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252 IL BUON CUORE


Francamente. Pietro era contento di sè. Ritornato in caserma non dormì e solamente il povero cuscino può sapere la febbre intensa, la febbre di entusiasmo che si sviluppò in quel cervello di vent’anni.

La mattina dopo però era un po’ più calmo e cominciò a ragionare con più praticità.

Prima di tutto: egli sapeva di boxe nient’altro che ciò che aveva imparato dando dei pugni, durante tre giorni, contro i muri della camerata. Secondo ostacolo: egli era soldato e non poteva presentarsi in pubblico, in un teatro, senza il permesso dei superiori, permesso che certamente non gli verrebbe concesso.

Come fare?

Ci eravamo dimenticati di dire una cosa: Pietro è un ragazzo intelligente.

Difatti egli architettò subito un piano machiavellico: egli doveva esser libero per la giornata di ieri, libero completamente, libero come l’aria, libero come la sua fantasia: gli occorreva qualche giorno di licenza e l’avrebbe. Alle ore 9 in punto era davanti al capitano medico:

— Cosa vi sentite?

— Capitano, di tanto in tanto mi gira la testa (questo forse era vero!), mi sento le gambe fiacche, mi duole la rotella del ginocchio quando cammino, non ho appetito...

— Ma voi foste malato poco tempo fa?...

— Sì, capitano.

— Ebbene, è debolezza, nient’altro; voi non vi siete rimesso, siete ancora convalescente. Sergente! Il soldato Boine è dispensato dal servizio per otto giorni.

La cosa andava a gonfie vele.

Da campione d’Italia, Boine era diventato un convalescente dei granatieri: era questo però ch’egli voleva. Di corsa andò a mettersi a rapporto col capitano della compagnia.

— Capitano, mi trovo in uno stato di debolezza opprimente, lo ha detto il capitano medico, che mi ha dispensato anche dal servizio: sarebbe Lei tanto gentile di concedermi due giorni — domani e posdomani — di licenza straordinaria per convalescenza? Ne parlerò al colonnello e gli dirò anche una buona parola.

Pietro fece il saluto più militare che avesse mai fatto: era raggiante.

Corse in camerata, fece una capriola sul letto, abbracciò stretto stretto un compagno che stava con tutta calma lustrandosi le scarpe, andò a dare quattro pugni contro il muro e si stese sulla branda sfinito dalla gioia.

Neh, guagliò, ch’è successo?

— Taci, omuncolo, viva la boxe, io sono malato...

Tu si’ escito pazzo.

Per tutto il giorno Pietro Boine fu felice, fece disperare i commilitoni colla sua gioia bambinesca e colle relative effusioni cosicchè se lo avesse potuto vedere il capitano medico che l’aveva visitato il mattino molto probabilmente sarebbe rimasto meravigliato osservando come faccia presto un granatiere a rimettersi dalla debolezza quando ha ottenuto otto giorni di esenzione dal servizio.

Ma

ciò ch’è bello e mortal passa e non dura

e difatti il campione d’Italia della boxe ebbe al mattino dopo — cioè ieri — un ben doloroso risveglio!

— Soldato Boine, venite con me: vi vuole il capitano.

— Bene, bene, lo so: è per la licenza...

Dal capitano:

— Boine, vi sentite ancora debole?

— Tanto, capitano: non posso trascinare le gambe, sto in piedi per miracolo.

— E volete la licenza straordinaria per convalescenza?

— Se ella vuole?

— Ditemi un po’: conoscete quel Pietro Boine che per stasera, ha una sfida di boxe al Frattini?

— Eh?... chi è?... io non so...

— Già, un certo granatiere Pietro Boine, non lo conoscete?

— Capitano... non so...

— Stasera andremo a vederlo, siete proprio voi?

— Ah, sì, capitano.

— Per cui non siete più debole, nè convalescente.

— Lo ha detto il capitano medico...

— Bravo, intanto...

Arriva il colonnello;

— Capitano, è proprio lui che deve andare al «Frattini» stasera?

— Sì, ha confessato.

— Ah, volevate imbrogliare i superiori?... ve la darò io la boxe ed il campionato... Capitano, me lo sbatta in carcere per quindici giorni. March!

Ed il povero Pietro ha dovuto fare retrofront:ed andarsi a consegnare al picchetto di guardia.

Come è vero che

Ai voli troppo alti e repentini
Sogliono i precipizi esser vicini!

Così Pietro Boine dalla cella infame che lo racchiude ha dovuto rinunciare al campionato ed alla gloria, ai pugni sul viso ed a spedire i giornali al paesello natio ed è stato obbligato di andare a fare una cura forzata di 15 giorni per rimettersi dalla debolezza di gambe e dal male alla rotella del ginocchio.

Là dentro, purtroppo, non può nemmeno gridare a squarciagola viva la boxe; non può abbracciare nessun compagno che si lustra le scarpe... Ah! che vita infame, la vita militare!...

Almeno gli avessero dato il suo cuscino che sa tutte le sue gioie, tutti i suoi entusiasmi e tutti i suoi sfoghi... boxistici.

Nemmeno quello... Povero Piero!...

PENSIERI


La maldicenza è come la moneta, che serve a far le spese della giornata, e corre più facilmente. La maggior parte l’intasca senza guardarne il conio.


Onoriamo tutte le opere virtuose; onoriamo l’attività umana in qualsiasi campo ella s’eserciti, quando le sia guida la rettitudine degli intendimenti.