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IL BUON CUORE 203


il peso degli uomini sarà trascurabile rispetto a quello della cabina motrice, ciò non influirà sulla necessità di mantenere basso il centro di gravità.

5. — Gli apparecchi di direzione e di profondità dovranno essere di grande superficie e doppi in modo che uno funzioni di riserva all’altro; i collegamenti e i comandi fatti con materiale di prim’ordine e robusti in modo da rendere impossibile o per lo meno difficilissima la rottura.

Tutti questi principi ci riconducono infallantemente alla necessità di un aumento di peso negli apparecchi, vale a dire a studiare il problema del grande areoplano di dimensioni e potenza assai maggiori dell’attuale e a indirizzare assolutamente gli studi sulla via della areonave.

Ing. Riccardo Memmo.

e la poesia mistica umbra

S’era al tempo delle spirituali esili forme angeliche sboccianti sotto il pennello del frate che dipingeva per riverenza in ginocchio: dell’Angelico; al tempo che la severa ed eretta figura bizantina s’avvivava d’un dolce soffio, accogliendo nei volti e negli atti il lume di dove «il giojr s’insempra». E quasi fiore che sboccia accanto a fiori nella molle e diffusa munificenza del prato, di questo rinnovellamento per l’alto, sorgeva il dolcissimo e meraviglioso cantore, sorgeva, nuova forma, la poesia religioso-mistica, perdentesi in tutta la primitiva fragranza dell’inno spontaneo in quei cieli ombrati d’oro e di viola, in quel sole che una penna italiana così felicemente ritrasse.

Il sole nel radiante azzurro immenso

fin degli Abbruzzi al biancheggiar lontano,
folgora, e con desio d’amor più intenso

ride a’ monte de l’Umbria e al verde piano.
Sorge nel tempo della formazione delle poesie italiche con un contrasto grande, tra le esercitazioni di endecasillabi sapienti della dotta Bologna, tra il vaneggiamento madrigalesco della poesia provenzaleggiante, quasi rosellina di siepe gentilmente spicca sul nero degli abeti e sulle tenere siepi di biancospino. Sorge poesia popolare, non popolare perchè fatta dalla facili rime che il popolo lietamente compone nei solazzi campagnuoli, senza quasi egli ne abbia coscienza, e che è l’eco spontanea del sentimento di tutti, della quale nessuno saprebbe indicare l’autore, che spunta un bel giorno in forma concreta, non si sa dove, non si sa quando, ma popolare come quella che è l’eco della prima, meno spontanea forse, ma avente con quelle intime relazioni, non più solamente parlata, ma già passata attraverso una elaborazione letteraria, insomma raccolta artistica della vera poesia popolare. Questo del gruppo mistico, essendo S. Francesco d’Assisi anima troppo diversa per poter fondersi col popolo. Parlo invece di fra Jacopone da Todi, precursore quasi del gentil cavaliere
della povertà, anima ardente e fiera che da un drammatico caso della vita porta l’ardente anima popolana a espandersi in fuoco d’amore divino, in zelo fierissimo di rimbrotti e d’anatemi perchè s’allontana dalla retta via, che porta pure il delicato senso del popolo a darci versi dolcissimi, dipingenti soavemente scene piamente materne, rime freschissime d’una ingenuità fanciulla ed argentea, quasi zampillo cristallino e tinnolo di lieve fonte che corre a balzelli e a rivoletti fra ciottoli vestiti di muschio.

Abbiamo prova di questo suo intimo cuore soave in quelle «delizie materne» dove così devotamente e così umilmente egli apostrofa il gentile miracolo della Vergine concepita soave fra tutte le madri umane.

Quando un poco talora il di dormia,
tu, destar volendo il paradiso
(dice parlando del piccolo Gesù in culla)
pian piano andava che non si sentia

ponevi il tuo viso al santo viso
poi gli dicevi con materno riso:
non dormir più che ti sarebbe rio.

Ma ecco appare si com’egli appare
subitamente cosa che disvia

per meraviglia, tutt’altro pensare,
l’astro che di sua luce irradia quel breve e poetico cielo: S. Francesco d’Assisi:
In tra Tupino e l’acqua che discende

dal colle eletto del beato Ubaldo
fertile costa d’alto monte scende

· · · · · · · · · · ·
Di quella costa, la dov’ella frange
più sua rattezza, venne al mondo un Sole.
Ci dice di lui Dante nel decimo primo canto del suo Paradiso.

E per la vita, che, pur aspra della macerazione austera dell’inferiore spirito, pel mistico suo sposalizio con Madonna Povertà, andiamo alla sua poesia, alla dolce, alla candida sua poesia del trecento così soave ed amante.

Oh! «canto del Sole» elevato certo in una vasta e verdissima pianura, con a fianco l’agnelletta donatagli dalla gentile Matelda, fra un armonioso stormire di rami animati dai piccoli uccelli, presso a un chiaro rivoletto d’acqua!

«Il luglio ferve e il canto d’amor vola dal piano laborioso!»

«Laudato sia, Dio mio Signore con tutte le creature, specialmente per messer lo Frate Sole, il quale lo giorno illumina noi per lui. E ello è bello e radiante e con grande splendore di Te, o Signore, porta significazione».

E avanti, con questo fresco gitto d’una poesia che più non rivive, lodando Suora Luna e di Frate Vento, affettuosamente parlando di Suora Acqua «la quale è molto utile, umile e casta», e di Frate Fuoco che a «è bello, fecundo e robustissimo e forte».

E via così tra bellezze e tristezze tutte stimando degne di canto perchè uscite dalla mano di Dio, affidandosi poi come bimbo incerto alla volontà suprema che