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IL BUON CUORE 19


nuovo soffio di fede, animante lo studio delle questioni morali e sociali otterrà il nuovo intento.

Supremo dovere quindi della Unione delle donne cattoliche d’Italia è di promuovere questa educazione razionale del fanciullo, della gioventù, delle donne stesse per dare alla Chiesa e alla Patria uomini di alto valore morale perchè di salda e inconcussa coscienza religiosa e civile.

Cristina Giustiniani Bandini.


UNA LINEA DELLA FISIONOMIA SPIRITUALE DI S. CARLO


(Continuazione e fine, vedi numero 1).


Dopo i gravi lavori del Concilio, a soddisfare i bisogni della sua profonda pietà, egli otteneva dal Pontefice che oltre alla composizione del Catechismo romano e alla correzione delle opere dei Santi Padri, interpolate e depravate nelle loro edizioni da tristi intelligenze, si provvedesse a riformare il Breviario e il Messale, i due libri delle sublimi preghiere sacerdotali.

Obbligato a trattenersi ancora per qualche tempo a Roma per conforto del Pontefice zio, egli sapeva trovar posto per la contemplazione in mezzo ai disbrighi di affari la cui importanza interessava il mondo cattolico, e più volte l’ultimo sole di Roma lo salutò pregante in quel romito oratorio ch’egli aveva adattato per sè sopra una piccola altura ombreggiata di faggi.

Ma la diocesi di Milano a cui era destinato, formava il fascino dell’anima sua; erano troppi i bisogni delle anime che lo chiamavano ed egli non si accontentò più di mandarvi il Vicario generale e il Vescovo Girolamo Ferragata. Cuore di madre, egli non poteva più star lontano dai figli che soffrivano e lo chiamavano nei loro dolori.

Il papa finalmente cedette e il Borromeo entrava in Milano per porta Ticinese il 23 settembre 1565 accompagnato da un corteo di anime grandi, degne di lui, perchè scelte dal suo ingegno e dal suo cuore. Da S. Eustorgio alla Metropolitana la sua cavalcata fu un trionfo. In Duomo aperse il cuore ed esordi il suo discorso di saluto con le parole di Gesù Cristo: «desiderio desideravi hoc pascha manducai e vobiscum» ed il popolo avrebbe potuto rispondere: tu sarai come l’Eucaristia per noi perchè ci dar ai il tuo corpo, il tuo sangue, la tua anima, la tua santità.

Eccolo finalmente tuo o Milano questo uomo che i secoli distingueranno chiamandolo il gran santo.

Voi che sapete la storia milanese di quell’epoca, richiamatene il quadro alla memoria con tutte le sue ombre che avevano assalito perfino i chiostri e gli altari ed erano montate su come un’onda di lava a soffocare quasi i santi tabernacoli.

Mio Dio, qual campo di lavoro per un vescovo!

Il Borromeo osservò, studiò e pianse; ma non pianse lagrime sterili; erano lagrime scottanti che venivano dal suo cuore deciso di immolarsi pur di sanare la sua Chiesa. Come sempre, egli cercò prima sua forza nella
preghiera e tanto la sua vita privata, quanto la sua vita apostolica trasse di là le nuove luci della sua santità.

Se giovane studente e cardinale di Roma egli ricorreva ai sacramenti con frequenza, ora tutti i giorni egli sente il bisogno di salire all’altare per il sacrificio dopo d’aver chinato il capo sotto l’assoluzione del confessore. Le sale dell’episcopio mancano per lui di attrattiva; la sua casa fa difetto di una cella in cui raccogliersi come l’aquila nella fenditura della estrema roccia del monte per guardare di là gli immensi cieli in cui a ogni nuova aurora slanciarsi a volo. Egli costruisce una cameretta sul tetto dell’episcopio e quando Milano, dopo le faticose giornate del suo lavoro, cerca a sera tarda un punto in cui fissarsi quasi a mandargli il saluto riconoscente, lassù, dove non arrivano ad arrampicarsi i fantasmi della vita mondana, s’apre una finestrola pallidamente illuminata come a dire: — Figliuoli riposate, il mio cuore veglia, io prego. —

Qui a S. Barnaba si custodisce una palla di piombo grossa come un arancio, che il santo arcivescovo teneva in una mano di notte quando dopo parecchie ore di preghiera la natura voleva finalmente un tributo di riposo. Quella palla cadendo, allorchè s’infiacchiva il suo corpo, lo svegliava ed egli ripigliava a pregare fino a che, affranto, cadeva tra le braccia degli angeli che ammiravano il suo riposo.

Della vita interiore egli ebbe sempre somma considerazione, quindi lo spirito di pietà che ne è l’essenza fu la linea più marcata della sua fisionomia. Due volte all’anno si chiudeva in sacro ritiro per dare più libero sfogo al suo pregare ed ogni sera egli voleva intorno a sè i suoi famigliari perchè ogni giornata finisse con la orazione. Quando il Farina vorrà ucciderlo, saprà bene dove sorprenderlo, come Giuda sapeva bene il luogo dove il Maestro di notte si ritirava a pregare. E la sua preghiera lo portava spesso fino all’assorbimento completo delle sue potenze in Dio.

Più volte in coro, scrive lo storico, era necessario scuoterlo come da un’estasi, perchè i canonici aspettavano la sua parte d’ufficio: la bocca socchiusa, lo sguardo fisso come di vetro, una pace divina diffusa su tutto il suo volto, lo rendevano allora, come non lo dipinsero mai, bello. Finito il coro egli discendeva solitamente nella cripta che oggi, prolungata, è sua tomba gloriosa e là passava ore silenziose e deliziose di preghiera che poi raccoglieva in punti sopra taccuini, alcuni dei quali conserva la nostra biblioteca ambrosiana come parte dell’anima sua fermatasi in mezzo di noi. Queste lunghe e profonde preghiere avevano dato alla sua persona una espressione di abituale raccoglimento, cosicchè in avvicinarlo si sentiva Dio che abitava in lui ed egli stesso aveva nelle sue azioni come nelle sue parole e ne’ suoi sguardi, qualche cosa che non si sa bene definire, ma che obbligava tutta l’anima a dire: è un santo, è un santo.

Oh, ma dov’è il forte S. Carlo, l’austero riformatore dei costumi, il vescovo ardente che è divorato dallo zelo del Signore? Noi non lo abbiam preso a studiare così; ma se alla sua grande attività vogliamo dare uno sguardo e ricordare il suo apostolato, in fondo trove-