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202 IL BUON CUORE


finchè la sorgente di energia, elettricità, acqua, vapore o gas l’alimenteranno.

Anche qui il macchinista non corre alcun pericolo.

E per rimanere nel campo dell’aria, un dirigibile abbandonato dai suoi piloti potrà arrestarsi o seguire il vento senza che per questo una catastrofe sia conseguente ed immediata.

In tutti questi apparecchi, strumenti e meccanismi l’uomo comanda e dirige, ma non è schiavo, e vi è una perfetta indipendenza, sia pure temporanea, fra la volontà sua e il funzionamento della macchina.

Nell’aeroplano avviene perfettamente il contrario: se l’uomo vacilla, si distrae, sbaglia, la catastrofe è irreparabile e fulminea.

L’aviatore dirige il velivolo, ma questa direzione è un obbligo per lui. Curioso paradosso di un comando che dev’essere sempre esercitato per rimanere tale e che per di più è spesso praticamente inefficace. È a tale differenza sostanziale che è necessario pensare nello studio dell’aviazione. Il che non pare sia stato fatto sinora. Tanto vero che si continuano a dare premi vistosi per le gare dove è in giuoco soltanto l’abilità personale, senza curare affatto la bontà del meccanismo. E di fatti salvo dettagli di poca importanza, gli ultimi modelli di aeroplani di ben poco differiscono da quelli con i quali i primi pionieri iniziarono il volo. Si è modificato e alleggerito il motore, che è però ancora molto lontano dalla perfezione; si sono curati alcuni particolari costruttivi — ma il grande problema dell’equilibrio è rimasto insoluto, i timoni di profondità e di direzione funzionano quando vogliono e il vento ha capricci che costano sangue. E nel concorso poi dell’energia umana, siamo rimasti sempre a quella di un solo individuo, poichè i passeggeri trasportati non sono che peso di zavorra. In tutte le macchine in moto vi è sempre chi può sostituire l’azione di chi guida se questa manca o vi è la squadra completa a cui sono assegnati diversi compiti: nell’aereoplano, che è il più pericoloso, nessuno. Dunque strumento imperfetto e una sola mente, una sola energia per dirigerlo: la peggior condizione possibile per il successo. Ma vi è un altro ordine di considerazioni da tener presenti e che si ricollegano a quelle precedenti. Tutte le volte che l’uomo deve affrontare delle difficoltà tecniche di aspra soluzione, ha sempre ricercato con istinto speculativo di ingigantirle, mosso dalla chiara visione che i difetti si appalesano meglio grandi che piccoli, e sia quindi più facile allora correggerli.

Non diversamente, per meglio convincere, il ragionamento esagera gli estremi della discussione e qualche volta li conduce all’assurdo che è precisamente una delle forme più adoperate nella disciplina matematica per la ricerca della verità.

Nel campo della conquista dell’aria, è storia recente che i primi dirigibili di piccola cubatura furono un insuccesso: se si volle difatti lottare colla resistenza del vento, suddividere il lavoro dei piloti, studiate il funzionamento dei piani stabilizzatori e l’equilibrio delle masse sospese nell’aria, limitare gli effetti delle fughe di gas, impiegare l’aria come zavorra, si dovettero af-
frontare le cubature di 12.000 mc. e recentemente in Inghilterra si è giunti a 18 mila.

È soltanto così che si è potuto risolvere con larghezza di vedute e con abbondanza di mezzi tutto il vasto programma che presiede alla costruzione del nuovissimo apparecchio, poichè l’ingente peso sollevato lasciava il margine necessario per tutti i complicati meccanismi di propulsione e di manovra.

L’aereoplano invece si è cristallizzato nelle piccole forme e nelle modeste proporzioni della sua nascita, cercando di alleggerire tutto quello che doveva invece essere rinforzato e di mantenere il problema dell’aviazione entro gli stessi angusti limiti dei primi tentativi.

Nessuna idea di proporzionare alla cresciuta potenza dei motori la costruzione dell’apparecchio; quasi unica cura aumentare la velocità senza por mente alla sicurezza e all’equilibrio.

E il povero Delagrange trovò appunto la morte in quel motore «bolide» che nessuno gli aveva sconsigliato di applicare al suo aereoplano.

E tutti i motori rotativi che la meccanica moderna ha costruito con dolorosa facilità durano da 80 a 150 ore e perdono cilindri a 800 metri d’altezza.

E i fili di acciaio di collegamento lavorano a 120 kg. per millimetro quadrato. Il legame speciale impiegato per le ossature è cimentato a sforzi esagerati; i timoni di profondità e di direzione sono manovrati con fili come dei giocattoli. Tutto ciò senza contare tutti gli altri inconvenienti minori che rendono in complesso il moderno velivolo non dissimile da quegli apparecchi da circo sui quali l’uomo si affida dinanzi alle folle che gioiscono al salto del plongeur o al cerchio della morte.

Ora è facile scoprire i difetti e anche additarne le cause, ma è difficile trovare i rimedi.

Alcune norme adatte a coordinare gli studi, gli sforzi i capitali possono però giovare a mutare indirizzo: le riassumo in taluni punti principali:

i. — I motori attualmente sono miracoli di costruzione meccanica ma hanno poca durata e incerto funzionamento, e ciò è dovuto alla ricerca faticosa per alleggerirli.

Bisogna invece dare al motore tutte le qualità necessarie di potenza, solidità e durata senza preoccuparsi soverchiamente del peso.

2. — Un motore non basta: e allo scopo di dividere la generazione dell’energia e di avere maggiore stabilità nell’apparecchio conviene avere due eliche di trazione e non di propulsione. Quindi due motori distinti come funzionamento, ma collegati con elementi flessibili o cardanici per la sincronità del movimento delle eliche.

3. — Il tipo a monoplano ha dato i migliori risultati. È necessario conservarlo dando alle ali il più ampio e razionale sviluppo rendendole rigide e manovrabili e abbandonare le fragili orditure di legno e tela.

4. — Gli aviatori, non uno solo, devono dominare l’apparecchio per meglio dirigere il volo e per trovarsi in condizioni di sicurezza sempre relativa, ma migliore, in una caduta.

La navicella sarà quindi collocata in alto, e poichè