Si forma un lungo svariato corteo, degno di un cinematografo. Da lontano spicca la figura eretta di Mons. Ceruti, colle sue robuste gambe in calza nera e colla larga tesa del cappello che sfida i venti, la pioggia e la tempesta. Si distingue anche perchè tiene gelosamente, malgrado il disagio, un grosso rotolo costituito da duecento pergamene antiche con altrettante copie interpretative eseguite ai Bagni Nuovi. Ha ceduto le valigie ai portatori e cederebbe anche il portafoglio, ma a nessun patto vorrebbe affidare ad altri quelle pergamene spettanti al Santuario di Tirano, nè quelle copie promesse all’Archivio Storico di Como. Dinanzi alla frana, il forte vegliardo vorrebbe fare delle riflessioni geologiche e paleontologiche; ma il suo primo tentativo è interrotto dal tuono che si ripete con lampi sinistri. Il comm. De Vecchi, l’ing. De Capitani, altri signori e alcune signore precedono la comitiva e sono in buon punto per scansare la pioggia, ma i gitanti
in coda devono ripararsi alla meglio e salire o scendere a seconda delle accidentalità della via improvvisata.

Quale trasbordo! Sullo stradone rimasto ancora praticabile non si trovano mezzi di trasporto, e giunti a Bolladore, si devono attendere quasi due ore le automobili promesse con tanta sicurezza! Si ammirano gli ingegneri provinciali che, coi loro assistenti, lavorano impavidi sul posto di battaglia per effettuare un progetto di strada in linea più elevata di quella per sempre distrutta. E la lunga, impaziente attesa è interrotta da una grossa comitiva che sopraggiunge pure per trasbordo da Bormio sotto una pioggia torrenziale. Ahimè! Vi sono signore e signorine in tali condizioni d’inzuppamento da esser costrette a togliersi gli abiti per asciugarli dinanzi ad una grande fiammata di un provvidenziale rifugio.

Mentre il giovane conte Sertoli narra con parola interessante le fasi della notte disastrosa e i primi provvedimenti, elogiando particolarmente una squadra di operai diretti dal valente ing. Mina, giungono tre grandi automobili.

Si parte per Tirano, e là la comitiva si divide a seconda delle inclinazioni, alcuni preferendo tentare la strada dell’Aprica, di Edolo e Brescia, altri preferendo invece affrontare il trasbordo alla ferrovia di Sondrio, nel così detto disgraziato Pian di Spagna, devastato dall’Adda, dal Bitto e dal Masino.

Impressionante la scomparsa di un gran ponte ferroviario, trasportato appunto dal Bitto alle ore 3 di notte giù alla distanza di 200 metri. E lo stradone di Chiesa distrutto per quasi un chilometro? E lo stradone di Masino? E il povero paesello di Fusine rimasto colla sua chiesetta e poche casupole pericolanti? E i laghi improvvisati, divenuti melmosi e pestilenziali per le esalazioni causate da mucche, da buoi e da grossi pesci affogati nel fango? E chi ha potuto finora contare le vittime umane? E i campi dapprima verdeggianti, ed ora, dalla sera al mattino, in una notte di terrore, coperti da un alto strato di fango?

Quali e quanti danni e quante vittime, quante miserie!

S. E. Mons. Archi, Vescovo della Diocesi di Como, dov’è compresa tutta questa immensa valle di lacrime, si è portato sui luoghi maggiormente colpiti per lenire possibilmente i più grandi dolori.

I Valtellinesi sperano, e non a torto, nell’appoggio degli onorevoli Credaro e Marcora. Infatti il ministro valtellinese trovasi qui al suo Montagna e dà prove di affettuosa sollecitudine, e l’on. Marcora è riuscito a sbloccarsi dal Masino e fa il possibile per la Valle diletta. Molto, anzi moltissimo, faranno, come in tutte le più dolorose circostanze, i nostri bravi soldati.

Come tutto passa, anche questa valanga passerà, lasciando nella storia una pagina dolorosa. Dopo la guerra, la pace, dopo la tempesta il cielo sereno. Così è delle grandi calamità che sembrano irrimediabili. Ma anche questa rovina, benchè dovuta alla straordinaria furia degli elementi, deve servire di ammaestramento per le costruzioni future e anche per il tanto invocato rinboschimento a vantaggio delle future generazioni.

A. M. Cornelio.