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222 IL BUON CUORE


ciali del problema. E trascurò, invece, di esprimere il suo pensiero sulla questione fondamentale che è nell’anima di tutti; se si debba, cioè, rinunciare o no, per necessità di cose, alla cittadinanza italiana e se gli italiani che sono all’estero e che si trovano in conflitto di idealità e di interessi debbano prima preoccuparsi dell’interesse loro personale abbandonando la cittadinanza italiana per quella straniera, o debbano invece preoccuparsi dell’interesse ideale e collettivo della patria rimanendo sempre e ad ogni costo cittadini italiani.

Ora è certo che una simile questione — che contiene in sè molti elementi ideali più che positivi — non si formalizzano in un ordine del giorno, o costringere poi in una norma di legge; ma è pure vero che il congresso avrebbe potuto esprimere un’opinione precisa in materia, creare un tendenza, o meglio riassumere — dandogli significato e valore — la tendenza che già c’è e per la quale i cittadini italiani, che per necessità di cose vi sono costretti, abbandonano facilmente la cittadinanza italiana non preoccupati da un sentimento di nazionalità che se è encomiabile ha pure i suoi gravi inconvenienti. Noi italiani che viviamo in patria non abbiamo, insomma, il diritto io credo, di chiedere ai nostri confratelli che ne sono lontani un sacrificio superiore alle loro forze e gravemente dannoso ai loro interessi.

Sappiamo, ad esempio, che in certi Stati americani il conflitto delle varie nazionalità è ardente e che i cittadini italiani, che pure sono numerosissimi, non godono di tutti quei diritti e di quei vantaggi di cui gli altri godono; e ciò perchè, non essendo cittadini americani, non possono adire ai pubblici uffici e alle pubbliche cariche le quali sono, invece, monopolio di tutti gli elementi di altre nazionalità avversi alla nostra. Ora, come si può in coscienza condannare ed accusare di scarso amore alla madre patria il cittadino italiano che, per tutelare i suoi interessi, la sua dignità, per difendersi insomma, abbandona la cittadinanza italiana? Non è possibile condannare; e si dovrà dire, anzi, che esso fa bene a tentar di tutto per penetrare nella compagine della nazione che lo ospiti; solo così egli farà opera di penetrazione italiana, solo così potrà concorrere ad affermare in terra straniera la nostra razza e lo spirito migliore e più puro della nazionalità italiana.

Del resto la nazionalità, nella sostanza, è data non tanto dal titolo giuridico per cui uno appartiene ad una nazione piuttosto che ad un’altra, ma è data dalla somma d’interessi e di condizioni di vita che legano l’individuo ad una determinata terra. Tanto che solo allorquando questa fitta rete di condizioni e d’interessi ha raggiunto il suo culmine, si sente la necessità di dare sanzione giuridica al mutamento di cittadinanza; ma il mutamento, in realtà, era già avvenuto da un pezzo.

Posta così la questione, a me sembra del resto, che avvenuto il trapasso da una cittadinanza all’altra, il problema non sia esaurito; ma esso anzi, giunto a questo punto, si sollevi in tutta la sua gravità. Ed il problema è questo: come si può far rimanere italiano un cittadino che, lontano dalla patria, non è e non può
essere cittadino del regno d’Italia? Che cosa si deve tentare per far rimanere nella sua anima, non alimentata da interessi, quella scintilla di nazionalità per cui ogni italiano, pur non giuridicamente tale, deve portare in mezzo agli stranieri l’affermazione potente della nostra razza, del suo carattere etnico, della sua forza e della sua genialità?

E le risposte a così gravi domande potrebbero essere molte e si potrebbe anche accennare a tutto un programma di educazione e di penetrazione nazionale che altre nazioni — quella tedesca e quella inglese sopra tutte — curano gelosamente come infallibile mezzo per affermarsi in tutti i modi anche in terra straniera. Ma il problema è così grave e così complesso che non è possibile trattarlo sommariamente; e occorre accennarlo appena per intuirne l’importanza. Sarebbe, cioè, necessai io — perchè gl’italiani rimanessero tali... anche quando più non lo sono — che lo Stato nostro non limitasse la sua tutela a quando essi sono in patria; ma seguisse, custodisse e tutelasse con amore i loro interessi e il loro carattere d’italiani anche quando sono fuori della patria: e sopratutto allora. Perchè il cittadino italiano che traversa l’oceano il più delle volte è un povero essere debole che, per difendersi, cerca protezione; e siccome non la trova negli organismi che rappresentano ufficialmente il suo Stato, la sua nazione, è costretto a cercarla nello Stato straniero. Solo allora la trova e solo allora si accorge che la patria italiana si è dimenticata, si è disinteressata di lui. E così, oltre la cittadinanza che già ha abbandonata, perde molto spesso anche lo spirito di nazionalità e a poco a poco perde anche l’amore per la patria. E lo perde perchè non ha nessuna ragione di esser grato verso chi, mentre non doveva, si dimenticò di lui. Ora questo non deve, non dovrebbe più essere. Lo Stato italiano ha il supremo dovere di comportarsi in modo, nella sua azione politica verso gl’italiani che sono all’estero, da costringerli alla gratitudine, all’amore, all’attaccamento ideale verso la patria anche quando, per ragioni imprescindibili di necessità, non possono più rimanere a lei uniti.

Giulio Seganti.


COME IL MAR

Da DOMINGO MARSINTO.


Per coloro cui lieto splende all’alma
dell’età giovanile il primo albor,
mostra la vita ampi orizzonti in calma
come li mostra il mar.

Per coloro, che tutti sono assorti
nelle illusioni di un felice amor,
pure la vita offre ospitali porti
come li offre il mar.