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IL BUON CUORE 139


È questo dolore innocente che bilancia il male del peccatore e le sue fosche passioni.... fu il dolore del giusto e del santo per eccellenza che operò la redenzione del mondo.

Dal massimo delitto è sgorgata la sorgente della più ineffabile misericordia.

Di quella misericordia di cui tutti noi abbiamo bisogno infinito. Tutti invochiamo, col poeta, sui fratelli e su noi quel sangue divino, che, mite lavacro, ci purifichi dai nostri peccati.

Tutti noi cristiani siamo invitati ad imitare Gesù, soffrendo con Lui, espiando con Lui. A noi non è data una croce cruenta e non siamo fatti martiri... certo, perchè non siam santi.

Ma santi dobbiamo diventarlo e vittime con Gesù dobbiamo esserlo.

Gesù fece la volontà del Padre e gli fu ubbidiente fino alla morte di croce. Facciamo anche noi la volontà del Padre, quella divina volontà su di noi, che ci si rivela nelle circostanze nelle quali veniamo a trovarci; nella voce dei buoni posti vicino a noi, nelle ispirazioni di Dio nell’intimo della nostra coscienza. Se noi saremo vigili nell’ascoltare e nell’accogliere questo volere celeste e nell’effettuarlo, noi non faremo forse nulla di straordinario agli occhi degli uomini, ma certo il meglio per noi.... E se in questo spirito di pietà noi compiremo la nostra carriera, noi porteremo la parte di pena che grava su ogni esistenza umana, noi, così facendo il volere del Padre, compiremo quel sacrifizio, che è il migliore che, dopo la morte di Cristo, si possa offrire alla divinità.

Educazione ed istruzione


IL VICARIO APOSTOLICO NELL’ERITREA


L’arrivo di mons. Carrara all’Asmara



Il giorno 19 di marzo salpa a da Napoli per Massaua, col piroscafo «Etruria» monsignor Camillo Carrara, vicario apostolico nell’Eritrea, accompagnato da un nucleo di giovani missionari. A bordo ebbe accoglienze gentilissime dal maggiore Guadagni direttore del Deposito colonia!e di Napoli, dal presidente del comitato regionale dell’Associazione di soccorso pei missionari cattolici, dal marchese Giuseppe Camayor, dal Padre Parisi provinciale dei barnabiti, dalla presidenza, al completo, della Società africana d’Italia.

Durante il viaggio trovò la più grande deferenza e la massima cordialità negli ufficiali di bordo, nei paseggeri di prima classe e specialmente nel comandante cav. Andrea Cogliolo. In Alessandria d’Egitto, a Porto Said, i buoni PP. francescani usaron verso monsignor Carrara ogni possibile riguardo, mostrando una volta
ancora qual larga vena di schietta italianità essi portano oltre i confini della patria. Dopo 12 giorni di felice navigazione, l’«Etruria» gettava l’àncora nel magnifico porto di Massaua. Erano le 10 di sera dell’ultimo venerdì di marzo. Compiuta la visita sanitaria e di polizia, vennero ad ossequiare mons. Vescovo, il commissario civile cav. Talamonti, il capitano di fregata Ugo Rombo comandante l’«Aretusa», il tenente di vascello cav. Colombo Tarò, il direttore della Dogana cav. Macchia, P. Lorenzo da Collepardo reggente la prefettura P. Francesco da Bassano. All’indomani il vicario apostolico, restituiva ufficialmente la visita al commissario ed al comandante la nave da guerra.

Le infaticabili suore di S. Anna che rallegrano del loro sorriso e della loro carità la simpatica cittadina di Massaua, vollero dare una testimonianza di affetto venerazione a mons. Vescovo improvvisando un trattenimento musicale accompagnato dalle voci argentine dei bimbi dell’istituto. Il giorno 3 aprile il Vescovo con i suoi compagni partiva da Massaua col piccolo treno, ossequiato nuovamente da tutte le autorità civili e militari. Si corre attraverso l’altipiano, fra una larga distesa di casupole e piccole capanne di paglia e di fango. Lo sguardo si ferma melanconicamente sullo storico colle di Dogali e dinanzi al monumento che ricorda la lotta, il valore e lo strazio di tanta gioventù italiana, il cuore commosso manda un saluto a quei prodi che caddero colle armi in pugno per l’amore della patria. Sui brulli e riarsi colli si scorge qualche mimosa, rari cespugli di spini, una corona di fichi d’India, poi man mano che il treno si avanza, da lungi si profila una verde conca attorniata da linde casette.... Siamo a Ghinda che si potrebbe chiamare il giardino dell’Eritrea. Una breve fermata, alcune strette di mano fra compatrioti e si prosegue fino a Nefasit. Il treno ferroviario che conduce all’Asmara è tuttora in costruzione e noi dobbiamo proseguire con la strada carrozzabile.

Il Vescovo entra in una vettura elegante, gli altri missionari in due giardiniere tirate da muletti abissini si parte di corsa tra quelle gole tortuose e dirupate. Il paesaggio è vario e pittoresco: talora orrido come un burrone alpino, talora ridente come un colle lombardo, ma a dire il vero al panorama si guarda poco, perchè la foga dei muli e i precipizi che stanno d’attorno ci rendono preoccupati come D. Abbondio quando montava la famosa mula del segretario....

A parecchi chilometri dall’Asmara due soldati a cavallo giungono come scorta d’onore e poco dopo accompagnato dal commissario regionale avv. Enrico Cagnassi venne ad incontrare mons. Carrara il comm. Del Corso, direttore delle finanze il quale, a nome di S. Ecc. il Governatore ebbe per il vicario apostolico le più lusinghiere espressioni. Giunti all’Asmara uno spettacolo imponente ci rallegrò il cuore e lo sguardo. Sulla via principale della città vi è una folla varia e pittoresca. Arabi dal bianco turbante col braccio carico di amuleti, baniani pingui ed olivastri col berretto sul capo ricamato a colori, abissini col candido sciamma (candido per modo di dire), europei coll’elmo di sughero in te-