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IL BUON CUORE 103


gole, non la finale, la definitiva, quella che vive nei secoli! Ciò che non è unito alla virtù, non dura: l’immortalità è solo dal bene e dal vero.

Dopo effimere, parziali vittorie, gli ipocriti restan smascherati, e più fulgida si vede la gloria dolce e schietta dei buoni, dei veri pii, dei veri religiosi.

Non consiste la pietà profonda nel legarsi ad osservanze esteriori, ma nell’essere intimamente pervasa dallo Spirito. Lo Spirito che ha portato a formular delle leggi e delle ordinanze, che sono una sua emanazione e ne diventano un alimento, sa anche, all’occasione, elevarsi su di esse, e tralasciarle quando è opportuno, è buono farlo.

La pietà vera non inalza mai a fine ciò che è mezzo, nè abbassa a mezzo ciò che è fine; e non dimentica lo spirito per la osservanza della lettera.

Rileggiamo attentamente gli ultimi versetti del testo evangelico.

Non è tanto l’amore della legge, sia pure amore gretto e piccino, che stimola i Farisei: è il timore che l’atto da essi biasimato (la libertà interiore di Gesù rispetto alla osservanza della legge e la sua miracolosa potenza) sia ritenuto vero.

Cercano dunque dapprima di negare il fatto; ma ciò non riesce loro: esso s’impone.

I genitori stessi del graziato portano, pur ritraendosi per paura, una testimonianza.... schiacciante. Allora cercano corrompere il graziato da Gesù, cercano corromperlo, abusando della loro autorità religiosa (che orrore! ) ma il povero, già cieco, non ha solo avuto gli occhi tocchi dalle dita divine, ha avuto, dall’amore di Gesù, commosso anche il cuore: egli non può sconfessare la sua fede in Cristo e resiste a tutte le insidie, resiste con una fermezza così sapiente, così amorosa, così fiduciosa!

E i Farisei lo cacciarono fuori; ed egli fu uno dei primi adoratori di Gesù.... Sono le meraviglie della provvidenza divina!



CARLOTTA MASSA GAGGIERO



A Chieri, il 16 corrente, chiudeva gli occhi alla vita terrena, Carlotta Massa nata Gaggiero, eletta creatura della quale si può dire coll’Ecclesiastico (XXVI. 24): «Come eterni sono i fondamenti gettati sopra salda pietra, così i comandamenti di Dio nel cuore della donna santa.»

Fu alla luce di quella legge divina che ella accese la propria lampada per il cammino della vita, recandola sempre vivida e smagliante a traverso le difficoltà e i dolori inevitabili di quaggiù, elevandola con gratitudine a Dio nelle ore di gioja. — Con quella fiamma Ella diradava le ombre, le oscurità, projettava raggi oltre il confine mortale, per ricordare essere questa vita il preludio della futura e, sacrificando ogni cosa per la educazione dello spirito, illuminava la cara famiglia sua, di quella luce che non muore, la luce della Fede, del Dovere, dell’Esempio. — Nel santuario
domestico, col profondo affetto per il degno compagno della sua vita, Ella trasfuse tutto quanto la sua coltura, la sua fine educazione, la sua esperienza potevano dare, informando la direzione dei figli ad una santa e intelligente austerità di studio e di disciplina, unita a una tinta geniale di classicismo attico, — austerità che ne rese forti e saldi i caratteri e iniziò forse l’orientamento di due fra i suoi figliuoli, alle grandi abnegazioni della vita religiosa.

C’è in Piemonte una Suora di San Vincenzo, c’è un Missionario Salesiano al Brasile, che divinarono probabilmente dalle energie materne, il vasto orizzonte degli eroismi cristiani. E, fra di noi, c’è un’altra figliuola, la quale, fervida combattente per la santa causa del bene, vi dedica la penna e la alata fantasia di poeta. Ad essa, al suo venerando genitore, alla famiglia sua tutta, il nostro compianto in quest’ora dolorosa. Sia di conforto il richiamo delle virtù della cara defunta, quello del suo fidente commiato, santificato dalle sofferenze, benedetto dai carismi cristiani: sia di dolce ricordo la sua ultima voce: «Lascio Dio a’ miei figli, ed i miei figli a Dio.»

Avrebbe potuto soggiungere con la grande santa di Siena:

«Tutti voi che mi siete così cari, consolatevi con me; lascio una terra di miserie per un regno di pace.»

G. C.




IL CONTE UMBERTO OTTOLENGHI



Sono trascorsi non molti giorni dacchè lo avevamo incontrato e dalle sue labbra avevamo inteso il sentimento d’una profonda gioia paterna per l’unica, diletta bambina, la quale era guarita dopo momenti di atroce trepidanza. Sempre gentile e buono, esprimeva la gratitudine sua, quella della contessa, dei nonni e dei parenti per l’interessamento affettuoso alla salute della cara creaturina che aveva tenuto in grande agitazione tutta la famiglia. La battaglia era vinta, e nessuno avrebbe pensato mai che egli stesso, il padre felice, si sarebbe trovato quasi tosto alle prese con una malattia ribelle a tutte le cure più intelligenti e affettuose.

A soli 43 anni, quell’Uomo buono, benefico, affabile con tutti, è scomparso dalla faccia della terra, lasciando nella desolazione l’amatissima sua signora, indivisa sempre negli affetti famigliari come nelle predilette opere di carità; e la notizia della sua precoce dipartita ha suscitato unanime rimpianto.

Noi che abbiamo avuto più volte occasione di apprezzare la nobiltà degli ideali del Conte Umberto Ottolenghi; noi che da Lui abbiamo avuto tante prove della sua generosità spontanea, della sincerità de’ suoi affetti, della elevatezza de’ suoi sentimenti, esprimiamo le più vive condoglianze ai superstiti in lacrime, assicurandoli che il loro strazio è condiviso da centinaia di cuori memori e riconoscenti.

A. M. C.