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IL BUON CUORE 157


di lesa maestà incutevano terrore ai cittadini. La polizia vegliava anche sul clero e sui predicatori, temendo che dal pergamo si facessero allusioni alla insurrezione di recente domata. Per questo i parroci esitavano a dar principio alle sacre missioni in preparazione all’acquisto del giubileo; e non c’era chi si azzardasse di salire in pulpito.

In queste circostanze don Bosco prendeva alloggio presso don Allievi ed annunziava al prevosto di San Simpliciano che era pronto a cominciare la predicazione in parrocchia. Ma questi, per suggestione forse di timidi consiglieri, aveva mutato parere, e gli osservò come altra cosa fosse predicare nell’interno di un Oratorio ed altra il predicare ad una gran folla in pubblica chiesa; per cui dichiarò di non poter permettere che si incominciasse quella missione senza prima parlare coll’arcivescovo.

— Oh, in quanto a questo ci penso io! — rispose don Bosco; e senz’altro si recò da mons. Romilli a chiedere la licenza.

Il prelato, che era ben accetto alla corte di Vienna, non gliela negò, sebbene cercasse sul principio di dissuaderlo. Vedendo come il servo di Dio fosse pieno di coraggio:

— Signor abate — gli disse — io non ho nulla in contrario, ma predicate sulla vostra responsabilità. Se vi accade disgrazia io non c’entro. Voi sapete che viviamo in tempi pericolosi.

— Ed io predicherò — rispose don Bosco — come si usava predicare cinquecent’anni fa.

— Siete in libertà, vi replico! — concluse l’arcivescovo. — Se vi sentite l’ardire, andate pure e predicate! Io nè ve lo comando, nè ve lo consiglio, ma ve lo permetto di buon grado. Ricordatevi però che la vostra prudenza, per quanto grande, non sarà mai troppa.

E don Bosco cominciò a predicare a S. Simpliciano. Fin dalla prima predica la folla accorse con una curiosità ed ansietà da non potersi descrivere. In mezzo a quelle febbri rivoluzionarie sembrava impossibile che uno potesse mostrarsi indifferente in politica. Ma che? Don Bosco predicava nè più nè meno di come avrebbe fatto un sacro oratore più secoli addietro. Con franchezza ed affetto invitava i peccatori a penitenza; ciò che era da dire per la riforma dei costumi lo esponeva senza ambagi, non badando a nessuno; ma quanto a quello che bolliva nel cuore del popolo e teneva desta la risoluta vigilanza del governo, non fece il minimo accenno e schivò qualunque paragone o fatto, pure antico, che avesse potuto essere giudicato, anche alla lontana, allusivo alle circostanze presenti. Si comportò insomma come se non esistesse nessuna questione politica e non fosse mai esistita.

Nessuna delle autorità ebbe a fargli la minima osservazione; chè tutti gli uditori trovarono nelle sue parole null’altro che la meditazione dei novissimi e le istruzioni sul modo di confessarsi e di comunicarsi. Milano fu meravigliata di un tal modo di predicare, a quel tempo.

Non aveva ancor finito questo triduo di due prediche
al giorno in S. Simpliciano, che il 2 dicembre, lunedì dopo la prima domenica di Avvento, incominciava ad ore diverse gli esercizi spirituali nell’Oratorio di S. Luigi, che dovevano pur durare tre giorni. D. Serafino aveva raccolti a centinaia i suoi giovani, e don Bosco che tante meraviglie operava a Valdocco, egualmente attirava a sè i giovani di Milano. D. Serafino Allievi molti anni dopo ne faceva, noi presenti, cara testimonianza.

In quel frattempo vari rettori di chiese, assicurati che la predicazione del prete di Torino non solo non aveva dato il minimo pretesto, nè a disordini nè a violenze, ma era riuscita con gran frutto per le anime, lo invitarono alle loro chiese. E don Bosco acconsentì e predicò in S. Maria Nuova, in S. Carlo, e in Sant’Eustorgio, come ci affermò don Luigi Rocca che ne udì parlare dai suoi parenti e concittadini milanesi. Talora predicò una sola volta al giorno in alcuna delle chiese suddette, e tal’altra fece fino a cinque prediche al giorno in chiese diverse. Infatti, mentre predicava un triduo a S. Rocco, ebbe invito dai padri Barnabiti, di andare a dettare un corso di esercizi spirituali a Monza. Allora tra Milano e Monza vi era la unica ferrovia che si avesse nelle terre lombarde; e don Bosco partiva da Milano alle io e mezzo antimeridiane, predicava a Monza, e ad un’ora pomeridiana era già a Milano per la predica a S. Rocco. Grandissimo, ovunque, era il numero di coloro che correvano a confessarsi.

(Dall’Unione)


UN PO’ D’INFINITO

Con questo titolo, per cura del Circolo Sant’Alessandro M., si è pubblicato uno scritto giovanile del rimpianto e diciamo anche venerato prof. Contardo Ferrini.

Lo scritto — veramente prezioso — fu dedicato dal Ferrini: A Gerolamo e Paolo Mapelli — amici sempre tifi cari — coi quali ho diviso e divido — le gioie e i dolori di questa vita — e le speranze della futura. Porta la data del 1883 e contiene i tesori di un’anima santa. È diviso in cinque capitoletti, preceduti dai cenni biografici e dal ritratto dell’autore. In appendice trovasi una lettera per la prima comunione della sorella.

Sono pagine che suscitano nel lettore le migliori considerazioni sull’infinito, ravvivando le speranze nella vita futura.

Dal cap. II — L’attinenza delle creature intelligenti coll’infinito — spicchiamo la seguente pagina:

Ah! quante volte la povera vecchierella della mia montagna «che apprese a creder nel Figliuol del fabro ed ha conforto e lume in quella fede» potrebbe insegnare a voi e dire meravigliata le parole evangeliche: «Come! tu sei maestro in Israele e ignori queste cose?»

Donde tanto lume di Dio nelle anime sante, umili e semplici e senza farina di mondo, senza ingombro di libri — donde tanto sentimento di Lui? Quante volte stanco d’una lunga giornata di cammino sui monti, as-