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IL BUON CUORE 235


la scienza umana fornisce, e fatalmente acconciarsi a subire le conseguenze delle malattie e della morte? Lascieranno i Governi di quegli Stati e lascieremo noi Italiani che alle conseguenze di fatiche eccessive, sotto climi talvolta insalubri, si aggiunga la iattura di non poter curare le malattie e prevenirne le conseguenze?

Il Commissariato dell’emigrazione accordò sussidi di assistenza spedaliera e creò dispensari e medici agenti, ma questi, per la scarsità del numero in un territorio sterminato, non poterono esercitare che una minima efficacia e neppure se ne avvertirono i benefici.

Ma, obbietterete voi lettori, il Brasile non è uno Stato incivile, anzi è animato dalle migliori intenzioni; o che non ci sono ospedali laggiù?

Sì, rispondiamo, gli ospedali ci sono ed anche di nostra nazionalità, ma sono pochi: nello Stato di S. Paolo, che ha una superficie di 290.876 chilometri quadrati, vi è un unico ospedale italiano, nella capitale omonima. Come possono recarsi in esso gli ammalati provenienti dalle più remote regioni? Un ammalato, per esempio, di Reggio Calabria, attraverso regioni senza facili mezzi di comunicazione, potrebbe recarsi nell’ospitale di Cuneo?

Bisogna riconoscerlo: negli ospedali di tutta l’America del Sud, l’ospitalità è completa e larga, sia verso gli indigeni che verso gli emigrati; ma a che serve se essi sono pochi in regioni senza confine? Quali dunque i rimedi a questo male?

Un primo rimedio lo proponeva lo stesso on. Pantano nella discussione del bilancio degli esteri; egli propugnava la fondazione di ospedali nei principali centri e l’istituzione di condotte mediche con medici italiani; mandando poi altri medici, il regime della concorrenza avrebbe segnato la tendenza all’abbassamento dei prezzi.

Il dott. E. Bertarelli, visto e considerato che ammalarsi in Brasile è una rovina, propone una specie di organizzazione statale o comunale del servizio sanitario per i poveri, giacchè, com’è noto, la condotta medica, quale è da noi, in America non è conosciuta. Ora, si osserva dagli intelligenti in materia, l’assistenza spedaliera invocata dal Pantano è troppo costosa e impari al bisogno: basta conoscere la geografia del Brasile per non dubitarne; fra le tante ragioni vi si oppongono, d’altra parte, quelle finanziarie.

L’invio invece di medici italiani che aumentando l'offerta delle loro prestazioni, facciano diminuire i prezzi, sembrerebbe il solo rimedio che possa avere, almeno per il momento, pratica ed efficace attuazione; ma per agevolare quàta emigrazione di medici, è indispensabile che sia acconsentito ai medici laureati in Italia di prestare la loro opera anche in quei paesi di immigrazione. È noto che tanto nell’Argentina quanto nel Brasile, presentemente, ai medici stranieri è vietato esercitare la professione, senza aver prima sostenuti gli esami davanti una facoltà di medicina della nazione che li ospita. Ora questo esame di convalidazione non è piccola cosa, sia perchè è necessaria la conoscenza
della lingua del luogo, sia perchè si riferisce a tutte le materie d’insegnamento, sia perchè il nuovo candidato deve spendere parecchie migliaia di lire... e poi c’è dell’altro. C’è specialmente nell’Argentina, un grande ostacolo, da parte di talune classi, a una immigrazione colta; immigrazione della mano d’opera è ben ricevuta, alloggiata gratuitamente nei primi cinque giorni dall’arrivo e fornita di lavoro possibilmente; l’immigrazione colta, nei limiti del possibile, è invece osteggiata. Giuseppe Bevione, nel suo libro recente sull’Argentina, notava acutamente il fenomeno e scriveva, proprio a proposito di questi esami di rivalidazione che si fanno subire ai medici italiani:

«Non esiste dubbio che un laureato in medicina dell’Università di Torino e di Roma vale almeno quanto un collega uscito dalla Università di Buenos Aires o di La Plata. Tuttavia non è ammesso ad esercitare liberamente, sopra un piede di eguaglianza col confratello argentino, la sua professione, se non rivalida il suo titolo, se cioè non ripete felicemente i ventotto o trenta esami dell’intero corso davanti ad una Università della Repubblica. Gli esami, che sono di solito molto mansueti per gli studenti del luogo, diventano un’ira di Dio per il povero straniero che tenta la rivalida; una soccombenzai annulla tutti gli esami superati durante la sessione; e molte volte si ha, cosciente o incosciente, l’ostruzionismo dei professori, i quali cadono indisposti o partono per una gita nell’interno o a Montevideo, proprio il giorno fissato per l’esame. Questa faccenda delle rivalide, che è il sintomo più eloquente delle disposizioni dell’Argentina verso la nostra emigrazione intellettuale, dà luogo ogni anno ad abusi gravi e ad inutili proteste delle vittime».

Quindi se si voglia ricorrere al rimedio sovraccennato, di favorire cioè un’immigrazione di medici nell’America del Sud, occorrerà che i Governi riprendano le antiche trattative per addivenire a un reciproco riconoscimenio dei diplomi professionali, o, se a questo provvedimento radicale non si potrà venire subito, occorrerà almeno poter ottenere che questi esami di rivalidazione siano agevolati e non ostacolati.

Il nostro paese è tutt’altro che contrario a questa emigrazione di intellettuali. Lo stesso ministro degli affari esteri, on. Di San Giuliano, nella tornata del 15 marzo ultimo, nel discorso di chiusa della discussione del bilancio dell’emigrazione, sostenne appunto che una delle ragioni principali dell’influenza delle altre colonie all’estero era data dall’emigrazione degli intellettuali. «Noi abbiamo, egli disse, molte Università che fabbricano un numero considerevole di laureati, certo non minore del bisogno pratico che se ne sente in Italia. Ora, se alcune di queste attività si rivolgessero verso le Americhe, credo che sarebbe cosa per molti aspetti utilissima. E credo che sarebbe molto desiderabile, per la grandezza del nostro paese, che quella stessa facilità di affrontare l’ignoto di là dai mari che si trova presso i nostri umili e forti contadini, si ritrovasse anche nella classe più colta ed agiata».

Ma questo non basterà. Nelle lontane estancias, nelle più remote fazendas, il medico, anche a buon mercato,