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IL BUON CUORE 107


nisse calpestato, e i suoi nati fossero uccisi. «State in guardia» gridò ai figli inermi «rannicchiatevi e, silenzio! Ecco un cavallo che passa sopra di noi! Viene un guerriero coi sandali ferrati! Tutta la schiera selvaggia si precipita innanzi!»

Ad un tratto l’uccello cessò di dare i suoi avvertimenti e ammutolì, quasi dimentico del pericolo che lo minacciava. Indi, improvvisamente saltò entro il nido stese le ali sopra i piccini.

«È troppo spaventevole» disse «non veglio che vediate un simile spettacolo; vi son tre malfattori che vengon messi sulla croce.» Aggosciato, spiegò le ali perchè i figli non potessero veder nulla. Essi intesero soltanto colpi rimbombanti di martello, grida lamentevoli e urli selvaggi di popolo.

Il pettirosso seguì l’intero spettacolo con occhi dilatati dal terrore. Non poteva staccare lo sguardo dai tre infelici.

«Come sono crudeli gli uomini!» disse poco dopo. «No, non basta loro d’inchiodare sulla croce queste povere creature, sopra la testa di una di esse hanno messo una corona di acute spine.»

«Le spine hanno ferito quella fronte e il sangue scorre» seguitò l’uccello. «Quell’Uomo è tanto bello e guarda intorno a sè con occhi così miti che tutti dovrebbero amarlo. Nel vederlo soffrire sento attraversarmi il cuore dalla punta d’una freccia.»

Il piccolo uccello provò una compassione sempre più intensa per l’incoronato di spine. «Se fossi l’aquila mia sorella» pensò «vorrei strappare i chiodi da quelle mani, e mettere in fuga, coi miei artigli, tutti coloro che lo fanno soffrire.»

Il sangue gocciolava dalla fronte dell’Uomo crocifisso e l’uccello non potè rimaner più nel suo nido.

«Sebbene piccolo e debole debbo fare qualcosa per questo povero martoriato» pensò. Uscì dal nido, si alzò a volo per l’aria descrivendo ampie curve intorno al Crocifisso. Seguitò a volare così diverse volte senz’osare di avvicinarglisi troppo, perchè egli era un piccolo e timido uccello e non si arrischiava ad accostarsi agli uomini. A poco a poco prese coraggio, volò vicino, e tolse col becco una spina infissa sulla fronte dell’Uomo messo in croce.

Mentre l’uccello faceva questo, una goccia di sangue gli cadde sulla gola, e si stese rapidamente colorando tutte le piccole e morbide piume del petto.

Tornato ch’ei fu al nido, i piccoli gli gridarono:

«Il tuo petto è rosso, le piume del tuo petto sono rosse come le rose!»

«È una goccia di sangue della fronte di quel pover’Uomo» disse l’uccello «ma sparisce se mi bagno nel ruscello o alla sorgente.»

Per quanto si bagnasse il color rosso non gli sparì dalla gola, e quando i suoi figli furono cresciuti brillò la tinta purpurea sul loro petto, come brilla anch’oggi sulla gola e sul petto d’ogni pettirosso.

Samarita.




Il libro più bello, più completo, più divertente che possiate regalare è l’Enciclopedia dei Ragazzi.




FIUMANA D’ORO IN TERRA ARGENTINA


Come si spende e si spande oltre Oceano


(Continuazione e fine, vedi n. 13).


Di lotterie in Argentina, con relative estrazioni ve ne sono per lo meno un centinaio all’anno: i biglietti delle lotterie, raggruppati in serie o venduti singolarmente, sono un’altra delle forme sulle quali il vostro denaro si volatizza colla più sorprendente facilità.

Il barbiere presso del quale vi fate regolarmente lucidare il mento, vi userà la cortesia di offrirvi un buonissimo biglietto, che vi ha riserbato per speciale riguardo; il lustrascarpe — quasi sempre è un napoletano — ha anche lui il suo biglietto da vendervi, e il cameriere del restaurant dove capitate più sovente a rovinarvi lo stomaco, avrà esso pure la squisita attenzione di mettervi sul piatto, insieme al conto, una cartella della prossima lotteria. E se andate a prendere un bagno, foss’anco turco per cacciarvi dalle ossa l’umidità che Buenos Ayres vi avrà infiltrato, il masseur tra una strofinatina e l’altra, pur constatando che in quel momento non avete tasche, vi offrirà anche lui il suo bravo biglietto.

È un’ossessione, una persecuzione cortese, insistente alla quale ci vuole un coraggio da eroi per potervi resistere. E chiamatevi fortunati se ve la cavate con cinque pesos!

Però — ad onor del vero — il denaro a Buenos Ayres lo si può spendere anche per qualche cosa di meglio e più poetico che non sono la réclame, le corse dei cavalli, i biglietti delle lotterie.

Ci sono i teatri!

Ah! i teatri di Buenos Aeres, che splendida istituzione!

Domandatelo a tutti i nostri tenori, baritoni, bassi e soprani laceratori più o meno caritatevoli di ben costrutti orecchi, che dopo di aver fatta la fame in Italia, in continua guerra coll’ impresario e col portinaio per strappar all’uno quel benedetto quartale che deve poi andare a finire nelle mani dell’altro, domandate a questa benemerita categoria di viventi che cosa ne pensano essi dell’Argentina.

Domandatelo a Zacconi, a Grasso, a Savini, a Novelli, a.... Vittorina Lepanto, e poi, a tutta la costellazione delle nostre ugole più illustri e squillanti, e sentirete che cosa ne pensano dei teatri di Buenos Ayres.

L’Eldorado è nulla in confronto.

Ma il guaio si è che le tasche di questi nostri illustri concittadini si riempiono in ragione diretta colla vuotatura delle tasche nostre.

Il Colon — il teatro principale di Buenos Ayres — che viene subito dopo il Manhattan di New York — rappresenta per ogni famiglia che si rispetti e che voglia avere il suo palco durante una delle parecchie stagioni annuali, una spesa che si aggira intorno a 10,000 pesos per stagione.

Siccome poi il bon ton esige che chi ha il palco al Colon, lo abbia pure all’Opera — il teatro che per