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234 IL BUON CUORE


ne da parte nostra: inquantochè lo sgravio verso i Comuni foresi rappresenta appunto la via per la quale tutti, lo stesso Ospedale Maggiore, il Comune di Milano, i Comuni esterni e le Autorità interessate, tendono alla soluzione della diuturna vertenza. E dicasi pure, che è ancora questa medesima la via indicata dalla opinione pubblica concorde, vuoi nel ceto dei Signori Benefattori, vuoi in quello dei poveri beneficiati: già la mia ultima Relazione pel 1909 ha dimostrato, che a questa via di soluzione del problema ospitaliero (cioè, allo sgravio dell’Ospedale Maggiore verso i minori) indicarono le filantropiche iniziative private, quando in un trentennio diedero vita in Milano a cinque nuovi ospedali minori specializzati; a questa via di soluzione indica finalmente la corrente stessa dei malati verso il nostro Istituto, col predominio costante e ragguardevole dei malati foresi su quelli della città, predominio che oltrepassa di molto, come notammo, le rispettive proporzioni di popolazione.

Nello intento di provvedere simultaneamente ad aumentare alquanto le nostre risorse finanziarie ed a contenere il numero dei ricoverati nel limite del nostro bilancio, noi fummo finora costretti a richiedere ai ricoverati stessi i piccoli contributi a quota fissa di L. 20 all’atto di ammissione. Questa misura inibitrice allontanava da noi verso l’Ospedale Maggiore il più gran numero di malati bisognosi di ricovero: e questa misura ha testè annunziato il benemerito Consiglio vostro di voler togliere in parte coll’anno nuovo; in parte, cioè per una determinata categoria di ammalati più gravi e non suscettibili di assistenza d’ambulanza, ossia per quelli che hanno bisogno di atti operativi; il benefizio viene esteso a tutti i comuni della provincia in conformità ai confini assegnatici dal nostro Statuto.

Così intendiamo noi elevare la mano al nostro massimo confratello col piccolo obolo della nostra collaborazione; così intendiamo noi devolvere a benefizio dei poveri i nuovi proventi della eredità Frova-Francetti.

Frattanto siano ringraziati coloro che nel nostro mandato di beneficenza ci hanno assistito durante il decorso 1910. E prima fra tutti la nostra Cassa dì Risparmio, il cornucopia, l’astro di guida della beneficenza lombarda: il prof. comm. Elia Lattes, il più generoso fra i nostri attuali benefattori privati, che in questi ultimi tre anni elargì all’Istituto la somma complessiva di L. 17.500, costituendo così un letto di fondazione perpetua: gli eredi di Adele Rocca vedova Forti con L. 1000; gli eredi del compianto comm. Egidio Gavazzi, gli eredi di Serafino Biffi con L. 500 ciascuno; l’Eredità Pisa L. 300; gli Eredi dell’azionista nostro ing. Emilio dei conti Alemagna L. 300; il duca Uberto Visconti di Modrone, il Monte di Pietà con L. 100 ciascuno: la signora Isabella Osculati ved. Maggioni con L. 200; la signora Usellini ved. Grugnola; la signora Mombelli ved. Bambergi; la signora Freganeschi ved. Borella; ed una lunga schiera di altri nostri costanti benefattori.

Pur troppo anche nella schiera dei nostri benefattori miete e fa vuoti ogni anno la morte; e già nel corrente anno noi dobbiamo rimpiangere la perdita del sig. Bassolini Cesare, azionista; del sig. ing. cav. Cesare Pian-
tanida, che pur morendo ricordò l’Istituto con un legato di L. 500; il conte Ottolenghi avvocato Umberto, in memoria del quale gli eredi elargirono L. 1000; e l’azionista nostro Filippo Bennati, alla cui memoria invio un particolare saluto, saluto affettuoso all’amico, saluto riconoscente al benefattore di questa Opera Pia. Buono e generoso egli inviava qui frequentemente ammalati d’occhi a sue spese; e non permise mai che per i suoi raccomandati si tenesse conto delle sue cinque azioni, e sempre richiese e volle soddisfare la nota delle giornate di degenza: morendo egli riconfermò i suoi sentimenti di generosità verso l’Istituto con un legato di L. 3000. A Lui, a tutti i benefattori nostri giunga di qui per la mia voce la voce riconoscente dei nostri poveri beneficati.

E mi si permetta ancora che io rivolga una amichevole parola di ringraziamento a tutti i miei collaboratori, ai colleghi medici, ai sigg. impiegati, alle RR. Suore, ed a tutto l’ottimo e lodevole nostro personale.

L. Ferri.

Per l’assistenza sanitaria agli emigrati

NELL’AMERICA DEL SUD


(Continuazione e fine, vedi n. 29).

«E non parliamo delle ricette! I prezzi che ho accennato si riferiscono a medicinali considerati da soli: un po’ di cremor di tartaro, un purgante semplice, un’acqua salina; guai se si tratta di una combinazione, se la ricetta del medico portasse qualche cosa di composto! Allora si perde addirittura la cifra. Appunto come avviene pei medici quando devono metter mano al bisturi, quale che sia l’entità dell’operazione. Allora i compensi, si tratti pure di proletarii, diventano paradossali. Di modo che, l’assistenza sanitaria è così triste che si può perfettamente riassumere in una frase di un colono che fu consacrata dal Console di Porto Alegre in un rapporto al nostro Ministro degli Esteri: Signore, quando la malattia penetra nella casa di un colono, questi deve raccomandarsi a Dio, perchè l’entrata del medico significa la miseria della famiglia!...».

Fin qui l’on. Pantano, che anche raccontò in pieno Parlamento dolorosi casi di dissesti finanziarî prodotti da questi elevatissimi costi di medici e di medicine.


Il peggio si è che la legge non garantisce in nessun modo il paziente, il cliente, in nessun Stato dell’America del Sud. La nota del medico ha forza di legge, il magistrato non fa altro che darle valore esecutivo e non c’è altro scampo che rimettersi alla carità del medico. Soltanto a Buenos Ayres vi è un Consiglio d’igiene che qualche volta corregge un po’ le cifre, ma non si tratta che di piccole correzioni.

Dovranno dunque i nostri connazionali, poveri contadini e operai, mandare in rovina la loro azienda, il loro lavoro; dovranno oltrechè esaurire il gruzzolo che hanno accumulato, contrarre dei debiti per curare sè o la famiglia, oppure dovranno rinunciare ai mezzi che