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IL BUON CUORE 223


Per coloro che cercan le feconde
lotte, sperando glorioso allor,
ha pur la vita procellose l’onde,
come quelle del mar.

Per coloro che naufraghi, speranza
più non hanno di gloria nè d’amor,
solo è la vita silenziosa stanza
deserta come il mar.

Oreste Beltrame.

MARIA PIA

A distanza di pochi giorni, la Regina Maria Pia ha seguito nella tomba Colei che le fu sorella anche nel dolore.

Era nata in Torino il 16 ottobre del 1847, nella primavera della patria; e come figlioccia di S. S. Pio IX, Ella era stata detta Pia, perchè questo suo secondo nome suonasse simbolo e speranza di redenzione italica.

Giovanetta quindicenne, elesse sua patria d’adozione la terra che fu d’esilio a Re Carlo Alberto, e andò sposa in Portogallo all’infante Luigi di Braganza.

A Lisbona, dove giunse il 6 ottobre, ebbe accoglienze grandiose. Mai, si disse, una visione di giovinezza più pura, più gentile passò fra tanti osanna sotto innumerevoli archi di trionfo. Piazza del Commercio, nei pressi della Reggia sontuosa che si specchia nell’estuario del Tago, era tutto un padiglione di fiori e di luci; quarantasei anni dopo quella piazza doveva essere il luogo di una spietata, selvaggia caccia all’uomo, e le vittime che dovevano insanguinarla erano il miglior sangue dell’allora adolescente Principessa, accolta nella sua nuova patria come una fata benefica dal consenso di tutti i portoghesi.

Ma la sventura aveva segnato di sanguigno il ciclo della sua vita. Nell’89 Re Luigi muore a soli so anni; nel 1900 un ferale annunzio la chiama in Italia, a Monza. E chi ricorda Maria Pia di quel tempo, accorsa a rendere l’ultimo tributo di affettuoso pianto alla salma del Re buono, sa come ella apparisse trasfigurata ed invecchiata, ombra dolorosa suscitante una immensa pietà.

Ma il calvario di questa Regina non era finito.

Dopo la strage del 1908, ecco scoppiare la rivoluzione del 6 ottobre 1910 (notate il fatale ritorno di questa data) che sradica e schianta il trono dei Braganza! Quale somma di sventure sul capo di questa esile e pallida donna. Qualunque altra esistenza si sarebbe spezzata all’urto di sì tragico destino! Ma Maria Pia è figlia di una stirpe ferrea, nella quale è tradizione immutata che anche le donne posseggono una forza d’animo eroica.

La Principessa Clotilde, resistendo ai consigli di salvezza a Lei mandati da Re Vittorio a Parigi, scrisse nella nobilissima lettera pubblicata di questi giorni: «Sono certa che Maria Pia farebbe come me».

E fu, difatti, la morta Regina l’unica che sconsigliasse la fuga al giovane nipote Re Manuel. Ella avrebbe voluto resistere alla rivoluzione; sapeva come quelli della sua stirpe affrontare il pericolo. In carrozza aperta Ella percorse le vie di Lisbona ai tempi della sommossa contro Re Luigi; salvò dalle acque i suoi figli, rispose fiera e risoluta ad un generale spaccone e despota che, invasa la Reggia, l’aveva fatta alzar di notte: Siete fortunato che non sia io il Re, perchè domani vi farei fucilare sulla prima piazza di Lisbona!

Il sangue dei Savoia non mentiva nelle sue vene: alla bontà, alla pietà che la rendevano tanto amata e rispettata dal popolo, Ella univa una adamantina fermezza di carattere ed una vigile coscienza del dovere regale.

Estranea al mondo, pallida pellegrina, Ella era ora venuta in cerca di pace e di silenzio in Italia della quale — tutta chiusa nel suo dolore — non partecipò mai alle feste cinquantenarie, se non quando questa partecipazione Le si presentò come un dovere ed un omaggio filiale alla memoria del Padre suo assunto a simbolo dell’unità italiana. L’ultimo suo pellegrinaggio fu di pietà al capezzale della morente sorella.

Ma a questa suprema sventura più non resse il povero cuore della tragica Sovrana, alla cui memoria oggi commossi e reverenti ci inchiniamo — commosso e riverente si inchina il popolo italiano.

La Contessa CHIARINA LURANI

Non era ancor scesa nella valle degli anni, perchè ne contava appena 49, ed era una santa creatura appartenente a santa e numerosa famiglia, nella quale splendevano i raggi della sua grande bontà. Una crudele malattia l’ha rapita, lasciando un vuoto incommensurabile nella sua casa e suscitando un generale, sincero rimpianto. Era la gioja del suo degno marito, il caro amico nostro conte Agostino Lurani, ed era l’affettuosa sua coadiutrice nelle opere buone, specie al Rifugio omonimo, vero rifugio a inenarrabili miserie. Era pure indefessa nell’opera delle Dame di S. Vincenzo per l’assistenza dei malati a domicilio, e seguiva così gli esempi della sua santa suocera, la veneranda marchesa Elisa Lurani del Carretto, la quale, ora, nel suo strazio, pur rassegnata alla irreparabile perdita, va dicendo: «Oh, perchè il Signore ha lasciato qui me e ha tolto la mia diletta nuora a mio figlio e alla corona dei figli suoi! Ma sia fatta la volontà sua!».

La mamma non dovrebbe mai morire. Da quanti è stata ripetuta questa frase, specialmente quando, come in questo caso, la mamma ha lasciato tanti figliuoli in età ancor fresca!

Ma la santa creatura che s’è involata veglierà sui cari che la piangono e da Lei verranno ancora gli ajuti di un cuore materno, coi lumi, colle ispirazioni che vengono dall’alto.

A. M. Cornelio.