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106 IL BUON CUORE


doveva vivere, gli venne voglia d’osservare sè medesimo. Si vide tutto grigio, grigia la gola come il resto. Il pettirosso si voltò, si rigirò, si guardò nell’acqua, ma non riuscì a scorgere nemmeno una piuma rossa.

Tornò volando al Signore. Buono e mite Egli sedeva sul trono: farfalle uscenti dalle Sue mani Gli svolazzavano intorno al capo, le colombe tubavano sulle Sue spalle, e dal suolo spuntavano intorno a Lui rose, gigli e margheritine.

Il cuore del piccolo uccello batteva forte pel timore: descrivendo brevi curve volò sempre più vicino, sempre più vicino al nostro Signore, e finalmente si lasciò cadere sulla mano di Lui.

Il Signore chiese di che abbisognava: «Vorrei domandarti una cosa soltanto» disse l’uccellino.

«Che vuoi dunque sapere?» replicò il Signore.

«Perchè mi devo chiamare pettirosso mentre sono interamente grigio dal becco alla coda? Perchè sono stato chiamato pettirosso se nemmeno una piuma rossa mi appartiene?»

L’uccello volgeva il capino verso il Signore e lo guardava supplicando co’ suoi occhietti neri. Vide all’intorno fagiani tutti rossi, cosparsi d’un lieve pulviscolo d’oro, pappagalli con un ricco collaretto rosso, galli colla cresta rossa, per tacere delle farfalle, dei pesci dorati e delle rose. Egli pensò ingenuamente che sarebbe occorso tanto poco, che sarebbe bastata una sola goccia di colore sul petto per far di lui un bell’uccello e perchè il suo nome gli fosse acconcio.

«Perchè mi devo chiamare pettirosso e sono tutto grigio» domandò nuovamente l’uccello e aspettò che il Signore rispondesse: «Piccolo amico, m’avvedo d’aver dimenticato di colorire di rosso le piume del tuo petto, attendi un pochino e vi rimedieremo.» Poscia sorrise in silenzio, e aggiunse: «T’ho chiamato pettirosso, e pettirosso ti devi chiamare, ma le piume rosse dovrai meritarle.» Sollevata la mano, il Signore mandò l’uccello a volare pel mondo, e il pettirosso lasciò il paradiso molto pensieroso.

Che poteva fare un piccolo uccello come lui per procacciarsi le piume rosse?

L’unica cosa che gli venne in mente fu ch’egli fabbricava il nido fra i rovi. Sì, egli nidificava fra le spine dei folti roveti: parve si aspettasse che una foglia di rosa, rimanendo appesa alla sua gola, gli donasse il colore.

Un infinito numero d’anni era trascorso dal giorno che fu il più lieto per la terra. Animali ed uomini, lasciato il paradiso, s’erano sparsi pel mondo. Gli uomini avevano molto progredito, avevano imparato a lavorare il suolo, a fabbricarvi sopra, a viaggiare per mare, si erano allestiti ornamenti e vesti, avevano appreso a costruire grandi templi e possenti città come Tebe, Roma e Gerusalemme.

Spuntò un nuovo giorno, indimenticabile nella storia del mondo; al mattino di questo giorno il pettiroso stava sopra una piccola e nuda collina dinanzi alle mura di Gerusalemme, e cantava ai suoi piccini,
giacenti nel nido, entro un basso roveto. Parlava loro del meraviglioso giorno della creazione, dei nomi ch’erano stati dati, come solevano fare tutti i pettirossi sin dal primo che aveva udito la parola divina e che:dalla mano divina era uscito.

«Vedete un po’» concluse egli turbato «sono trascorsi tanti anni dal giorno della creazione, hanno fiorito tante rose, sono usciti dal loro uovo tanti uccelletti che niuno potrebbe numerarli, ma il pettirosso è sempre un uccello piccolo e grigio; non è ancora riuscito a meritare le piume rosse al petto.»

I piccini spalancarono il becco, e chiesero se i loro antenati avessero cercato di compire qualche grande opera onde ottenere il prezioso colore.

«Abbiamo fatto tutto quello che potevamo» disse l’uccello «ma non siamo riusciti. — Il primo pettirosso incontrò una volta un altro uccello che gli assomigliava perfettamente, e cominciò ad amarlo d’un amore così vivo ch’egli si sentiva ardere il petto. — Ah! pensò allora, il buon Dio vuole ch’io ami caldamente perchè la fiamma d’amore che mi sale dal cuore possa colorire di rosso le piume del mio petto. — Ma non ottenne l’intento, come non l’ottennero altri dopo lui, nè a voi riuscirà di raggiungerlo.» I piccini pigolavano mestamente, poi cominciarono a dolersi di non poter adornare del colore fiammeggiante la loro piccola gola piumata.

«Speravamo anche dal canto» disse il vecchio uccello. «primo pettirosso cantava sì che il suo petto si gonfiava dall’entusiasmo, ed egli osò sperare di nuovo. — Ah! pensava, l’ardore del canto che mi sale dall’anima farà divenir rosse le mie penne. — Ma egli s’illuse, come si sono illusi tutti dopo lui, come v’illuderete anche voi.

Un mesto pigolio uscì nuovamente dalle gole seminude dei piccini.

«Speravamo pure nel nostro coraggio e nel nostro valore.» disse l’uccello «Il primo pettirosso combattè eroicamente con altri uccelli e il suo seno s’infiammava nel fervor della pugna. — Ah! egli pensò, l’ardor della guerra che mi riscalda il cuore farà diventar rosse le piume del mio petto. — Ma s’ingannò come noi tutti dopo lui ci siamo ingannati, e come voi pure v’ingannerete.»

I piccoli pispigliarono arditamente che avrebbero voluto tentare di guadagnare il premio ambito, ma il vecchio uccello rispose dolente che non vi sarebbero riusciti. Come potevano sperare se tanti valorosi antenati non lo avevano raggiunto? Che potevano fare oltre che amare, cantare e lottare? Che potevano....

L’uccello s’interruppe perchè da una porta di Gerusalemme veniva una folla d’uomini, che si dirigeva frettolosa alla collina dove egli aveva il suo nido.

Erano cavalieri sopra superbi cavalli, guerrieri con lunghe lancie, manigoldi con martelli e chiodi, sacerdoti e giudici dall’incesso dignitoso, donne piangenti, e innanzi a tutti una schiera di popolo selvaggio che correva dintorno; una feroce, urlante scorta di vagabondi.

L’uccello grigio stava, tremante, sull’orlo del suo nido. Temeva che da un istante all’altro il piccolo roveto ve-